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EGITTO. Per l’omicidio di Afroto condannati due poliziotti a pene minime

16 novembre 2018, Nena News
A undici mesi dall’uccisione in caserma del giovane imbianchino, la corte condanna i due responsabili a tre anni e sei mesi di prigione. La rabbia della famiglia: “Non c’è giustizia”.

A quasi un anno di distanza dall’uccisione di Mohamed Abdel Hakim Mahmoud, il 5 gennaio scorso, il tribunale penale del Cairo del Sud ha condannato un investigatore e un poliziotto a pene carcerarie: tre anni per il primo e sei mesi per il secondo.
Mohamed, conosciuto da tutti come Afroto, aveva 22 anni e lavorava come imbianchino. Il 5 gennaio era stato arrestato con l’accusa di spaccio di droga e portato nella stazione di polizia di Moqattam. Poche ore dopo, ne è uscito morto con segni di pestaggi e torture sul corpo. Picchiato e lasciato morire, secondo testimoni in cella, sul pavimento: emorragia interna, stabilì l’autopsia, discordante rispetto alla versione degli agenti che parlarono di overdose. Nessuna droga, disse l’analisi, ma la lacerazione della milza.
Subito il quartiere si era mobitato: in centinaia scesero per le strade per protestare l’ennesima morte in custodia e si registrarono scontri con la polizia che arrestò oltre cento persone.
Per questa ragione la procura del Cairo del Sud aveva aperto due diverse inchieste, una contro i due funzionari e una contro 102 persone accusate di proteste. Alla lettura della sentenza non sono stati ammessi i giornalisti e la polizia ha circondato il tribunale per impedire ulteriori proteste da parte di familiari e amici.
Le pene accordate, alla luce di un omicidio da parte di rappresentanti della polizia, sono un’ulteriore beffa per la famiglia del giovane: “La vita di mio figlio non vale che tre anni di prigione – ha detto la madre all’agenzia indipendente egiziana Mada Masr – Il diritto alla giustizia per Mohamed è stato gettato nel cestino”. Non solo: il secondo poliziotto sarà subito rilasciato perché ha già scontato 10 mesi in carcere in detenzione preventiva.
“È ingiusto – ha aggiunto la sorella di Afroto – Dopo aver scontato la sua pena, l’investigatore tornerà alla sua vita normale”. Una vita normale che non riguarda le vittime degli abusi e delle violenze della polizia e dei servizi egiziani. Quando si arriva a processo, casi rarissimi, le sentenze sono minime. Eppure i numeri parlano di una realtà diffusa e sistematica: arresti indiscriminati, torture e pestaggi, detenzioni cautelari che durano in qualche caso anni e 60mila prigionieri politici.
Non sono poche neppure le reazioni popolari ai continui abusi. Il regime del presidente al-Sisi dovrebbe ricordare come cominciò la rivoluzione del 2011: iniziò qualche mese prima con la barbara uccisione di un giovane egiziano, Khaled Said, accusato anche lui di spaccio di droga e pestato a morte per strada da alcuni poliziotti. Dalla mobilitazione per la sua morte nacquero i semi della rivoluzione che esplose qualche mese dopo e fece cadere il trentennale regime di Hosni Mubarak.