Nayib Bukele, il mago della rete, nuovo presidente del Salvador
Claudio Madricardo 04/02/2019 |
L’ex sindaco di San Salvador Nayib Bukele ha vinto al primo turno le elezioni presidenziali del più piccolo stato del centro America ottenendo, al momento in cui scriviamo, il 53,75 per cento dei voti.
A distanza, col 31,56 per cento, lo seguono Carlos Calleja, imprenditore della più grande catena di supermercati, dell’Alianza por un Nuevo País, la cui anima era la formazione di destra Arena; e il rappresentante del FMLN Hugo Martínez col il 13,88, che raccoglie gli eredi della guerriglia che hanno governato ininterrottamente gli ultimi dieci anni.
Bukele, di origini palestinesi, è un impresario di trentasette anni che è stato espulso nel 2017 dal FMLN, aderendo in seguito al partito di destra GANA. La sua vittoria, annunciata da tutti i sondaggi che lo davano saldamente in testa, mette fine a trent’anni di alternanza tra la destra di Arena e la sinistra del FMLN, anche se da parte dei suoi avversari ci si aspettava un secondo turno.
Fin dall’inizio il nuovo presidente, che entrerà in carica a giugno, si è presentato come il candidato che si è contrapposto al sistema che ha governato il piccolo paese centroamericano dagli accordi di pace in poi, un’estesa corruzione che ha riguardato entrambi i partiti tradizionali.
Per quanto Bukele rivendichi le sue posizioni di sinistra, il partito al quale ha aderito esprime una tendenza conservatrice e di destra, e lui stesso non è stato esente da accuse di aver preso denaro avanzate da parte di giornali locali, primo tra tutti El Faro.
Di fronte alla campagna più tradizionale dei due partiti storici che escono sconfitti dalle presidenziali, Bukele si è caratterizzato come il candidato della rete, con il suo milione e mezzo di follower in Facebook e il mezzo milione di seguaci in Twitter.
Ha fatto campagna sfornando video messaggi attraenti per i giovani che lo hanno votato, rifiutandosi di partecipare ai dibattiti con i suoi contendenti, nonché di far conoscere i nomi che andranno a comporre la sua squadra di governo. E ha promesso di combattere la corruzione, la povertà e la violenza, in un paese in cui le pandillas della malavita si calcola raggruppino dai trenta ai sessantamila salvadoregni, vale a dire l’1 per cento della popolazione dell’intero nazione.
A tal punto che risulta assai difficile pensare che lo stesso Bukele non abbia dovuto venire a patti con i pandilleros, cosa di cui già sono stati accusati esponenti di Arena e del FMLN. Accuse che Bukele ha sempre rigettato, a tal punto da essere riuscito a sfruttare il malcontento verso i partiti tradizionali che hanno governato El Salvador dal 1989.
Fino ad essere creduto da parte della maggioranza di un paese che cresce economicamente meno di quello che potrebbe, che ha dato fiducia alla sua promessa di voler metter la parola fine alle impunità, sviluppando progetti di infrastrutture con il fine di frenare l’esodo dei salvadoregni verso gli Stati Uniti, che già nel recente passato Trump aveva minacciato di rimpatriare.
Tutto sta a vedere come Bukele, accusato di populismo, saprà mantenere le promesse, e soprattutto con quali risorse potrà mettere in pratica il suo piano di grandi opere. La sua elezione, dopo quella recente di Bolsonaro in Brasile, dimostra come la stanchezza verso gli scandali originati in anni recenti dai due partiti tradizionali sia stata la molla del cambiamento, col risultato che il piccolo El Salvador conferma la tendenza di un continente che, con l’eccezione del Messico di López Obrador, prosegue la sua marcia verso destra che in pochi anni ha già cambiato la sua geografia politica.