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Il blocco dei porti e la politica della paura

Alessandro Dal Lago 03/02/2019
Il blocco dei porti ordinato da Salvini pone, oltre alle questioni umanitarie, un groviglio di problemi: politici e giuridici, nazionali e internazionali: l’equilibrio dei poteri dello stato, e in particolare tra potere giudiziario e potere esecutivo, il rapporto tra un ministro e l’intero governo, il peso relativo e la coesistenza dei due partiti al potere, le relazioni con l’Europa, la possibilità che prima o poi il governo italiano sua messo in stato d’accusa da parte di una corte internazionale per violazioni patenti dei diritti umani.

Ma vale la pena anche azzardare qualche previsione sulla tenuta di una politica di chiusura che alcuni giudicheranno coerente e altri, come me, semplicemente ottusa, oltre che xenofoba.

Che abbia letto o no Hobbes, la politica di Salvini si basa semplicemente sulla paura. Dell’invasione dei “clandestini”, dei rapinatori in villa, dei manifestanti violenti, degli occupanti abusivi di case e così via. L’unica eccezione relativa è costituita dagli ultras del calcio, verso i quali il ministro degli interni ha un occhio di riguardo, perché in fondo è come loro (è ancora disponibile in rete il coro irriferibile di insulti contro napoletani a cui Salvini partecipò a Pontida nel 2009). Ora, la paura, quando è un fenomeno mediale, non ha necessariamente rapporti con la realtà. Basta che si ancori a luoghi comuni ripetuti ossessivamente da politici, giornalisti e così via e non a fatti o statistiche. Queste ci dicono che i reati, anche quelli cosiddetti predatori, sono in diminuzione, che l’Italia è uno dei paesi più sicuri del mondo, che gli arrivi dei migranti erano in diminuzione ben prima che Salvini chiudesse i porti, mentre invece, in mancanza delle navi delle Ong, la percentuale dei morti in mare è aumentata. Non solo, anche la storia delle migrazioni come effetto del Franco Cfa è una bufala pseudo-terzomondista non a caso propalata, oltre che da Di Maio e Di Battista, da ambienti dell’estrema destra.
Quindi, l’ossessione per gli sbarchi dei clandestini e il ruolo delle Ong è autoreferenziale e funziona finché Salvini è capace di alimentarla con quella che è spacciata per fermezza, ma appare soprattutto un azzardo politico sulla pelle della povera gente sequestrata per giorni e giorni in mare e al freddo. Ma funzionerà ancora? C’è da dubitarne. Per cominciare si addensano sulla testa del governo e del Ministro dell’Interno difficoltà e problemi di ogni tipo: tenuta della maggioranza, inchieste giudiziarie, crisi con l’Europa e così via. E soprattutto, anche se il governo dovesse superare lo scoglio delle Europee, arriverà la buona stagione, con la moltiplicazione di barchini e gommoni, ognuno con il suo carico di disperazione e in pericolo di naufragio. Che farà Salvini? Continuerà con il mantra della chiusura dei porti? Alla lunga, l’elettorato che oggi applaude lui e (un po’ meno) Di Maio per la loro disumana fermezza comincerà a riflettere se, per caso, tutto ciò non sia la finzione propagandistica di un governo incapace in tutto, se non nell’alimentare la paura.