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Abortire un giorno a Roma

Eloisa
Covelli, Lettera Donna, 29 marzo 2017 Aggiornato il 22 maggio 2018

Il
Comitato per i diritti umani dell’Onu ha richiamato l’Italia per la carenza di
medici non obiettori e l’alto numero di interruzioni di gravidanza clandestini.
Ecco la storia di Sole.
Nel 2017
il Comitato per i diritti umani dell’Onu ha richiamato l’Italia, «preoccupato
per le difficoltà di accesso agli aborti legali a causa del numero di medici che
si rifiutano di praticare interruzione di gravidanza per motivi di coscienza».
Da sempre, quello della carenza di medici non obiettori e dei conseguenti
aborti clandestini è un tema spinoso nel nostro Paese. Riproponiamo allora la
storia di Sole, raccontata a LetteraDonna a febbraio, mentre imperversavano le
polemiche sull’assunzione di due ginecologi non obiettori per il reparto di
interruzione di gravidanza del San Camillo di Roma: «Si parla tanto di obiezione
di coscienza, ma poco di una legge, la 194, che non viene applicata».
Una gravidanza
non cercata
Sole, 33
anni, un bel lavoro e tanta consapevolezza, il 15 giugno del 2016 scopre di
essere incinta. Il preservativo si è rotto e la gravidanza è quindi indesiderata.
Contrariamente al suo fidanzato che il bambino lo vorrebbe, decide di abortire.
E non ha alcun dubbi. Sole (il nome è immaginario) soffre ma non per «le
cellule, di cui non vede un futuro roseo» come ci dice chiedendo l’anonimato
«per rispetto del mio compagno che voleva e tuttora vorrebbe un figlio», ma per
la difficoltà di ottenere subito un aborto e nelle modalità che lei desidera: con
la pillola abortiva RU486, piuttosto che con l’intervento chirurgico. È una
precaria, vive a Roma, ma la sua famiglia è lontana, il suo fidanzato lavora al
Nord, non se la sente di crescere quel bambino da sola.
L’amica ginecologa
Sole è
tutto sommato una privilegiata, è «un’attivista, una femminista» come lei
stessa si definisce. Sa subito a chi rivolgersi: a una ginecologa sua
conoscente che ha un’associazione che aiuta le donne che vogliono interrompere
la gravidanza. E che le consiglia di andare nell’ospedale dove lei lavora, il
Grassi di Ostia. Va lì, ma viene ‘accolta’ da una ginecologa un po’ «scocciata»
del fatto che da Roma si sia rivolta a Ostia e la spinge a ritornare nella sua
città. Le dice che in ogni caso ha bisogno di una certificazione del suo
consultorio. Lì però c’è una settimana di attesa solo per attestare la sua
piena consapevolezza all’aborto, per cui si rivolge di nuovo alla ginecologa
che conosce e che le rilascia subito il certificato con procedura d’urgenza per
abortire. «Tutti si preoccupavano della mia consapevolezza all’aborto, ma
nessuno si preoccupava di sapere come stavo io in quel momento» ci dice.
Infatti, ginecologa amica a parte, viene accolta da freddezza, indifferenza,
menefreghismo, mancanza di professionalità. La ginecologa amica alla fine le
consiglia di andare al San Camillo di Roma, dove 10 donne al giorno hanno la
‘fortuna’ di poter accedere subito all’aborto.
Una questione
di soldi
Perciò
l’indomani si sveglia alle 4,30 del mattino per essere tra le 10 ‘fortunate’. E
in effetti è la settima, ma viene rinviata al giorno dopo perché c’erano già 5
pazienti prenotate tramite il consultorio. Quindi altra notte insonne,
inappetenza, preoccupazione. E anche il giorno dopo nuova delusione. Nonostante
dall’ecografia risultasse incinta di 6 settimane e 4 giorni non le consentono di
prendere la pillola Ru486 (prevista per legge in Italia fino alla settima
settimana) e la costringono praticamente a subire l’intervento. Prima di
procedere, si informa rapidamente su quanto le costerebbe fare una aborto
farmacologico all’estero e no, non può permetterselo: a Vienna una clinica
privata per 530 euro consente di abortire con la Ru486 e mette a disposizione
anche la mediatrice italiana. «Abortire subito e con le modalità che tu
preferisci è quindi una questione di classe» dice Sole. E aggiunge: «Se si ha
la possibilità economica, si paga e si risolve altrove praticando la via meno
dolorosa».