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Non solo ISIS: il ritorno dei qaidisti, cresciuti all’ombra del Califfato

Lorenzo Vidino, ISPI, 11
maggio 2018

Le
operazioni antiterrorismo condotte ieri congiuntamente da Guardia di Finanza e
Polizia tra Brescia e Sassari, ma con diramazioni sul territorio nazionale e in
mezza Europa, hanno portato alla luce dinamiche della complessa minaccia
jihadista spesso ignorate ma di fondamentale importanza, specialmente in ottica
futura. 
Se negli
ultimi anni, infatti, l’attenzione, sia come fenomeno globale che come presenza
sul nostro territorio, è stata comprensibilmente focalizzata sullo Stato
Islamico, gli arresti di ieri riguardano una rete di supporto legata, secondo
l’accusa, a Jabhat al Nusra. 
Al Nusra
nasce nel 2012 come costola dell’allora Stato Islamico in Iraq, il primo
tentativo del gruppo di Abu Bakr al Baghdadi di espandersi nell’allora nascente
conflitto siriano. Negli anni successivi i due gruppi, pur avendo ideologia e
scopi pressoché identici, si sono scissi per motivi che vanno dalle divergenze
tattiche alle rivalità personali e si sono combattuti con rara ferocia (in tal
modo indirettamente favorendo Bashar al Assad, che ha avuto gioco più facile
contro una ribellione impegnata in guerre interne). Per anni al Nusra è rimasta
vicina ad al Qaeda, anche se negli ultimi mesi, dopo aver accorpato altri
gruppi e aver cambiato nome (è ora Hayat Tahrir al Sham, Organizzazione per la
Liberazione del Levante), ha proclamato la propria indipendenza da ogni
controllo esterno. 
L’impronta
qaedista è rimasta, ed è proprio quello il fattore differenzia al Nusra dallo
Stato Islamico. Il gruppo di al Baghdadi si è caratterizzato per la voluta
visibilità mediatica, i grandi proclami (in primis l’aver dichiarato il
Califfato) e le scelte strategiche azzardate. Al Nusra, pur avendo scopi di
lungo termine analoghi, ha sempre perseguito invece una filosofia più prudente.
In Siria ha cercato di radicarsi tra le formazioni dell’opposizione siriana e
di porsi come loro interlocutore, tentando altresì di bilanciare ambizioni
locali e globali. Ed invece di minacciare e preparare attacchi contro
l’Occidente, del quale però rimane nemico giurato, ha preferito lavorare in
sordina per creare una roccaforte nella provincia di Idlib e una presenza ben
radicata in altre zone della Siria.
L’approccio
qaedista, paziente e metodico, diametralmente opposto a quello dello Stato
Islamico e dei suoi adepti, si vede anche in Occidente, dove il gruppo ha
creato una presenza di cellule dormienti che compiono una serie di attività di
supporto logistico (approvvigionamento di documenti falsi, raccolta fondi….) e
possono all’occasione attivarsi per attacchi. Se le inchieste di Brescia e
Sassari paiono aver scovato un complesso meccanismo di riciclaggio di denaro e
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a favore di al Nusra, la presenza
di cellule del gruppo sul nostro territorio era già stata rilevata in passato.
E secondo il database ufficiale del Viminale in possesso dell’ISPI, tra i 125
foreign fighters partiti dall’Italia per la Siria 18 si sono affiliati ad al
Nusra (mentre una settantina al meno elitario e più aperto Stato Islamico).
Il
fenomeno è importante perché, con la dissoluzione del Califfato, ci si chiede quali
forme possa prendere il movimento jihadista nel prossimo futuro. È opinione
comune che alla crisi dello Stato Islamico stia corrispondendo la rinascita di
al Qaeda e dei gruppi ad essa legati, che hanno potuto rafforzarsi mentre tutta
l’attenzione era focalizzata sullo sconfiggere il Califfato. Ci si interroga
pertanto, senza risposte certe, su quali possano essere gli sviluppi futuri nei
rapporti tra le due anime principali del jihadismo globale contemporaneo:
ascesa di al Qaeda, crisi dello Stato Islamico, guerra serrata tra i due
gruppi, riappacificazione e fronte comune -sono tutte ipotesi possibili. È però
chiaro che la minaccia non viene solo dallo Stato Islamico ma dall’ideologia
jihadista, qualunque ne sia la sua incarnazione a livello di gruppo.