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Bahrein ed Emirati, condanne definitive per due difensori dei diritti umani

Riccardo Noury 1 GENNAIO 2019
Quasi di nascosto, mentre le rispettive popolazioni si apprestavano a celebrare l’arrivo del nuovo anno, la Corte di cassazione del Bahrein e quella degli Emirati Arabi Uniti hanno confermato le condanne a cinque e dieci anni di carcere inflitta a due noti difensori dei diritti umani, Nabil Rajab (nella foto) e Ahmed Mansoor.

Rajab, fondatore e poi presidente del Centro per i diritti umani del Bahrein e del Centro per i diritti umani del Golfo, è entrato nel mirino delle autorità sin dall’inizio della “rivolta di San Valentino” del 2011 a causa delle sue denunce sulle violazioni dei diritti umani.
Da ultimo, è stato arrestato il 13 giugno 2016. Ha ricevuto una prima condanna a due anni nel 2017 per aver rilasciato interviste sulla situazione dei diritti umani e poi, lo scorso anno, una seconda a cinque anni per aver twittato contro la guerra in Yemen (cui il suo paese prende parte nell’ambito della coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita) e sulle torture nella prigione di Jaw.
Ahmed Mansoor, premio Martin Ennals per i difensori dei diritti umani nel 2015, sconterà definitivamente la condanna a 10 anni emessa lo scorso maggio per aver pubblicato post sui social media contenenti, secondo i giudici, “informazioni false, dicerie e menzogne” che avrebbero messo in pericolo “l’armonia sociale e l’unità” del paese. Il processo si è svolto a porte chiuse.
Mansoor, a sua volta perseguitato dal 2011, ha accusato l’azienda italiana Hacking Team di aver infettato il suo computer con un software-spia per consentire alle autorità emiratine di avere accesso alle sue comunicazioni.