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ARABIA SAUDITA. L’Argentina indaga MbS per crimini di guerra

27 novembre 2018, Nena News
In vista del G20 nel paese sudamericano e dell’arrivo del principe saudita, un procuratore apre un’indagine sulla campagna militare in Yemen.

Intanto il delfino vola al Cairo e a Tunisi, accolto dalle proteste. E chiede di vedere Erdogan, alla ricerca di una stabilizzazione dei rapporti regionali.

Non si placa la tensione internazionale intorno all’Arabia Saudita e le sue politiche repressive, interne ed esterne. Ieri l’Argentina ha aperto un’inchiesta sul ruolo di Riyadh nella campagna militare contro lo Yemen. “Imputato” è il principe ereditario Mohammed bin Salman. Dietro l’indagine sta Human Rights Watch che ha presentato una denuncia insieme a un procuratore federale argentino per violazione della legge internazionale di guerra.
A muovere Buenos Aires è un evento impellente: la visita di Mohammed bin Salman nel paese in vista del summit del G20 che si terrà alla fine della settimana. “MbS dovrebbe sapere che potrebbe trovarsi di fronte a un’inchiesta penale se viene in Argentina”, ha detto il direttore esecutivo di Hrw, Kenneth Roth. Difficile, pressoché impossibile, che il principe saudita venga arrestato al suo arrivo in Argentina sebbene la legge del paese promuova l’idea di una giurisdizione universale, ovvero la possibilità di indagare crimini contro i diritti umani ovunque siano stati commessi. Un’idea nata una decina di anni fa per poter perseguire i responsabili, spesso fuggiti all’estero, della scomparsa di decine di migliaia di argentini negli anni della dittatura militare.
Nel mirino del procuratore argentino c’è, dunque, lo Yemen e non il delitto Khashoggi, il solo in grado di muovere lo sdegno internazionale e di mettere in crisi le alleanze saudite nel mondo. Proprio il rafforzamento di quelle alleanze, nello specifico quelle nel mondo arabo, sono oggi il principale obiettivo di Mohammed bin Salman, impegnato da giovedì scorso in un lungo tour mediorientale volto a ribadire le amicizie di cui Riyadh oggi ha più bisogno che mai.
Dopo gli Emirati e il Bahrain, in questo momento MbS è in Egitto, accolto ieri dal presidente al-Sisi all’aeroporto del Cairo. Insieme discuteranno di rafforzamento delle relazioni bilaterali, ma anche di questioni politiche: Riyadh e Il Cairo, dopo qualche screzio intorno alla questione siriana, sono tornati grandi amici, un’amicizia cementata dalla comune avversione verso i Fratelli Musulmani e dai prestiti miliardari e dal petrolio che Riyadh riconosce al regime di al-Sisi per tenere in piedi un’economia devastata.
Ma non tutti sono disposti ad accogliere il delfino saudita con il tappeto rosso. Oggi MbS volerà in Tunisia e se il presidente Essebsi celebra già l’alleanza con i sauditi, sono i tunisini a rigettarne la visita. Alla fine della scorsa settimana un gruppo di avvocati ha presentato in tribunale un ricorso del sindacato dei giornalisti, di blogger e attivisti per i diritti umani per impedirne la visita. E in centinaia hanno allestito un presidio di protesta di fronte al palazzo presidenziale di Cartagine, dove MbS vedrà Essebsi. Alla protesta partecipa anche il Fronte Popolare che accusa Riyadh di silenziare le voci di dissenso e di normalizzare i rapporti con lo Stato di Israele a scapito dei diritti del popolo palestinese.
Resta sullo sfondo la Turchia. Questa mattina le agenzie di stampa battevano la notizia di una richiesta da parte di MbS di incontrare il presidente turco Erdogan, l’uomo che più di altri sta utilizzando l’omicidio del giornalista Khashoggi, avvenuto a Istanbul, per costringere Riyadh all’angolo. Senza mai rompere con re Salman e suo figlio, Erdogan manda avanti magistratura e investigatori e le continue rivelazioni anonime che da quel mondo arrivano.
Ieri la polizia è stata mandata a perquisire due ville nella provincia nord-occidentale di Yalova alla ricerca di parti del corpo del giornalista o di prove legate al suo omicidio. Le due ville sono di proprietà di un uomo d’affari saudita, Mohammed Ahmed Alfaouzan, vicino alla famiglia reale. Secondo il procuratore di Istanbul, è stata fatta una telefonata, il giorno prima dell’uccisione di Khashoggi, a una delle due ville. In quella telefonata Alfaouzan avrebbe discusso con Mansour Othman Abahussain, ufficiale dell’esercito saudita tra i 15 sospetti individuati dalla Turchia, dell’operazione e soprattutto di come liberarsi del cadavere.