General

Violenze, malattie, denutrizione: in Venezuela le carceri peggiori del mondo

Daniele
Zaccaria
, Il Dubbio, 30 Mar 2018

Focus
sull’infernale sistema penitenziario di Caracas dopo la strage nella prigione
di Valencia nello Stato di Carabobo (68 morti)

Il
paradosso è che il primo Paese moderno ad aver abolito la pena di morte è stato
proprio il Venezuela nel 1863: «La legge non può condannare a morte, e nessuna
autorità può eseguire una condanna a morte» ribadiva poi con orgoglio la
Costituzione chavista del 1999. Eppure nel sistema carcerario venezuelano la
morte è un evento quotidiano mentre la vita di un detenuto comune, oltre a
contare meno di zero, assomiglia iall’inferno in terra. Sovraffollamento,
violenze, soprusi, denutrizione, disidratazione, mancanza di cure mediche,
rivolte, scioperi della fame sono solo alcune delle piaghe edemiche degli
istituti di pena. Circa una quarantina di penitenziari, ospitati da strutture
fatiscenti, quasi sempre ex ospedali, ex scuole, ex caserme, lontani anni luce
dai requisiti minimi previsti dall’ordinamento.
E a nulla
è servita la riforma carceraria del 2011 che si prefissava di migliorare la
vita di prigionieri e secondini avviando un ambizioso piano di ammodernamento
delle strutture. Nel corso degli ultimi anni la situazione è addirittura
peggiorata e oggi il Venezuela conta oltre 55mila reclusi su non più di 14mila
posti previsti.
Tra le
testimonianze di questo universo selvaggio colpisce quella dell’imprenditore
canadese Stéphan G. Zbikowski arrestato nel 1995 a Caracas per traffico di
stupefacenti e spedito proprio nella prigione La Maxima di Carabobo, teatro
della tragedia di ieri. Zbikowski, che ha passato tre anni a La Maxima prima di
essere estradato in Quebecq, ha raccolto la sua esperienza in un libro pieno di
dettagli raggelanti L’enfer derrière les barreaux: «Dormivo tra gli escrementi
e l’urina dei miei compagni di cella, una barbarie. Ero l’unico bianco in tutta
prigione le guardie mi picchiavano reolarmente, ho rischiato di essere ucciso
decine di volte e ho visto decine di persone accoltellate davanti ai miei
occhi, il rumore che fa una persona prima di venire accoltellata è qualcosa che
non dimentichi mai, non so come spiegarlo, ma quando senti l’urlo della persona
colpita da una lama tu già sai che questa morirà».
«Le
prigioni del Venezuala sono le più violente del Sudamerica, sono controllate
dalla criminalità organizzata e ogni anno centinaia di persone perdono la vita
al loro interno», denunciava lo scorso anno José Miguel Vivanco, direttore di
Human Right Watch per il latinoamerica. Nel 2016 sono morti oltre 500 detenuti,
in gran parte per fatti di sangue ( 70%), ma anche per malattie e incidenti
legati alle vergognose condizioni di sicurezza.
In alcuni
casi l’incapacità dello Stato di mantenere l’ordine all’interno degli istituti
si tramuta in una resa completa al potere delle gang che ormai controllano
diverse carceri in tutto il Paese, una specie di legislazione parallela come il
carcere di Tocoròn dove i cartelli hanno fatto costruire una discoteca, un
centro ippico, una piscina e un ristorante, imponendo, naturalmente, il “pizzo”
ai non affiliati. Stessa musica nella prigione di San Antonio che sorge
sull’isola Margarita. A San Juan de los Morros, nello Stato di Guárico ( 150 km
a sud di Caracas) le guardie rimangono all’esterno del perimetro, i membri
delle gang girano tranquillamente armati (pistole, fucili, mitra ma anche
granate) e autogestiscono tutta la vita carceraria, imponendo agli altri
detenuti una gerarchia feroce e punizioni indicibili per chi non si adegua.
Come
notava il fotografo Oscar B. Castillo, autore di numerosi reportage nei
penitenziari venezuelani, aver consegnato di fatto alcune prigioni alle gang ha
migliorato la sicurezza interna: «In una delle nazioni con il tasso di
criminalità più alto del mondo e con una penuria alimentare che tormenta la
popolazione, dentro queste prigioni regna un certo ordine».