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YEMEN. Pioggia di bombe saudite su Sana’a

2 novembre 2018, Nena News
Dopo l’appello Usa al cessate il fuoco, i jet dei Saud colpiscono oltre 20 volte la capitale del paese mentre il governo yemenita apre al dialogo.

La risposta saudita alla richiesta statunitense di cessare il fuoco per andare al negoziato entro 30 giorni è arrivata subito: la coalizione anti-Houthi ha lanciato una serie di pesanti raid aerei contro la capitale yemenita Sana’a, da settembre 2014 controllata dai ribelli. Nel mirino dei caccia, l’aeroporto internazionale e una base vicina, al-Dulaimi, che secondo il portavoce della coalizione a guida saudita, il colonnello Turki al-Malki, sarebbe utilizzata per lanciare missili balistici. Ha poi promesso di fornire le prove in una successiva conferenza stampa.
Almeno una ventina i bombardamenti secondo al Jazeera, trenta secondo al-Masirah, tv vicina al movimento Houthi. L’aeroporto sarebbe comunque utilizzabile dalle Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali, gli unici attori che possono, previa autorizzazione saudita, usare lo scalo per portare aiuti alla popolazione civile.
Poche ore prima, nella giornata di ieri, il governo yemenita del presidente Hadi – alleato dell’Arabia Saudita – aveva risposto con favore all’appello statunitense di cessate il fuoco, espresso sia dal segretario di Stato Pompeo che dal capo del Pentagono Mattis: l’esecutivo in una nota pubblicata dall’agenzia di stampa Saba si è detto pronto ad accogliere “tutti gli sforzi per riportare la pace” e “ad avviare immediatamente colloqui sul processo di costruzione della fiducia, a partire dal rilascio di tutti i detenuti, i prigionieri e le persone rapite”.
La richiesta Usa è stata molto specifica: fine del lancio dei missili da parte Houthi e dei bombardamenti sauditi entro 30 giorni e incontro con l’inviato dell’Onu per lo Yemen, Martin Griffiths, in Svezia entro novembre. Per alcuni con i raid su Sanaa Riyadh ha sfidato l’alleato con cui i rapporti scricchiolano a causa del caso di Jamal Khashoggi, il giornalista dissidente ucciso il 2 ottobre nel consolato saudita di Istanbul. Secondo altri, al contrario, Riyadh esegue gli ordini: dando un mese di tempo, gli Usa avrebbe concesso il via libera per un’escalation dell’offensiva prima del negoziato. Prendere il più possibile prima del tavolo del dialogo.
Di certo, però, Washington cerca di prendere le distanze da un’operazione brutale, quella contro lo Yemen, a cui sta prendendo parte fornendo ai Saud intelligence e assistenza logistica, oltre ovviamente a furniture miliardarie di armi.
Anche l’Onu interviene rilanciando i colloqui di pace, falliti nel 2016 dopo oltre cento giorni di incontri in Kuwait tra i leader Houthi e la delegazione del governo yemenita. Stavolta potrebbe esserci una spinta in più, quella degli Stati Uniti che finora non hanno mosso un dito per porre fine a una guerra che li vede protagonisti disinteressati alla pace. Perché colpire lo Yemen, nella visione saudita e statunitense, significava indebolire indirettamente l’Iran, considerato lo sponsor dei ribelli Houthi. Ma l’unico effetto è stato la devastazione del paese più povero del mondo, 50mila morti secondo dati indipendenti e milioni di persone ridotte letteralmente alla fame.