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Elezioni Iraq: ritorna al Sadr, Teheran e Occidente fuori

Di Alessandro
Albano, L’Indro, 15 maggio 2018

La
vittoria del leader sciita e nazionalista pone dubbi sulla direzione politica
del prossimo Governo. Il commento del risultato elettorale con i possibili
scenari, con Chiara Lovotti, Reasearch assistant ISPI
 

Nelle
prime elezioni dopo la sconfitta
dello Stato Islamico
, i risultati usciti dalle urne sono stati
inaspettati e, per alcuni come Iran e Stati Uniti, non di certo confortanti. Il
leader sciita e nazionalista Muqtada al Sadr, capo
dell’Esercito dei
Mahdi
è risultato primo in quella che, secondo molti sondaggi
elettorali, avrebbe dovuto essere una riconferma dell’attuale primo ministro Haider
al-Abadi. Il voto di sabato è stato comunque caratterizzato da un’affluenza
molto più bassa, pari al 44%, rispetto alle precedenti elezioni (62%).

A
‘vincere’ con 54 seggi assicurati, sui totali 329 in Parlamento, è stata la
coalizione guidata dal clero sciita di al-Sairoon. Una coalizione, quella del
leader al-Sadr, trasversale e laica, frutto dell’alleanza con il partito
comunista, definito pochi anni fa da lui stesso come un «gruppo di miscredenti».
Quest’insolita, ma producente, alleanza, l’unica ad aver inserito nelle liste
alcuni esponenti della società civile, ha incentrato il suo programma
elettorale attorno a temi definiti ‘populisti’, come lotta a corruzione e
povertà, accentuati da un forte spirito nazionalista contro la presenza in Iraq
di Iran e Stati Uniti.
La
coalizione Fatah, guidata da Hadi al-Amiri, composta dai politici più
conservatori della Suprema coalizione dell’Iraq, e molto vicina alle posizioni
iraniane anche grazie alla partecipazione di esponenti delle milizie
filo-Teheran tra le proprie fila, è arrivata seconda nelle preferenze
elettorali. La sorpresa, in negativo, è rappresentata dall’attuale primo
ministro sciita Aydar al-Abadi, considerato il candidato più accreditato
dall’Occidente e dalle potenze vicine – Arabia Saudita e Iran – che con la sua
coalizione, Nasr, è arrivata terzo con 43 seggi.
Non è
tuttavia scontato che la coalizione di al Sadr riesca formare il prossimo
Esecutivo, che dev’essere votato anche dalle altre forze politiche più
rappresentative, in questo caso quella di Abadi e Amiri. Ma il ritorno nella
scena politica irachena di al Sadr segna un punto significativo sia nella futura
politica interna del Paese, sia nel precario quadro geopolitico
medio-orientale.
Leader
del Movimento Sadrista, l’influenza politica, e religiosa, di Al Sadr proviene
inizialmente dalla sua tradizione famigliare. Il padre, Mohammed Sadeq al-Sadr,
ucciso nel 1999 per essersi opposto al regime di Saddam Hussein, è stato Grand
Ayatollah, una figura preminente e molto rispettato all’interno della comunità
sciita. Ma è nel 2003, anno dell’invasione americana e dell’inizio della guerra
nel Paese, che la figura di Sadr figlio entra nel panorama politica nazionale.
In quell’anno infatti, forma l’Esercito dei Mahdi, che nei successivi anni
saranno la causa di molteplici attacchi, terroristici e non solo, contro la
presenza occidentale e la comunità irachena sunnita. La loro base era
all’interno di Najaf, ora Sadr City, quartiere orientale di Baghdad molto
povero e a stragrande maggioranza sciita, chiamato così dopo la caduta di
Hussein in onore della famiglia di Sadr.
La lotta
anti-Occidente e la sua storia personale hanno fatto di al Sadr un leader
capace di poter contare su una vasta parte della popolazione irachena che vuole
un Iraq senza poteri stranieri. Sebbene il padre fosse un ‘convinto’
nazionalista iracheno, l’essere a capo di una milizia anti-Occidentale lo ha
portato in passato a stringere accordi militari con Teheran, che nella guerra
civile ha visto l’opportunità per far entrare nella scena irachena i propri
interessi economici.
Tuttavia,
dal 2015 in poi l’evoluzione politica di al Sadr si è spostata verso posizioni
fortemente anti-Teheran, dal momento in cui le Brigate della Pace, nuovo nome
dell’Esercito dei Mehdi, non hanno ricevuto alcun fondo iraniano, al contrario
di altre milizie, per la la lotta allo Stato Islamico che in quel momento stava
avanzando nel territorio iracheno. Oltre ad aumentare le tensioni interne alla
comunità sciita, di cui l’Iran ne fa parte, nel luglio 2017, ancora in piena
guerra contro l’ISIS, Sadr ha fatto visita emblematica in Arabia Saudita,
principale nemico dell’Iran e paese a stragrande maggioranza sunnita.
“É stata
una vittoria ‘out of the blue’”, ci spiega Chiara Lovotti, Research Assistant
dell’ISPI, “e più che un voto verso Sadr, è stato un voto di protesta contro
l’establishment iracheno, sentito come corrotto, in quanto quello che
rappresenta Sadr è proprio la rivolta, di cui lui si è fatto capo attraverso la
guida del Movimento dei Sadristi. Un movimento che incarna le delusioni di una
popolazione illusa e disillusa, e che rappresenta il votare contro piuttosto
che a favore.La divisione interna al blocco sciita non ha inciso più di tanto
nei conti finali”.
La bassa
affluenza, che ha visto meno della metà della popolazione recarsi alle urne per
un voto comunque simbolicamente importante, potrebbe essere stata una delle
ragioni alla base dell’inaspettato successo del capo del movimento sadrista. “La
comunità sunnita, assai rilevante nel Paese, aveva minacciato pochi mesi di
boicottore le elezioni”, racconta Chiara Lovotti, “elezioni che nel piano
nazionale originale avrebbero dovuto essere state accorpate con quelle
regionali. Inoltre bisogna tenere conto che anche i Kurdi non hanno preso parte
alle votazioni, ancora risentiti dopo la mancata realizzazione del referendum”
La
disillusione della popolazione si accompagna però anche con la minaccia alla
sicurezza nazionale. Le scorse elezioni del 2014, infatti, sono state macchiate
da molteplici attentati terroristi contro le sedi di voto nella capitale
Baghdad e nelle altre regioni. “É difficile che nei piccoli centri da pochi
liberati dall’ISIS, la gente si sia sentita sicura di andare al voto”, dice la
ricercatrice ISPI, “a questo si devono aggiungere le oltre 2 milioni di persone
sfollate all’interno dei confini iracheni. Con un’ affluenza maggiore
probabilmente Sadr non avrebbe guadagnato così tanto margine, e ci sarebbero
state molte più variabili”.
Il
successo elettorale di al Sadr pone diverse questioni riguardo alla direzione
che il prossimo Governo di Baghdad potrà prendere. Se lontano dalle influenze
iraniane con uno sguardo verso Riad e i sauditi, o se manterrà, difficilmente,
una posizione equidistante tra le due potenze vicine. “Nell’ultimo anno Sadr si
è avvicinato moltissimo ai sauditi, che lo avevano indicato come favorito nella
corsa elettorale, mentre, al contrario, era più temuto da Teheran. Ma,
nonostante il recente avvicinamento, le posizioni di Sadr, come in passato,
sono ambigue e, spesso, dettate dalla campagna elettorale. Tutto dipenderà da
che Governo si andrà a formare e come voteranno le altre forze politiche”.
La
possibilità che al Sadr venga nominato Primo Ministro, o che gli venga dato
l’incarico di formare il Governo, non è scontata e, forse, non così vicina. Due
altri scenari non sono da escludere: che le forze politiche si coalizzino per
formare un Esecutivo filo-Teheran, andando contro la volontà di un popolo che
non vede l’Iran come un’alternativa possibile. Oppure il Parlamento potrebbe
ancora scegliere l’attuale premier al-Abadi per un secondo mandato. “La scelta
di al Abadi, che si è sempre contraddistinto per il dialogo con le altre parti
in gioco e che ha cercato di prendere in mano una situazione difficilissima
come quella irachena, potrebbe essere la scelta più indicata per non
sbilanciare troppo gli equilibri della regione medio-orientale e per riportare
stabilità in una giovane democrazia” conclude Lovotti, che aggiunge “il fatto
che l’Iraq sia riuscito ad andare a votare nonostante le molte difficoltà può
essere visto come una piccola ma importante vittoria”.