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La Cina e quei ‘fastidiosi’ giovani marxisti

D. L. – 2 GENNAIO 2019
Il paradosso del Partito Comunista che ostacola gli studenti marxisti, ne parliamo con l’analista ISPI Sergio Miracola.

La Cina, oltre a fronteggiare i problemi di un evidente rallentamento della sua impetuosa crescita economica, si trova sempre ad affrontare questioni di carattere socio-culturale, con le quali il Governo centrale mette in campo tutta la sua autorità, facendo così emergere le naturali contraddizioni di un Paese che è sì aperto al mondo, ma con ferma rigidità.
Lo scorso maggio, a Shenzhen, in Cina, sono esplose le proteste dei lavoratori della Jasic Technology Co. – una società quotata in borsa specializzata nella produzione di oggetti tecnologici – mobilitatisi per creare un sindacato indipendente. A fine luglio, mentre andava in scena l’ennesimo sit-in degli attivisti, una trentina di lavoratori sono stati prima picchiati – gli organizzatori, Mi Jiuping e Liu Penghua, sono stati malmenati da teppisti e formalmente licenziati – e poi prontamente arrestati dalle forze di sicurezza e, alcuni di essi, sono ancora trattenuti dalle autorità di Shenzhen. Come rendeva noto, in un articolo datato 1 novembre, l’organizzazione no-profit CLB (China Labour Bulletin) «delle 30 persone arrestate il 27 luglio, il 3 settembre, quattro sono state formalmente accusate di ‘radunare una folla per disturbare l’ordine pubblico’. Dal primo ottobre non sono stati autorizzati a vedere il loro avvocato e uno dei legali è stato messo sotto pressione dalle autorità locali per dimettersi dal caso».
La Direzione della Jasic ha accusato gli attivisti dei lavoratori di raccogliere illegalmente firme per il loro piano di sindacalizzazione sotto le spoglie di un modulo di domanda di addestramento antincendio e, dopo gli arresti, a seguito delle numerose critiche, ha rilasciato un comunicato in cui si difende evidenziando, sostanzialmente, tre punti principali, nei quali si evince che la compagnia: «ha respinto la lotta contro i dipendenti in conformità con la legge e ha mantenuto il normale ordine di gestione della società»; protegge i legittimi diritti e gli interessi dei lavoratori; ha «effettuato in modo ordinato dal maggio di quest’anno, il lavoro per formare un sindacato secondo la legge».
Quanto dichiarato dalla società cinese, però, non è bastato a raffreddare il clima intorno alla vicenda che si è ravvivato con la discesa in campo, a fianco dei lavoratori, di alcuni movimenti studenteschi di ispirazione marxista.
Alle 5 del mattino del 24 agosto, dopo le proteste, circa 50 studenti attivisti sono stati fermati e detenuti dopo un raid della Polizia nell’appartamento dove erano soliti riunirsi presso la città di Huizhou. Evento simile a quello successo il 15 novembre 2017 – stando alle testimonianze riportate dal blog ‘Chuang’ – quando la Polizia arrestò sei membri di un gruppo di studenti della Guangdong University of Technology (GDUT), con l’accusa di radunare folla per disturbare l’ordine sociale.
Tra gli studenti posti in stato di fermo a Huizhou spicca il nome di Yue Xin della Peking University e, insieme a lei, molti altri alunni della Renmin University e della Nanjing University.
Proprio la Xin, qualche giorno prima, aveva pubblicato una lettera aperta indirizzata al Presidente cinese Xi Jinping e al Comitato Centrale del PCC, nella quale esprimeva il proprio sostegno agli operai. Nella prima parte del lungo ‘j’accuse’, Yue Xin denuncia le pratiche illegali e le condizioni cui erano sottoposti i lavoratori della compagnia hi-tech e poi attacca la Polizia di Pingshan che «non solo non è riuscita a combattere per la giustizia degli operai della Jasic, ma è stata comprata dai capi Jasic, colludendo con loro per sopprimere i lavoratori completamente disarmati con un pugno di ferro». Successivamente, Xin se la prende direttamente con le autorità centrali, da Xi al Comitato, rei di non comprendere la natura dei movimenti studenteschi, lanciando una sorta di monito-manifesto: «per quanto riguarda coloro che ci accusano di leggere opere marxiste sotto la direzione segreta di potenze straniere, il tipo di persone che dicono questo ha perso ogni senso dell’opinione politica. Sin dalla sua nascita, il Partito Comunista Cinese ha aderito al marxismo-leninismo come sua filosofia guida. Comprendere che studiamo il marxismo solo per volere di potenze straniere equivale ad accusare il Partito stesso di essere una forza esterna. È come dire che perseguendo l’equità e la giustizia, combattendo contro gruppi malvagi, il Partito si sta effettivamente impegnando nel reazionismo».
Quanto accaduto a Shenzhen, dunque, è importante perché pone i riflettori su due questioni che possono essere interpretate tanto univocamente, quanto disgiuntamente: il problema del lavoro e dei sindacati – che abbiamo trattato la settimana scorsa – e la crescita dei movimenti giovanili marxisti, che rappresentano un po’ il disagio delle nuove generazioni cinesi. Due aspetti che, inevitabilmente, riconducono ad un unico assunto: la poca flessibilità che contraddistingue lo Zhongnanhai nel tollerare movimenti indipendenti di qualsivoglia natura.
Per approfondire meglio come il Governo ostacola i giovani marxisti e, quindi, quali sono i disagi che vivono le nuove generazioni abbiamo contattato Sergio Miracola, analista strategico presso la NATO e collaboratore ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), esperto delle vicende socio-politiche cinesi.
“Il Governo ha subito attaccato la celebre Peking University, perché è da lì che il movimento studentesco ha cominciato a muovere i suoi passi”, dice Miracola, ripercorrendo quanto successo dopo le proteste a sostegno dei lavoratori della Jasic,“non a caso, l’università è stata nuovamente presa di mira il 26 dicembre, quando un gruppo di studenti si è riunito per celebrare l’anniversario della nascita di Mao Zedong. Qiu Zhanxuan, studente a capo del gruppo dei nuovi marxisti, è stato prelevato dalla Polizia”. L’Università di Pechino, inoltre, riveste anche significati simbolici “dato che è da lì che si è anche sviluppato il movimento che ha poi portato i giovani in piazza Tianenmen nelle infauste giornate di giugno del 1989”.
Alcuni membri del partito sembrano a disagio riguardo alla proliferazione di questi gruppi di studenti dediti al marxismo e al maoismo e che intonano i canti dell’Internazionale. Sono preoccupati che le loro richieste, che affondano le radici nei principi comunisti come uguaglianza economica e diritti dei lavoratori, possano minare il capitalismo professato della Cina contemporanea, governata proprio dal Partito Comunista.
C’è da interrogarsi, quindi, da dove nasca questo sentimento delle nuove generazioni verso la filosofia marxista. “Paradossalmente questo sentimento nasce proprio dalle politiche del Partito Comunista”, afferma Miracola, che prosegue, “negli ultimi anni, soprattutto da quando Xi Jinping ha preso il potere, il Governo ha fortemente incoraggiato lo studio del marxismo e del maoismo. Sono stati proprio i precetti del marxismo e del maoismo a spingere gli studenti a supportare la causa dei lavoratori contro lo sfruttamento da parte del Governo centrale”. “Inoltre”, continua l’analista,“questo nuovo sentimento parte anche dall’approccio che gli studenti e i giovani hanno nei confronti proprio del Partito Comunista cinese e della sua missione politica”.
«L’attenzione degli studenti verso le lotte operaie sta aumentando al giorno d’oggi, in parte con la facilità di diffondere informazioni su Internet», sono le parole riportate dal ‘Financial Times’ di uno studente della Tsinghua University, che poi ha continuato dicendo che tali movimenti giovanili si devono confrontare «con le pressioni delle nostre università che vogliono controllare le società studentesche».
Ma perché gli studenti marxisti rappresentano un problema per il Governo comunista cinese? Perché questa ostilità? “Uno dei problemi principali riguarda non tanto il marxismo, bensì l’organizzazione sindacale in sé”, spiega l’analista NATO, “il PCC rappresenta tutto in Cina: è partito, Governo, associazione culturale, leader industriale e, anche, appunto, protettore dei lavoratori. Creare un’associazione sindacale significherebbe mettere in discussione la guida politica del partito. Quindi deve essere eliminata”. Un discorso che non comprende solamente i sindacati, ma in generale “l’associazionismo, poiché in Cina non è facile creare gruppi o associazioni di stampo politico-sociale-culturale, in quanto potrebbero minare l’autorità e il controllo capillare che il partito ha sulla società”. Continuando sempre sull’autoritarismo del Partito-Stato, Miracola, quindi, allarga la prospettiva, gettando uno sguardo anche alla spinosa questione della libertà religiosa, “sulla stessa scia possono essere lette le campagne contro alcune religioni, come cattolicesimo e buddhismo, oppure contro movimenti spirituali, come quello Falun Gong, proprio per la loro vocazione associazionista che riconosce in altre entità al di fuori del Partito Comunista la superiorità spirituale”.
«Gli studenti di oggi sono gli operai di domani; i nostri destini sono strettamente intrecciati», si legge nella lettera di Yue Xin ed è naturale dunque pensare al rapporto che c’è tra lavoro e università. “Il rapporto non è così scontato, più che altro si intrecciano diversi livelli di analisi”, dice Miracola, che poi continua, “se da un lato il Governo cinese desidera che la propria classe media possa ottenere livelli di istruzione sempre più elevati così da diventare un importante capitale umano sul quale può investire per il futuro sviluppo del Paese, dall’altro spinge i giovani a riscoprire il valore della campagna e della fabbrica per conoscere le radici del Partito Comunista Cinese”. Così facendo, quindi, “il Partito Comunista cerca, da un lato, di potenziare la società ma, dall’altro, di allontanarla da potenziali rivendicazioni sociali che possano minare la stabilità del partito”.
La questione del lavoro in Cina rimane, però, complicata e svantaggia le nuove generazioni. “Pur avendo tirato fuori dalla povertà oltre 68 milioni di cinesi, dall’altro versante il lavoro in Cina è ancora poco protetto e regolamentato”, dice Miracola, che prosegue, “ciò implica che i giovani vengono ampiamente sfruttati per favorire il grande progetto di espansione tecnologica cinese che deve raggiungere entro il 2025 il famoso primo step del progetto del Made in China 2025”.
Gli studenti marxisti che sono scesi in piazza e che sono stati arrestati, dunque, sono, in piccola parte, simbolo di quelle nuove generazioni di ragazzi cinesi che, sebbene abbiano più opportunità dei loro genitori e si ritrovino dentro una realtà progredita in pochissimo tempo, vivono – come dice Miracola – “problemi strutturali molto rilevanti che continuano a minacciare la stabilità del sistema”. L’analista poi elenca quali sono queste problematiche cui i giovani cinesi devono far fronte. “Innanzitutto le garanzie lavorative non sono al pari di quelle dei Paesi occidentali. Ottenere un lavoro stabile con garanzie costituzionalmente garantite è molto difficile”. Un altro problema riguarda il sistema pensionistico, “come recita una celebre frase apparsa spesso sui principali quotidiani e think tank internazionali, la Cina «diventerà vecchia prima di diventare ricca». Ciò implica che sulle nuove generazioni è stato scaricato il costo delle pensioni e del welfare le quali, con un salario più elevato, dovrebbero mantenere generazioni più anziane”.
Inevitabile, dunque, non pensare alle contraddizioni che vive oggi il Paese. Per Miracola ne spiccano due in particolare. “Da un lato la contraddizione nazionale tra sviluppo del capitale umano necessario per la crescita del Paese e la necessità di bloccare le spinte provenienti dal basso le quali, potenziate grazie alle politiche di crescita, cominciano a richiedere maggiore democratizzazione del sistema”. “L’altra contraddizione, più di carattere culturale-organizzativo, riguarda il rapporto tra comunismo inteso come ideologia e capitalismo come sistema di crescita e di sviluppo”, continua l’analista, che conclude, “la Cina continua a professare politiche volte alla protezione delle fasce più deboli secondo i principi del comunismo, quando in realtà le stesse fasce della popolazione vengono sfruttate secondo logiche capitalistiche da diciottesimo secolo, dove interi segmenti della popolazione più debole vengono sfruttati senza sicurezze e protezioni sociali, al solo scopo di garantire massima produttività durante la fase di espansione del Paese”.