SIRIA. Afrin, la persecuzione dell’esercito turco e dei jihadisti
Rossella Assanti 2 novembre 2018 |
A quasi otto mesi dall’occupazione del cantone curdo siriano, sono ancora migliaia gli sfollati nei campi improvvisati. Tra loro molte famiglie cristiane e un prete, Diyar, che oggi racconta i massacri.
Afrin, qui ha inizio l’inferno scatenato dallo Stato turco con l’occupazione della città nel Kurdistan siriano. Un’occupazione barbara e violenta completata nel marzo 2018. “Piovono missili sui nostri tetti”. E ancora: “Ci hanno sfrattati con la forza, minacciandoci di ucciderci tutti. Hanno preso i nostri vestiti, persino i giocattoli dei bambini. Ci dicevano che erano di loro proprietà da quel momento”.
Queste erano le voci rotte dal dolore che ci giungevano dai curdi di Afrin. Tra il 17 e 18 marzo sono stati 200mila gli sfollati, ora divisi nei campi profughi di Sahaba, Fafeen e altri villaggi limitrofi. Molti sono scappati non solo per la violenza inflitta a loro in quanto curdi, ma anche in quanto – in alcuni casi – di religione cristiana.
“Non ci è concesso essere curdi. Non ci è concesso essere cristiani. Non ci è concessa la vita per l’esercito turco e i suoi mercenari alleati”. Così ci racconta H., ora rifugiato nel campo profughi di Sahaba: “Ci hanno sfrattati, umiliati e uccisi. Come atto dimostrativo di ciò che ci avrebbero fatto, le milizie jihadiste hanno ucciso un uomo cristiano, gli hanno tagliato la testa”.
“Restiamo Umani”, ripeteva Vittorio Arrigoni. Ci stiamo provando, ci stanno provando soprattutto loro che in qualche modo nei campi profughi cercano di ripartire “senza perdere la nostra umanità, perché non possiamo diventare belve come loro”.
Diyar è un prete che non si è arreso, ha creato una resistenza fatta di aiuti umanitari che riesce a far giungere a piccole dosi nellle zone di Sahaba, dove le ong non giungono. Nemmeno quelle che professano di esserci arrivate. Solo Heyva sor a Kurd, la MezzaLuna Rossa del Kurdistan, la chiesa e la stessa amministrazione del campo provvedono ad aiutare le centinaia di famiglie presenti nel luogo. Ma i viveri non sono abbastanza e l’inverno è alle porte.
Diyar fa di tutto pur di non far perdere la speranza a un popolo martoriato.
Qual era la situazione dei curdi in generale e delle famiglie cristiane presenti ad Afrin prima dell’invasione turca?
Le famiglie cristiane ad Afrin prima dell’occupazione turca erano 250, centinaia erano già migrate in Europa. Prima che la Turchia occupasse Afrin, i cristiani vivevano tranquillamente assieme a tutte le altre famiglie curde sia musulmane che laiche. L’amministrazione curda ha sempre protetto la libertà di religione anche cristiana, non è mai stato permesso agli estremisti di entrare nella città. Poi con l’invasione della Turchia e delle milizie jihadiste molte persone si sono rifugiate nelle chiese. Ma più l’esercito avanzava seminando violenza, più capimmo che avremmo avuto la peggiore delle sorti.
Quali minacce incombevano sui curdi?
Minacciavano di ucciderci. Abbiamo inviato appelli a tutte le chiese, persino al Vaticano in Italia. Ma le nostre richieste cadevano nel vuoto. Dove sono qui il Vaticano e il papa? Le milizie estremiste islamiste reclutano da tutto il mondo, mi chiedo perché invece dove c’è bisogno di aiuto quell’aiuto non arriva.
Quali sono state le cose più atroci alle quali ha assistito?
Ad Afrin una donna cristiana è stata catturata, violentata più volte e infine inchiodata a una croce in città. Persone macellate come pecore. I miliziani arabi, jihadisti turchi, ma anche provenienti dall’Asia, dalla Cina, hanno da subito minacciato di massacrare la popolazione curda. Ci sono stati stupri a non finire non appena sono entrati in città. Incendi, saccheggi. 400 villaggi martoriati. Le nostre chiese sono state bruciate. Qui abbiamo cercato di ricostruire, siamo riconosciuti anche in territorio siriano ma non abbassiamo la guardia. Ci troviamo ancora di fronte a minacce di terroristi della Turchia che potrebbero bersagliare i cristiani anche nei campi profughi
Diyar ha gli occhi di chi resiste, come tutto il popolo curdo che non si arrende a queste barbarie che violano i diritti umani e ignorano la convenzione di Ginevra. Una violenza perpetrata sotto un silenzio internazionale che funge da macabro sfondo. Ma la resistenza nel campo la fanno anche i bambini, che non perdono la speranza e hanno imparato ad addormentarsi anche sotto il rumore degli aerei da guerra che passano sopra le loro teste nelle notte.