La Spagna accoglie l’Aquarius, ma l’azione delle ong si restringe
Annalisa Camilli,
Internazionale, 17 giugno 2018
Il sole è
già alto nel cielo e l’aria è ferma, il rumore dell’elicottero della polizia
spagnola a bassa quota non dà tregua.
La nave
Aquarius il 15 luglio 2017. (Annalisa Camilli)
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Dopo otto
giorni in mare e 1.300 chilometri percorsi in condizioni non sempre favorevoli
per la navigazione, alle 10.25 del 17 giugno la nave umanitaria Aquarius appare
all’orizzonte ed entra nel porto di Valencia, scortata da un’imbarcazione della
guardia civil, da una della guardia costiera e dalle lance dell’ong Proactiva
Open Arms.
Aquarius
sfila con il suo scafo arancione davanti alle televisioni di tutto il mondo
schierate sul molo, mentre dal ponte i naufraghi intonano un canto. Sulla
banchina gli operatori che aspettavano l’attracco dalle prime luci dell’alba si
lasciano andare a un applauso. I medici e gli operatori sanitari spagnoli sono
i primi a salire a bordo della nave diventata il simbolo della chiusura verso i
migranti del nuovo governo italiano e della crisi politica che rischia di
mandare in pezzi l’intera Unione europea.
Circa
un’ora dopo, le 106 persone soccorse al largo della Libia scendono dalla
scaletta, tra loro undici bambini e sette donne incinte. L’ultimo a lasciare la
nave è Reward, un ragazzo nigeriano, che scherza con i soccorritori. Per
salutarlo uno degli operatori prende un’armonica e si mette a suonare. Dopo
lunghi giorni di tensione, esplode la gioia. Un agente della guardia civil
spagnola schierata allo sbarco non riesce a trattenere il sorriso. “Il momento
più difficile è stato quando abbiamo dovuto spiegare ai migranti quello che
stava succedendo”, ricorda Alessandro Porro, soccorritore di Sos Méditerranée e
operatore della Croce rossa, originario di Asti, in Piemonte. “I migranti
temevano di essere rimandati in Libia”.
La rotta
spagnola
Alle 13.30 attracca la nave Orione della marina militare italiana, nave Dattilo della guardia costiera era sbarcata all’alba. Tutti i 630 migranti respinti il 10 giugno dall’Italia sono finalmente arrivati in un porto sicuro. Più di cento sono portati in ospedale, ma solo sei sono ricoverati. Le operazioni di sbarco vanno avanti per tutto il giorno e si concludono verso le 19.30, quando le autorità spagnole definiscono Valencia “capitale europea della solidarietà” e si dichiarano soddisfatte della buona riuscita del piano di emergenza che hanno chiamato “speranza nel Mediterraneo”.
Alle 13.30 attracca la nave Orione della marina militare italiana, nave Dattilo della guardia costiera era sbarcata all’alba. Tutti i 630 migranti respinti il 10 giugno dall’Italia sono finalmente arrivati in un porto sicuro. Più di cento sono portati in ospedale, ma solo sei sono ricoverati. Le operazioni di sbarco vanno avanti per tutto il giorno e si concludono verso le 19.30, quando le autorità spagnole definiscono Valencia “capitale europea della solidarietà” e si dichiarano soddisfatte della buona riuscita del piano di emergenza che hanno chiamato “speranza nel Mediterraneo”.
“Siamo
contenti che questa inutile Odissea sia finita”, commenta la portavoce di Sos
Méditerranée Mathilde Auvillain subito dopo lo sbarco dell’Aquarius.
“L’accoglienza da parte degli spagnoli è stata molto umana, sono stati condotti
prima i controlli medici e poi le identificazioni da parte della polizia”,
continua. Il comune di Valencia ha preparato un’accoglienza imponente con la
partecipazione di più di 2.300 operatori e funzionari, tra cui 800 volontari
della Croce rossa. “Un aspetto che mi sembra molto positivo è il fatto che
siano stati coinvolti circa 400 mediatori culturali e questo permetterà ai
profughi di essere seguiti con attenzione durante le procedure di registrazione
e di identificazione, fondamentali per la richiesta di asilo”, conclude. I
migranti riceveranno un permesso umanitario valido per 45 giorni poi dovranno
accedere alla procedure di richiesta di asilo ordinaria.
Ma non
tutti condividono la speranza che le sofferenze e gli ostacoli per queste
persone siano terminati. Una parte dei migranti appena arrivati sarà trasferita
in Francia, perché il governo di Emmanuel Macron ha comunicato la sua
disponibilità, ma non vengono diffusi troppi dettagli su questa opzione. Mentre
in particolare i migranti di origine algerina e marocchina rischiano di essere
rimpatriati. Durante lo sbarco nel porto di Valencia, un gruppo di attivisti
protesta davanti alla sala stampa.
L’arrivo
di 106 migranti a bordo dell’Aquarius, a Valencia, il 17 giugno 2018.
(Kenny
Karpov, Msf)
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“Nessuno
è illegale”, gridano. Denunciano le politiche di respingimento della Spagna nei
confronti dei migranti nelle enclave di Ceuta e Melilla in Nordafrica e
chiedono la chiusura dei centri di
detenzione per il rimpatrio nella penisola iberica. “Molti dei
migranti appena arrivati sono algerini e marocchini e dopo questo lungo
calvario durato giorni in mare, ora rischiano di finire in un centro di detenzione
per 60 giorni”, afferma Iñigo, un attivista della Campagna per la chiusura dei
Centri di detenzione (Cie) mentre arrotola lo striscione con la scritta “No
Cie” per tornarsene a casa dopo il sit in.
La Spagna
è il paese europeo con più immigrati in relazione alla popolazione (il 10 per
cento) e il secondo paese dopo la Germania in termini assoluti con 6 milioni di
immigrati. Ma è anche uno dei primi stati europei ad aver investito sulla
militarizzazione della frontiera, tanto che le recinzioni
di Ceuta e Melilla, costruite negli anni novanta, sono diventate il
simbolo della cosiddetta Fortezza Europa.
Negli
ultimi due anni però la Spagna ha registrato a un nuovo aumento degli arrivi
via mare in particolare dall’Algeria e dal Marocco. Secondo l’Alto
commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) nei primi sei mesi
del 2018, in Spagna sono arrivati
più di 14mila migranti, il 50 per cento in più di quelli arrivati nello stesso
periodo del 2017, ma più o meno in linea con il numero di persone arrivate in
Italia nei primi sei mesi del 2018 attraverso la rotta del Mediterraneo
centrale. Solo nel finesettimana appena trascorso, la guardia costiera spagnola
ha soccorso 1.290 persone nello stretto di Gibilterra e al largo delle isole
Canarie. Nelle operazioni sono stati recuperati quattro cadaveri e 43 persone
risultano disperse. I numeri della rotta spagnola sono destinati ad aumentare,
secondo Frontex, ma nonostante questo, anche la Spagna è stata accusata dal
governo italiano di non “fare la sua parte” sull’immigrazione.
Un punto
di non ritorno?
Qualche ora dopo l’arrivo a Valencia, il coordinatore delle operazioni della nave Aquarius di Sos Méditerranée Nicola Stalla confessa tutto il suo sconcerto per l’esperienza appena vissuta. Originario di Alassio, in Liguria, e con una lunga esperienza alle spalle da coordinatore della missione, Stalla non avrebbe mai pensato che la Centrale operativa della guardia costiera di Roma avrebbe potuto ordinare alla nave Aquarius di attraccare a Malta, dopo aver coordinato i drammatici soccorsi di sabato notte.
Qualche ora dopo l’arrivo a Valencia, il coordinatore delle operazioni della nave Aquarius di Sos Méditerranée Nicola Stalla confessa tutto il suo sconcerto per l’esperienza appena vissuta. Originario di Alassio, in Liguria, e con una lunga esperienza alle spalle da coordinatore della missione, Stalla non avrebbe mai pensato che la Centrale operativa della guardia costiera di Roma avrebbe potuto ordinare alla nave Aquarius di attraccare a Malta, dopo aver coordinato i drammatici soccorsi di sabato notte.
“Domenica
sera ci siamo resi conto che quella decisione da parte di Roma ci avrebbe messo
in una condizione di stallo pericolosa”, afferma. “Il nostro timore era quello
di esaurire i viveri nel giro di poche ore, mentre Italia e Malta si
rimpallavano le responsabilità”, racconta. Per Stalla la lunga traversata dell’Aquarius
è la dimostrazione che i porti spagnoli e francesi non possano essere
considerati un’alternativa valida a quelli italiani per i migranti soccorsi al
largo della Libia.
Il
coordinatore della missione definisce “inumano e irrealistico” pensare che i
migranti debbano essere sbarcati in Spagna o in Francia. “I giornalisti che
erano a bordo hanno documentato cosa significhi sottoporre queste persone così
vulnerabili a un viaggio lungo attraverso il Mediterraneo, un mare tutt’altro
che facile per una nave sovraccarica in certe condizioni del meteo”.
Il caso
Aquarius è solo l’ultimo capitolo di una lungo contenzioso tra il governo
italiano e le ong in merito ai soccorsi in mare, ma molti elementi lasciano
pensare che quello che è accaduto nell’ultima settimana alla nave della ong
franco-olandese potrebbe essere un pericoloso precedente e un punto di non
ritorno nella storia di queste attività. Per reagire agli attacchi subiti negli
ultimi giorni in Italia, in una conferenza stampa dopo lo sbarco, l’ong Sos
Méditerranée ha fatto appello ai leader europei affinché promuovano un
coordinamento europeo dei soccorsi in mare. Sophie Beau, cofondatrice di Sos
Méditerranée, ha detto che il comportamento dell’Europa è “criminale”, poi si è
detta disponibile al confronto anche con il ministro dell’interno italiano
Matteo Salvini, che negli ultimi giorni ha usato parole molto dure contro le
ong, accusate di collaborare con i trafficanti di esseri umani in Libia.
“Cercheremo
di capire dalle autorità italiane cosa è cambiato”, afferma Beau, ribadendo la
volontà condivisa anche da Medici senza frontiere di tornare il prima possibile
nell’area di ricerca e soccorso. “È inaccettabile trasferire la responsabilità
dei soccorsi a paesi come la Libia, che non rispettano i diritti fondamentali
delle persone salvate in mare”, ha aggiunto.
Molti
ammettono però che lo spazio dell’azione umanitaria nel mar Mediterraneo si sia
notevolmente ristretto nell’ultimo anno a causa dell’ostilità del governo
italiano e di una campagna di criminalizzazione. “Non so se la nostra
possibilità di azione si sia ristretta”, ha detto la presidente di Medici senza
frontiere Claudia Lodesani, medico infettivologo, da poco tornata dal Sus
Sudan. “Ma vogliamo tornare al più presto a salvare vite, come facciamo anche in
altre parti del mondo, anche se operiamo in contesti ostili. Essere contro le
ong significa essere contro i diritti universali di tutti gli esseri umani”,
conclude.