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Anp a Israele: nessun taglio nei fondi palestinesi

30 aprile 2019, Nena News
Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese attacca Tel Aviv dopo la riduzione dei trasferimenti delle tasse che Israele raccoglie per Ramallah. A rischio la tenuta stessa del governo palestinese, che preoccupa anche Netanyahu.

Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, Abu Mazen, ieri ha alzato la voce sulla stringente questione del trasferimento delle tasse palestinesi che Israele raccoglie e poi gira all’Anp. A febbraio il governo israeliano ha tagliato i fondi palestinesi di 10 milioni di dollari al mese, budget che il governo di Ramallah utilizza anche a favore delle famiglie dei prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane e delle famiglie degli uccisi dall’esercito di Tel Aviv.
Per Israele fondi usati a favore di “terroristi”. Per l’Anp denaro necessario a far sopravvivere i civili e a pagare gli stipendi: quel denaro rappresenta più della metà del bilancio annuale dell’Autorità Palestinese, 14 miliardi di dollari annui. Tanto che da mesi decine di migliaia di dipendenti pubblici, 170mila persone, sono rimasti con i portafogli semi vuoti: i salari sono stati tagliati del 40% e sono stati ridotti i servizi sanitari.
Abu Mazen ieri ha reagito: per tre volte, ha fatto sapere tramite il ministro degli Esteri al-Maliki, l’Anp ha rispedito indietro le tasse depositate da Israele perché ridotte. “Non riceveremo denaro da Israele se non sarà completo – ha detto Abu Mazen durante il consiglio dei ministri palestinese – Israele tenta di legittimare la deduzione delle tasse ma non glielo permetteremo”. E, ha aggiunto, se accettassimo i tagli “Israele sfrutterebbe ogni opportunità per compiere altri unilaterali tagli”.
Lo stesso Netanyahu, il primo ministro israeliano, sa di giocare con il fuoco: l’eventuale collasso economico dell’Anp aprirebbe scenari ben poco confortevoli per il governo di Tel Aviv. Fin dalla nascita dell’Anp, a seguito degli accordi di Oslo del 1993, Ramallah ha fatto da copertura amministrativa all’occupazione militare: governo senza autorità né Stato, paga gli stipendi, fornisce i servizi basilari dalla salute alla scuola, tutti obblighi che il diritto internazionale affida al potere occupante. Un palliativo che negli ultimi tre decenni ha permesso a Israele di liberarsi di un significativo peso economico, coperto dalla comunità internazionale, e che ha indebolito il movimento di resistenza palestinese.
Se l’Anp sparisse, Israele tornerebbe ad essere il solo responsabile amministrativo e civile dei Territori Occupati. Non solo: verrebbe meno la cooperazione alla sicurezza tra Israele e Anp, grazie alla quale Tel Aviv si garantisce affidando alla polizia palestinese una buona parte del lavoro di repressione e controllo di movimenti popolari e attivisti. Uno scenario affatto idilliaco per Tel Aviv. Tanto che ieri, dopo la denuncia di Abu Mazen, Netanyahu ha incontrato il ministro delle Finanze israelianeo Moshe Kahlon per trovare una via di uscita dalla crisi in corso.
La paura israeliana è condivisa: la stessa preoccupazione investe anche gli Stati Uniti, alleati storici israeliani, e quel mondo arabo vicino agli Usa e a Tel Aviv e che teme che il collasso dell’Anp possa condurre al caos nei Territori Occupati. Un vuoto politico che è già concreto: la maggioranza dei palestinesi non considera l’Anp un rappresentante legittimo ma allo stesso tempo ne ha bisogno per sopravvivere sotto occupazione visto l’elevato tasso di occupazione che garantisce. Al Consiglio di Sicurezza dell’Onu lo ha spiegato ieri l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Medio Oriente, Nickolay Mladenov: la situazione economica dell’Anp sta seriamente deteriorando e questo comporta un rischio per la regione.