General

CISGIORDANIA. Ai domiciliari gli assassini di Aisha al-Rabi

11 gennaio 2019, Nena News
Già rilasciati i cinque giovani coloni responsabili dell’omicidio della donna palestinese, colpita da una pietra mentre viaggiava in auto con il marito. Per lo Shin Bet si tratta di terrorismo, ma il mondo politico li difende

E’ durata ben poco la detenzione dei cinque giovani coloni israeliani arrestati per l’omicidio della donna palestinese di 47 anni, Aisha al-Rabi, colpita da una pietra a metà ottobre mentre viaggiava in auto con il marito. Ieri una corte israeliana ha ordinato gli arresti domiciliari per quattro sospetti, a pochi giorni dal loro fermo. Solo il quinto resterà in prigione per un’altra settimana. 
Eppure, secondo lo Shin Bet, l’intelligence interna israeliana, i coloni sono sospettati “di un gravi reati di stampo terrorista, tra cui l’omicidio”. Terroristi ma meritevoli di un trattamento speciale, visto che per reati molto meno gravi i palestinesi non vengono mai rilasciati fino al processo. L’arresto era stato annunciato dallo Shin Bet domenica scorsa: secondo l’agenzia, tutti e cinque i minorenni sono residenti nell’insediamento di Rehelim, considerato illegale anche dalla legge israeliana, vicino la città palestinese di Nablus.
Tutti e cinque sono studenti di una yeshiva, una scuola religiosa, nella colonia. Secondo lo Shin Bet “attivisti di estrema destra” della vicina colonia di Yitzhar (nota per l’estremismo radicale dei suoi residenti e per essere il luogo di fondazione di un’organizzazione radicale, la Hilltop Youth, responsabili di numerosi attacchi contro palestinesi) hanno raggiunto i cinque il giorno dell’attacco per dargli istruzioni in merito.
Dalla loro parte, però, hanno la politica: la madre di uno dei giovani coloni ha ricevuto l’accorata telefonata della ministra della Giustizia (quella che in teoria dovrebbe garantire il rispetto delle leggi), Ayelet Shaked, che le ha espresso vicinanza e le ha detto “di essere forte”.
Forti di sicuro dovranno dimostrarsi gli otto figli di Aisha al-Rabi, privati della madre tre mesi fa su una strada vicino Nablus. Già all’epoca il marito Yacoub – che guidava l’auto e ha riportato ferite minori – aveva indicato in un gruppo di “giovani coloni, sei o sette” i responsabili del lancio di pietre. La vera rappresaglia l’ha subita la sua famiglia: due settimane dopo l’omicidio, Israele ha revocato i permessi di lavoro in territorio israeliano al marito e a un parente di Aisha.
Atti affatto sporadici: secondo un rapporto del quotidiano israeliano Haaretz, gli attacchi da parte di cittadini israeliani contro palestinesi è aumentato nel corso degli ultimi anni. Triplicato: dai 140 attacchi (contro persone, uliveti, case, automobili) del 2017 ai 482 del 2018. Ma in questi casi la politica non interviene e non lo fa neppure la magistratura israeliana, particolarmente blanda quando si tratta di perseguire cittadini israeliani.
Dati alla mano – quelli raccolti negli ultimi anni da numerose organizzazioni, sia israeliane che internazionali – se di fronte a una corte israeliana (nei Territori Occupati vige la legge militare e non civile, applicata invece agli israeliani) il 99,74% dei palestinesi accusati di un reato viene condannato, le violenze dei coloni sono punite in meno del 2% dei casi (dati Yesh Din). Una realtà tanto sproporzionata che nel maggio 2016 l’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha deciso di non rivolgersi più alle corti israeliani.