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Gli immortali padroni della Libia

Khalifa
Abo Khraisse, Internazionale, 30 aprile 2018

Non
importa quante volte gli spari, loro non muoiono, continuano a combattere come
diavoli, i proiettili non hanno alcun effetto su di loro, li attraversano come
se stessero forando un cuscino.
Una
manifestazione a sostegno di Khalifa Haftar a Bengasi, Libia, il 17 dicembre
2017. (Esam Omran Al-Fetori, Reuters/Contrasto)
Non è un
estratto da un romanzo dell’orrore, né la sinossi di un film apocalittico sugli
zombie. Queste parole vengono ripetute da molti libici come un dato di fatto
per descrivere le vicende della guerra libico-ciadiana, andata avanti dalla
metà degli anni settanta agli anni ottanta. Come nei romanzi dell’orrore, le
storie svelano il segreto dell’immunità alle armi da fuoco. A quanto si dice
era dovuta alla protezione fornita da un talismano impiantato sotto la pelle
che fungeva da amuleto antiproiettili. I soldati libici a un certo punto hanno
imparato a ucciderli urinando sulle loro munizioni e le loro armi per farle
diventare impure e spezzare l’incantesimo.
Per
quanto tutto questo possa suonare bizzarro, molti ancora credono a questa e ad
altre storie da incubo su come i ciadiani torturassero e uccidessero i
prigionieri libici. Queste leggende metropolitane molto diffuse erano messe in
circolazione sotto forma di testimonianze dei soldati libici di ritorno dal
Ciad, e come tutte le leggende metropolitane del mondo, molti giurano che
quelle storie sono accadute a uno dei loro parenti.
In Libia
non esiste una documentazione ufficiale su questa guerra, era proibito scrivere
di questa come di molte altre avventure del giovane Gheddafi, le conseguenze
delle quali i libici hanno patito per generazioni. Tutto quello che ci resta
oggi sono poche foto, pochissimi documenti e molte leggende metropolitane.
Dalla
scuola al campo di battaglia

Dopo il 2011 sono apparsi degli articoli sulla guerra, qualche ex soldato si è
fatto avanti e ha condiviso le sue storie. Molti ne hanno parlato, ma non c’è
stato un vero tentativo di documentare né di scavare più a fondo per
disseppellire qualche dettaglio nascosto. Uno studente costretto a combattere
in quella guerra, Abdullah Saleh Ali, ha scritto in un libro il suo viaggio dal
giorno in cui lo hanno portato via insieme ai suoi compagni dalla scuola di
Murzug, nel sud della Libia.
Fino al
2011 in tutte le scuole superiori della Libia era obbligatorio studiare l’arte
militare e la guerra. Gli studenti erano addestrati all’uso delle armi e
studiavano strategie e tattiche di guerra. Perfino le uniformi nelle scuole
superiori erano brutte uniformi verdi dell’esercito.
Quel
giorno a Murzug, dopo l’appello del mattino, l’ufficiale ha ordinato agli
studenti di restare fermi e di non rientrare il classe, poi hanno detto loro di
salire su alcuni autobus. Erano circa duecentocinquanta studenti. Gli autobus
si sono fermati all’aeroporto di Sabha e gli studenti sono saliti su un
aeroplano. Erano felici, poiché era la prima volta che prendevano un aereo.
Erano convinti che avrebbero fatto un viaggio a Tripoli, ma l’aeroplano li ha
scaricati in Ciad. Vicende simile sono accadute in molte altre scuole in tutta
la Libia. 

Giunti
sul posto hanno ricevuto i loro equipaggiamenti, armi, munizioni e un breve
addestramento, e sono stati destinati a quella che all’epoca era la più forte
base libica in Ciad. Dopo due mesi sono stati attaccati e sconfitti dai ribelli
e dall’esercito ciadiano appoggiato dall’aeronautica francese nella battaglia
di Ouadi Doum. Nel descrivere quella battaglia, l’autore del libro fa
riferimento ai miti dei soldati immortali affermando che in realtà erano umani,
sanguinavano e morivano, ma la differenza tra loro e noi era che loro
combattevano per difendere il loro paese mentre noi eravamo gli invasori.
I ribelli
ciadiani erano finanziati e armati da Gheddafi e sostenuti dall’esercito libico
con l’obiettivo di rovesciare il governo ciadiano. La Libia ha occupato alcune
aree del Ciad vicine al suo confine meridionale, ma quando Gheddafi ne ha
dichiarato unilateralmente l’annessione appropriandosi del territorio senza
consultarsi con i suoi alleati, i ribelli ciadiani e il governo hanno
cominciato a capire con chiarezza che la minaccia più grave era Gheddafi. Come
per miracolo hanno messo da parte i loro dissidi unendo le forze per combattere
contro quest’ultimo.
La
seconda parte del libro comincia dopo la cattura di Abdullah, la cui prigionia
è durata un anno. In quel periodo ha incontrato molte persone che lo hanno
aiutato e trattato bene, e che hanno persino facilitato il suo ritorno in
Libia. Al suo ritorno è stato arrestato e messo in isolamento per due mesi per
poi essere liberato a condizione di non proferire una sola parola sulla sua
esperienza in Ciad. Abdullah ha mantenuto questa promessa per ventiquattro
anni, fino al 2011, l’anno in cui ha scritto il libro.
La vita
di Haftar è circondata dal mistero, soprattutto il periodo in Ciad, pieno di
punti interrogativi e di accuse di crimini di guerra
Un altro
reduce dalla guerra ciadiana è Khalifa Haftar, ma la sua storia è diversa e il
suo viaggio di ritorno in Libia è stato più lungo. Era uno degli ufficiali che
hanno sostenuto Gheddafi quando ha preso il potere rovesciando re Idris nel
1969 e ha guidato le forze libiche in Ciad. È stato sconfitto e catturato nella
battaglia di Ouadi Doum, ed è stato trattenuto come prigioniero di guerra.
Gheddafi in seguito avrebbe rinnegato lui e l’intero esercito libico,
definendoli canaglie e traditori. Intorno al 1990 la Cia ha negoziato un
accordo consentendo ad Haftar e a qualche centinaio dei suoi uomini di
trasferirsi negli Stati Uniti. Si è stabilito in Virginia fino al 2011, quando
ha fatto ritorno in Libia.
La sua
vita è circondata dal mistero, soprattutto il periodo trascorso in Ciad, pieno
di punti interrogativi e di accuse di crimini di guerra. Di recente erano
circolate notizie contrastanti sulla sua morte, da quando la stampa aveva
annunciato il suo arrivo in Francia per sottoporsi a cure mediche. Politici e
giornalisti avevano opinioni diverse, tutte contrastanti tra loro. Alcuni
assicuravano che era morto, altri che stava per morire, qualcuno che è vivo e
vegeto e che partecipa a riunioni e vertici.
La
situazione è andata avanti per quasi due settimane. Il mufti della Libia è
apparso in televisione e ha fatto un lungo discorso sulla morte di Haftar,
ricordando come abbia venduto la sua patria ai sauditi, agli Emirati Arabi e ad
altri paesi e come sia morto senza che fosse stato possibile designare un suo
successore, lasciando una situazione di caos. Qualche giorno dopo Haftar è
tornato a Bengasi ed è apparso in buona salute, compatibilmente con la sua età.
Non esiste un solo giornalista o un solo quotidiano su cui poter fare
affidamento in Libia, i veri giornalisti qui sono un altro mito.

Non
dovrebbe sorprendere nessuno il fatto che ancora oggi nessuno parli della
situazione nel sud. Tutto quello che raccontano degli scontri che si stanno
verificando laggiù è soltanto che l’esercito di Haftar sta combattendo contro
migliaia di mercenari ciadiani. Molti hanno confermato l’esistenza di
combattenti ciadiani, ma il loro coinvolgimento è fondato su appartenenze
tribali. Controllano ancora la maggior parte delle rotte che collegano alcune
città e villaggi. Per esempio tutto quello che si muove su ruota non può
entrare né uscire da Ubari senza pagarlo, e nell’attuale contesto di assedio i
prezzi sono più alti rispetto al resto della Libia. Questo vale anche per il
carburante: se nel resto della Libia un litro di carburante costa 0,15 dinari
(circa 9 centesimi di euro), a Ubari il prezzo è di 2,5 dinari (1,5 euro).