L’Italia è un Paese che odia i cervelli (peggio ancora se giovani, donne e stranieri)
Francesco Cancellato 12 Settembre 2018 |
Qual è il Paese in cui più studi, meno lavori? In cui le donne si laureano il doppio degli uomini, ma hanno il record di inattività? In cui gli stranieri laureati hanno paghe dimezzate rispetto ai loro colleghi italiani? Benvenuti in Italia, il Paese fondato sugli alibi e l’odio per chi ne sa di più.
Stranieri, donne, giovani. Nella classifica delle categorie sociali più discriminate in Italia il podio è questo, decidete voi in che ordine. La novità, semmai, è che a queste tre categorie si aggiunge un attributo dirimente. Anche in questo caso, scegliete voi come definirlo – la cultura, l’intelligenza, il titolo di studio -, ma l’importante è che non ve lo dimentichiate, perché dice molto del Paese in cui solo il 18% della popolazione è laureato, penultimi nell’area Ocse, davanti al solo Messico, contro il 37% del dato medio e il 46% di Regno Unito e Usa: un Paese che odia i cervelli, che non sa cosa farsene, che li vorrebbe lontano. E che poi, dopo aver buttato nel cesso la più importante risorsa economica a sua disposizione, in assenza di capitale e risorse naturali, ulula alla Luna contro l’invasione dei migranti e l’Europa cattiva.
Funzioniamo così, c’è poco da fare: ad alibi e invidia sociale verso chi ne sa più di noi. E se non è sufficiente guardarsi attorno per scoprirlo, ci sono sempre i numeri del rapporto “Education at a glance” che l’OCSE pubblica ogni anno, a certificarlo. I numeri dell’edizione 2018, in questo senso, sono più che impietosi. Ad esempio, scopriamo che la distanza tra il tasso di occupazione italiano (più basso) e quello medio dei Paesi Ocse (più alto) aumenta più il grado d’istruzione sale. La diciamo meglio, se volete: all’estero, più studi più lavori. Da noi, molto, molto meno. Talmente assurdo da stropicciarsi gli occhi, per sperare di aver letto male.
E non è il solo dato assurdo, che certifica il nostro odio per il sapere: lo sapevate, ad esempio, che la spesa per studente, tra il 2010 e il 2015 è diminuita del 7%, anziché aumentare? Che rispetto alla media Ocse l’Italia spende il 27% per ogni singolo studente universitario? Che l’Italia è il Paese Ocse con gli insegnanti più anziani? O che è uno dei pochi al mondo in cui il valore reale dello stipendio di un’insegnante è sceso di 7 punti percentuali tra il 2010 e il 2016? Anni di inflazione zero, se non ricordiamo male. Come lo volete chiamare, questo, se non odio per il sapere? Come, se non menefreghismo assoluto – o, peggio: totale disinvestimento – per le giovani generazioni?
Se poi si tratta di donne e stranieri le cose peggiorano ulteriormente. Perché tanto siamo bravi a preconfezionare discorsi sulla parità di genere e a piangere lacrime di coccodrillo sui cervelli che partono e su quelli che non arrivano, tanto siamo campioni del mondo a fare l’esatto opposto nel concreto. Le donne, ad esempio, si laureano più degli uomini: il 33% sul totale, contro il 20% dei maschietti, ha il pezzo di carta in tasca. Però, storia vecchia, lavorano meno, hanno stipendi più bassi e possibilità di carriera molto più limitate. Quanto questo generi frustrazione, ce lo spiega benissimo un dato Ocse mai abbastanza sottolineato: che la percentuale record di giovani che non studiano né lavorano, tra le donne, raggiunge la percentuale record del 40%. Dieci punti più del dato medio italiano, che già di suo è doppio rispetto al dato mondiale. Applausi.
Per gli stranieri, poi, l’ipocrisia è doppia, se non tripla. Perché tutto questo avviene mentre ci lamentiamo dei cervelli che scappano e pure delle braccia che arrivano, senza comprendere che è lo stato di cose a cui ci stiamo deliberatamente auto-condannando. Ad esempio, siamo il Paese che più uno straniero è qualificato, meno lo paga. Sembra impossibile, ma è così: i giovani stranieri tra i 25 e i 34 anni non istruiti guadagnano meno del 12% dei loro coetanei italiani, mentre quelli con un’istruzione secondaria guadagnano il 30% in meno. I laureati? Il 44% in meno. Non stupisce, pertanto, che solo il 5% degli studenti universitari sia straniero, contro il 6% di media dei Paesi Ocse e il 9% dell’Europa a 23. O che tra il 2012 e il 2016 la percentuale di studenti stranieri in Italia è cresciuta del 12%, mentre quella degli studenti italiani all’estero del 36%. E non chiamatela fuga di cervelli, per cortesia: siamo noi che li mandiamo via a calci nel sedere.