Resistenza, business e welfare islamico: viaggio in Hamasland, lo “Stato” di Gaza
19/01/2019 |
Al suo interno Hamas ha una struttura ben definita e il controllo sui tutta l’informazione. E così, il dissenso pubblico nella Striscia viene soppresso.
Contrattano con l’inviato delle Nazioni Unite, l’ex ministro bulgaro Nickolay Mladenov, il rilascio dei tre carabinieri italiani assediati all’interno della struttura dell’Unrwa (l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi) a Gaza. Negoziano, con la mediazione dell’Egitto, una tregua con Israele. Costringono i funzionari dell’Autorità nazionale palestinese ad abbandonare le loro postazioni di controllo al valico di Rafah tra la Striscia e l’Egitto.
“Benjamin Netanyahu versa fondi a Hamas e noi ne paghiamo il prezzo”, ha denunciato, il 28 dicembre scorso, uno stizzito Mahmud Abbas che ha così collegato l’ingresso a Gaza di milioni di dollari del Qatar (autorizzato da Israele) con la ripresa di attentati armati di Hamas in Cisgiordania. “Il premier israeliano in persona – denuncia a sua volta il presidente dell’Anp – prende i soldi e li passa a Hamas. Loro fanno entrare armi, equipaggiamenti e soldi”. I finanziamenti delle petromonarchie sono fondamentali per Hamas, il cui consenso nella società palestinese non è dato tanto dal suo ergersi a guida della resistenza armata all'”entità sionista”, quanto dal “welfare” che è riuscito a realizzare nel corso degli anni, fatto di assistenza alle famiglie degli “shahid” (martiri), di agenzie caritatevoli islamiche che finanziano scuole, garantiscono un minimo di assistenza sanitaria e, soprattutto, occupano nell’amministrazione della Striscia – dalla sicurezza agli uffici pubblici – decine di migliaia di persone.
Si scrive Striscia di Gaza, si legge Hamasland. Al suo interno Hamas ha una struttura ben definita: il consiglio consultivo Majlis al-Shura che prende le decisioni strategiche; un’ala militare costituita dalle Brigate ‘Izz al-Din al-Qassam; l’ala che si occupa del welfare e della politica per mantenere il consenso. Hamas ha il controllo su tutta l’informazione di Gaza. Il dissenso pubblico nella Striscia viene soppresso. L’organizzazione usa la sua televisione e i canali radio Al Aqsa e organizza anche campi estivi per indottrinare i bambini a una visione islamista/palestinese del conflitto. Nel 2009, Hamas ha addirittura prodotto il suo primo film che celebra la vita e la morte dei militanti delle Brigate Qassam. Molto forte anche la presenza sui social network. Il principale sito di Ḥamas fornisce traduzioni di comunicati ufficiali e propaganda in svariate lingue: persiano, urdu, malese, russo, inglese e naturalmente arabo.
“Perché i palestinesi votano, in maggioranza, Hamas? Solo per protesta contro la corruzione crescente dentro l’Anp? Troppo semplice – annota Paola Caridi, giornalista, scrittrice, autrice di uno dei libri più competi e documentati su Hamas, Hamas. Che cosa vuole il movimento radicale palestinese (Feltrinelli)- Gli elettori scelgono anche la proposta politica lanciata da un movimento che, nelle pieghe dell’occupazione israeliana dei Territori palestinesi e del fallimento del processo di pace, ha continuato a lavorare. Soprattutto a Gaza. I quadri di Hamas vivevano nei campi profughi, frequentavano le moschee che frequentava la gente, conoscevano le condizioni di vita di tutti, si occupavano di servizi sociali e di ospedali. Erano, come molti leader e militanti usano dire, al servizio del popolo'”. Col tempo le cose sono mutate, e da movimento Hamas si è sempre più trasformata in regime.” I leader – spiega ancora Caridi – sono divenuti i controllori, e molti abitanti – nella Striscia – hanno trasformato lo slogan tradizionale di Hamas. Prima, dicono, erano ‘al servizio del popolo’. Ora sono più ‘al servizio dei loro’: dei militanti, dei settori legati al movimento e all’amministrazione, dei clientes. Questo, però, non vuol dire che Hamas non rappresenti ancora fette consistenti della popolazione della Striscia, e che non viva tra i palestinesi…”. “Non va mai dimenticato – incalza Khalil Shiqaqi direttore del Palestinian Center for Policy and Survey Researc di Ramallah, tra i più autorevoli analisti politici palestinesi
– che Hamas è un movimento sociale, ha l’appoggio di una parte importante, a Gaza maggioritaria, della società. Si tratta di un’organizzazione con scuole, ospedali, associazioni caritatevoli, università e giornali. Il braccio armato di Hamas è una piccola parte del movimento, all’interno di Hamas vi è una grande discussine e molto dissenso sull’uso della violenza…”. E qui s’innesta un’altra storia. La storia di tre guerre, di bombardamenti, razzi, invocazione al diritto di difesa (Israele) e a quello della resistenza armata contro l'”entità sionista” (Hamas). E’ la storia di punizioni collettive, di undici anni di assedio. Ma è anche la storia di un movimento islamico che, fallita l’esperienza di governo, cerca nuova legittimazione nell’indirizzare contro l’occupante con la Stella di David, la rabbia e la sofferenza di una popolazione ridotta allo stremo. Il sangue di Gaza chiama in causa i due “Nemici” che, ognuno per i propri tornaconti, hanno lavorato assieme per recidere ogni filo di dialogo e per distruggere ogni possibile compromesso. Perché “compromesso” è una parola che non esiste sia nel vocabolario politico della destra israeliana sia in quello di Hamas. Perché compromesso significa incontro a metà strada, il riconoscere le ragioni dell’altro. Compromesso significa rinuncia ai disegni della “Grande Israele” come della “Grande Palestina”.
Compromesso è ammettere che non esiste né una scorciatoia militare né una terroristica per veder riconosciuti due diritti egualmente fondati: la sicurezza per Israele, uno Stato indipendente per i Palestinesi. Combattere costa meno che fare la pace. Perché “fare la pace”, tra Israeliani e Palestinesi, non è solo ridisegnare confini, cedere o acquisire territori. Significa molto di più: ripensare la propria storia e confrontarla con quella degli altri. Significa immedesimarsi nelle paure e nelle speranze dell’altro e, per quanto riguarda Israele, guardare ai Palestinesi come un popolo e non come una moltitudine ingombrante. Nello schema di Hamas e in quello della destra israeliana non esiste il “centro”: chiunque si pone in questa ottica, altro non è che un ostacolo da rimuovere, con ogni mezzo, anche il più estremo. La destra israeliana ha bisogno di Hamas per coltivare l’insicurezza, per alimentare nell’opinione pubblica la sindrome di accerchiamento, divenuta psicologia nazionale.
Quanto ad Hamas, può al massimo contemplare una “hudna” (tregua) con Israele ma mai un riconoscimento della sua esistenza. Di Hamas, Mahmoud al-Zahar, è stato e continua ad essere uno dei leader più autorevoli e riconosciuti. Da anni è nel libro nero d’Israele che ha tentato più volte di ucciderlo con operazioni mirate: in due occasioni – nel settembre 2003 e nel gennaio 2008 – gli F16 con la stella di David hanno bombardato la sua abitazione a Gaza: ambedue le volte si è salvato, restando ferito, ma a morire sono stati due dei suoi figli. Cofondatore di Hamas, ministro degli Esteri nel governo islamico nella Striscia, Mahmoud al-Zahar ebbe a dire, in una recente intervista esclusiva concessa ad HuffPost, che “una tregua la si negozia col Nemico, così come fu fatto con lo scambio dei prigionieri (la vicenda del caporale israeliano Gilad Shalit, ndr)…”. E su chi dovrebbe negoziare per i palestinesi, al-Zahar era stato perentorio: “Questo è di secondaria importanza. Ciò che conta è il mandato a cui vincolare la persona chiamata a negoziare. Per quanto ci riguarda, questo mandato avrebbe due punti fondamentali: la fine immediata dell’assedio a Gaza e non vincolare la tregua a condizioni che la resistenza palestinese non potrebbe accettare…”. Vale a dire: “Il riconoscimento d’Israele. Non si può riconoscere l’oppressore”. Resistenza, welfare, ed “economia sotterranea”.
L’economia dei tunnel. Nei circa mille tunnel realizzati nella Striscia lavorerebbero 7mila persone. Sono condotti ad alta ingegneria, alcuni dei quali possiedono anche elettricità, ventilazione, interfono, e sistemi di trasporto su rotaie. Molti degli ingressi sono stati trovati all’interno degli edifici stessi di Gaza, cosa che viene spesso usata da Israele come motivo dei raid aerei sulle abitazioni civili. Nonostante durante l’operazione Piombo fuso più di cento tunnel siano stati colpiti dai bombardamenti israeliani, molti dei cunicoli sono stati poi ricostruiti in pochi giorni visto che a esser danneggiati erano soprattutto gli ingressi e non le sezioni centrali. Un’economia sotterranea che fruttava, fino a non molto tempo fa, a Gaza il 90% del suo “Pil”. Da quei tunnel, attraverso autostrade sotterranee anche a 40 metri di profondità, veniva contrabbandato di tutto: pecore, mucche, anche cammelli, componenti di auto, che poi venivano assemblate, benzina, cemento, cavi di ferro per le costruzioni. E armi. Perché nell’economia parallela dei tunnel Hamas aveva subito intravisto una grande possibilità di business. Decise dunque di imporre tasse e balzelli all’attività dei contrabbandieri per rimpinguare le casse del suo “Governo”, vigilando attentamente sulle merci proibite: tra cui alcool, viagra, film stranieri.
Anche il movimento islamico costruì i suoi tunnel. Più moderni e sofisticati, per importare razzi da assemblare, armi, e far transitare gli addestratori. E per sferrare attacchi al di là del confine. Resistenza e business. Zaki Chehab è uno dei più importanti giornalisti del mondo arabo (ha lavorato, tra gli altri, per il Guardian, la Cnn, Channel 4 News, la Bbc e il Washington Post, ed è Political editor per Al Hayat, quotidiano arabo con sede a Londra). Così concludeva il suo libro Hamas. Storie di militanti, martiri e spie (edito in Italia da Laterza): “La realtà è che Hamas, a prescindere dalle sue fortune politiche, non scomparirà nel nulla, e nessuna azione militare riuscirà a sradicarlo. L’idea che l’esercito israeliano possa distruggere Hamas a suon di missili e carri armati riporta alla mente un raccapricciante commento degli americani durante la guerra in Vietnam: ‘Abbiamo distrutto quel villaggio per salvarlo’.
Questa strategia non funzionò in Vietnam e non funzionerà con Hamas. Hamas non è una forza guerrigliera venuta da un mondo alieno. Hamas è il fratello, il vicino, o l’uomo che dà a tuo figlio i soldi per la sua istruzione. Fintanto che queste persone rappresenteranno il popolo palestinese nelle urne, l’Occidente e qualsiasi governo futuro dell’Anp dovrà accettarle per quello che sono – il lupo perde il pelo ma non il vizio – e dovrà trattare con loro”. Quello che Netanyahu sta facendo.