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Tanzania: la rapace ipocrisia dell’Occidente

18.11.2018 – Leopoldo Salmaso
C’era una volta un paese africano, la Tanzania, elogiato da tutto l’occidente perché “pacifico, tollerante, ospitale, etc. etc.

Grazie al suo ‘padre’ fondatore J. K. Nyerere, maestro elementare, la Tanzania guadagnò l’indipendenza dal dominio coloniale nel 1961 senza versare una goccia di sangue, a differenza di tutti i paesi confinanti fra i quali il Kenya dei ‘Mau-Mau’ (uno dei primi esempi storici di terrorismo rivolto contro i civili).
La Tanzania di Nyerere fu tanto elogiata a parole, e sostenuta dalle ONG (quelle vere) di tutto il mondo, quanto boicottata dal gotha della finanza mondiale: Nyerere era un pericoloso nemico solo per loro, molto più che Samora Machel, morto nel 1986 in seguito a incidente aereo per probabile sabotaggio o Thomas Sankara, assassinato nel 1987 dal suo braccio destro, sicario dell’Occidente. Infatti Nyerere era il più influente oppositore dell’apartheid sudafricana, il più autorevole leader africano fra i Paesi Non Allineati, il più carismatico promotore dell’OUA (Organizzazione per l’Unità Africana). Inoltre il ‘socialismo tradizionale africano’ di Nyerere era duro a morire, e così negli anni ’80 l’ondata di neoliberismo (non paga dello sfruttamento neocoloniale) prese di mira anche la Tanzania. Ecco alcuni fatti salienti:
1981: gli USA di Reagan pongono il veto alla nomina del tanzaniano Salim A. Salim a Segretario Generale dell’ONU;
1983: Nyerere tenta una disperata mossa valutaria, mettendo fuori corso le vecchie banconote in sette giorni;
1983: al vertice mondiale di Cancun, Reagan svillaneggia Nyerere;
1984: Nyerere annuncia che non si ricandiderà alla Presidenza della Repubblica Unita di Tanzania;
1984: il Primo Ministro tanzaniano Edward M. Sokoine, successore in pectore di Nyerere, muore in un incidente stradale molto sospetto, causato da un infiltrato dell’ANC (African National Congress) di Nelson Mandela. Nyerere si trovò costretto a bloccare ogni indagine su quella probabile congiura internazionale per non lasciare dubbi sul suo sostegno a Mandela proprio nei mesi critici in cui il Sudafrica avrebbe scelto fra l’aperta guerra civile e la resistenza non violenta.
Dal 1985 al 2015 si susseguono tre presidenti che, volenti o nolenti, traghettano la Tanzania nelle grinfie del dio Mercato: lo scellino tanzaniano viene stabilmente agganciato al dollaro USA sotto il rigido controllo del FMI (Fondo Monetario Internazionale) col suo famigerato structural adjustment: smantellamento dello stato sociale e privatizzazione delle risorse strategiche nazionali.
E qui la rapina neocolonialista raggiunge il paradosso: con il nuovo corso, certificato dal FMI, l’economia tanzaniana cresce mediamente del 7% ogni anno, a fronte dello striminzito 2,5% degli USA, eppure il cambio fra lo scellino e il dollaro USA (con la sua corte di valute ‘pregiate’) invece che rivalutarsi precipita da 600 Tshs per un US$ nel 1998 a quasi 2400 a fine 2018, cioè registra una svalutazione prossima al 400%.
Fonte: https://tradingeconomics.com/tanzania/currency
Ebbene, facciamo “i conti della massaia”, sapendo di sovra-semplificare ma non essendo disposti a farci turlupinare. Allora, se nel 1998 ci volevano 600 scellini tanzaniani (Tshs) per comprare un dollaro USA, possiamo dire che il Prodotto Interno Lordo (PIL1 ) degli USA era 600 volte più grande di quello tanzaniano… anzi, aspettandoci le acrobatiche obiezioni degli econometristi, concediamo che fosse 600.000 volte più grande. Non ci interessa il valore assoluto bensì quello relativo: qualunque fosse stato il rapporto di cambio, dopo 20 anni in cui il PIL della Tanzania è cresciuto più di quello degli USA -parola di FMI- quel rapporto doveva scendere, non crescere.
La tabella allegata mostra le due ipotesi (600 oppure 600.000 Tshs per un US$) con i rispettivi incrementi annui. Qualunque sia il valore assoluto, resta il fatto che il PIL tanzaniano è quasi quadruplicato mentre quello degli USA è cresciuto solo del 64%; resta il fatto che, se nel 1998 ci volevano 600 Tshs per un dollaro, oggi ne dovrebbero bastare 254…
Domanda: come mai ce ne vogliono quasi dieci volte tanti, invece che la metà?
“Ma è l’inflazione, bellezza!”, rispondono in coro gli econometristi, “Il PIL della Tanzania cresce sì del 7% ma l’inflazione cresce del 20% e più, perciò il cambio peggiora ogni anno, bellezza!”… E con ciò pretenderebbero di tappare la bocca ai ‘profani’.
Leggiamo sull’enciclopedia Treccani: inflazione = diminuzione progressiva del potere di acquisto (cioè del valore) della moneta.
Allora riformuliamo la domanda:
– Perché il valore della moneta tanzaniana diminuisce invece che crescere?
– Perché quella moneta registra una diminuzione progressiva del suo valore, bellezza!
Dire che la moneta Tanzaniana ha perso valore a causa dell’inflazione è una tautologia in perfetto stile econo-metrico: l’econometria disdegna ogni componente sociale, psicologica o -orrore!- emotiva, salvo poi a parlare spudoratamente di ‘umore’ dei mercati, di ‘panico’ in borsa, di ‘profezie’ che si autoavverano, etc. etc.
– Un momento… qual è il punto?
– Il punto è che l’inflazione è la più grande truffa nella storia dell’umanità! Un imbroglio ovvio, e nessuno indaga sulle cose ovvie…
L’econometria ha spodestato l’Economia classica che, non a caso, si chiamava Economia Politica. E così diventa sempre più estranea, anzi ostile, all’economia reale.

1 Anche il PIL è un indicatore scellerato, ma qui ci limitiamo ad usare gli argomenti del FMI.