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LIBIA. Haftar avanza, al-Sarraj risponde con l’operazione “Vulcano di rabbia”

8 aprile 2019, Nena News
Tensione altissima nel Paese africano dove il Generale dell’autoproclamato Esercito nazionale libico continua a fare progressi nell’area meridionale della capitale. 

L’Onu, Usa ed Europa invitano alla calma, ma sono appelli che al momento restano inascoltati. Una cinquantina le vittime da quando, giovedì, è iniziata la campagna militare di Haftar.
Se non è l’inizio di una guerra civile, poco ci manca. Ieri le forze dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) che fanno capo al generale Khalifa Haftar hanno compiuto diversi raid aerei nell’area meridionale della capitale libica Tripoli e sono avanzate verso il centro della città. L’esercito, che sostiene il governo parallelo di Tobruk nell’est del Paese, ha lanciato la scorsa settimana la sua operazione contro il governo riconosciuto internazionalmente di al-Sarraj e ha fatto in pochi giorni importanti progressi militari: venerdì gli uomini di Haftar avevano raggiunto la periferia della capitale e annunciato di aver preso il controllo l’ex aeroporto internazionale (notizia che però il governo di Tripoli smentisce).
Il raid di ieri è stato confermato da Ahmed Mismari, il portavoce del Lna. Mismari ha parlato di “operazione ben riuscita per rendere sicura la strada che dall’aeroporto porta al centro della città”. Secondo un residente intervistato dalla Reuters, i soldati di Haftar si sarebbero mossi nel distretto di Khalat Furgan (11 chilometri dal centro della capitale) mentre le forze di Tripoli si sarebbero ritirate. Al momento sono almeno 11 le vittime (23 i feriti) degli scontri che sono avvenuti nell’area secondo quanto ha riferito ieri sera alla stampa il ministro della salute del Governo di Accordo nazionale (Gna) sostenuto dall’Onu. A questo dato va poi anche aggiunto quello delle 35 persone (tra cui anche civili) che hanno perso la vita da quando Haftar ha dato inizio alla sua offensiva.
La situazione è tesissima. In una nota, la missione Onu nel Paese (Unsmil) ha chiesto ieri una tregua di due ore nel sud di Tripoli per evacuare i civili e i feriti. Ma l’appello è caduto nel vuoto perché i combattimenti non si sono fermati. Preoccupazione per l’inizio di un conflitto ad alta intensità è stata espressa anche dagli Emirati Arabi Uniti che, insieme ad Egitto e Russia, sostengono apertamente il leader del Lna. Che la tensione sia molto alta è confermata anche dal fatto che il contingente del Commando Africa degli Stati Uniti è stato evacuato per “motivi di sicurezza”. Ieri il Segretario di stato americano Mike Pompeo ha chiesto ad Haftar di fermare immediatamente l’avanzata del suo esercito verso Tripoli. In un comunicato, Pompeo ha anche detto di essere “profondamente preoccupato” per gli scontri che stanno avendo luogo vicino alla capitale. “Questa campagna militare unilaterale contro la capitale sta mettendo in pericolo i civili e minando le prospettive di un futuro migliore per tutti i libici”. “Tutte le parti [del conflitto] – ha poi aggiunto – si devono assumere la responsabilità di ridurre le tensioni” perché “non c’è soluzione militare al conflitto libico in quanto l’unica strada è quella dei negoziati”.
Una strada al momento non percorribile. Le forze alleate al governo di Tripoli, infatti, hanno dato inizio all’operazione “Vulcano di rabbia” con l’obiettivo di difendere la capitale. Alcuni gruppi armati legati al governo al-Sarraj hanno mosso ieri diversi pick-up dotati di mitragliatrici da Misurata alla capitale nel tentativo di contrastare l’offensiva di Haftar. Il premier di Tripoli ha accusato il suo rivale di aver violato l’accordo in vigore tra i due e ha parlato di “una guerra vicina in cui non ci sarà alcun vincitore”. “Il suo attacco – ha spiegato nel corso di un’intervista televisiva – è una dichiarazione di guerra alle nostre città e alla capitale, una coltellata alla schiena, l’annuncio di un golpe contro l’intesa politica”. I due si erano incontrati diverse volte nell’ultimo anno. Nel recente incontro di febbraio ad Abu Dhabi, avevano persino concordato sulla formazione di un governo di unità nazionale e sulla necessità di indire le elezioni entro la fine dell’anno.
Per al-Sarraj la Conferenza nazionale prevista per metà aprile costituisce la strada per la formazione di uno stato “civile e democratico”. Haftar, ha affermato, è mosso “da desideri personali e da fervore individuale” e agisce “per minare il processo politico e far annegare il Paese in un ciclo di violenza e di una guerra distruttiva”. Dal canto suo l’Onu con il suo inviato speciale Ghassan Salamé ha confermato la Conferenza nazionale di Ghadames (14-16 aprile) almeno che “circostanze di causa maggiore non ci impongano di non tenerla”. Nelle intenzioni di Salamé il vertice dovrebbe creare una “road map” che porti il Paese fuori dal caos politico figlio dei bombardamenti della Nato del 2011 che hanno fatto cadere il rais Gheddafi.
Alla Libia guardano con particolare attenzione i principali attori internazionali. Sabato pomeriggio il presidente francese Macron ha discusso della questione libica con il segretario dell’Onu Guterres. All’alto funzionario delle Nazioni Unite, il leader transalpino ha ribadito il sostegno di Parigi per la sua mediazione politica. Rivelatasi, però, finora fallimentare nonostante gli incontri che ha avuto con al-Sarraj (a Tripoli) e Haftar (a Bengasi). Del caos libico si è parlato anche al vertice dei ministri degli esteri del G7 di Dinard, nord ovest della Francia. Se il ministro degli esteri francesi Le Drian ha osservato che “la soluzione può essere solo politica”, il suo pari italiano Milanese ha sottolineato come nessuno sia pronto ad accettare “il fatto militare compiuto”. Sulla crisi libica è intervenuto anche il ministro degli esteri russo Lavrov che dal Cairo ha espresso la sua speranza che “i libici possano decidere del loro futuro e iniziare un dialogo senza finte date imposte dall’esterno, né pressioni che accelerino il processo contro la loro volontà”.
Il peggioramento della situazione in Libia sta avendo effetti estremamente negativi anche per i migranti rinchiusi nei centri di detenzione della capitale. Intervistati ieri dall’emittente panaraba al-Jazeera, alcuni “ospiti” hanno denunciato di essere senza cibo e acqua. Uno di loro ha anche riferito che due militari del centro di Qasr bin Ghashir avrebbero detto loro che sarebbero stati trasferiti in un posto più sicuro, ma che i migranti temono che possano essere rapiti e torturati per motivi di riscatto. “Qui le persone stanno impazzendo. Siamo in una situazione cattiva ora, ma non sappiamo dove andare” ha detto l’intervistato che ha preferito restare anonimo per motivi di sicurezza. “Tutti vogliono andare via da qui, siamo stressati e abbiamo perso la speranza”. Paure condivise anche dall’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) che ieri si è detta “molto preoccupata” per quanto accade nelle aree di Ain Zara e Qasr bin Ghashir dove stanno avendo luogo i combattimenti. “Sentiamo i rumori dei fucili ora – ha detto un altro migrante ad al-Jazeera – abbiamo molti bambini e donne. Dobbiamo essere evacuati, non vogliamo morire qui”.