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GAZA. Forti pressioni egiziane per mettere fine alla Marcia del Ritorno

Nena News, 18
apr 2018

Il Cairo,
riferiscono fonti di Gaza a Nena News, considera la Marcia un fattore di
instabilità negativo per gli interessi di sicurezza dell’Egitto. Intanto dal
carcere Marwan Barghouti esorta Abu Mazen a respingere il piano di Donald Trump
La marcia
di ieri a Gaza (Foto Epa/Efe)
Fonti giornalistiche di Gaza riferiscono oggi a Nena
News che si fanno più intense le pressioni dell’Egitto sui palestinesi affinché
pongano termine alla Grande Marcia del Ritorno, le manifestazioni popolari
cominciate venerdì 30 marzo, per chiedere la fine del blocco di Gaza e il
ritorno ai villaggi d’origine, che hanno portato decine di migliaia di
palestinesi a ridosso delle linee di demarcazione con Israele. Raduni ai quali
l’esercito dello Stato ebraico – che considera la Marcia una “provocazione a
scopo terroristico” del movimento islamico Hamas – ha risposto impiegando
tiratori scelti che hanno fatto sino ad oggi oltre 30 morti e molte centinaia
di feriti da arma da fuoco tra i palestinesi che si erano avvicinati alle
barriere di separazione.

Venerdì
sono previsti nuovi raduni di massa nei cinque accampamenti eretti lungo le
linee con Israele per ricordare i “martiri e i prigionieri politici
palestinesi”. Tuttavia, avvertono le nostre fonti, gli egiziani insistono: le
manifestazioni devono cessare o svolgersi a grande distanza dalle barriere con
lo Stato ebraico poiché rappresentano un “fattore di instabilità” che mina gli
interessi di sicurezza dell’Egitto.
I
funzionari egiziani sono stati molti chiari su questo punto con la delegazione
di Hamas, guidata da Saleh al Arouri e Moussa Abu Marzuk, convocata ieri al Cairo
per discutere della riconciliazione tra il movimento islamico e il partito
Fatah, spina dorsale dell’Autorità Nazionale del presidente palestinese Abu
Mazen. L’Egitto inoltre avrebbe intimato ad Hamas di consegnare la Striscia di
Gaza ad Abu Mazen, come previsto dagli accordi raggiunti lo scorso anno al
Cairo. In caso contrario, minaccia, isolerà il movimento islamico e impedirà ai
suoi dirigenti di lasciare Gaza attraverso il valico di Rafah. Al Cairo si
troverebbe anche Mahmoud al Aloul, il numero due di Fatah. Non è escluso un suo
incontro con i dirigenti di Hamas.
L’Egitto,
aggiungono le fonti, allo stesso tempo continua a premere su Abu Mazen affinché
prenda in considerazione il cosiddetto “Accordo del secolo” il presunto piano
di pace dell’Amministrazione Trump non ancora annunciato ufficialmente.  I
palestinesi lo rifiutano perché  – stando ad alcuni dei suoi punti
anticipati dai giornali – è apertamente sbilanciato dalla parte di Israele e
non garantisce la creazione dello Stato di Palestina.
Con un
messaggio fatto arrivare alla stampa nel 16esimo arriversario della sua
detenzione, il più noto dei prigionieri politici palestinesi, Marwan Barghouti,
ha chiesto ad Abu Mazen di respingere l’”Accordo del secolo”.
”Dobbiamo renderci conto” ha
scritto
l’ex segretario del partito
Fatah, incarcerato in Israele,
‎‎”che
fra uno o cinque anni Donald Trump non ci sarà più mentre Gerusalemme, la
Palestina ed il suo popolo rimarranno e porteranno avanti la resistenza e la
lotta contro il colonialismo sionista
‎‎”. I palestinesi hanno diritto di ”resistere in tutti i modi», anche in forma armata ha lasciato capire
Barghouti limitando però il raggio d’azione della resistenza ai Territori
palestinesi occupati. Noto  come il “Mandela palestinese”, Barghouti è
sempre molto popolare e nei sondaggi resta uno degli esponenti politici
preferiti, posizionato più in alto rispetto ad Abu Mazen e al leader di Hamas
Ismail Haniyeh.
Intanto il
ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman riafferma la linea dura
contro la Marcia del Ritorno. Ieri, in una intervista rilasciata a “Walla
News”, ha detto che Israele non consentirà alla Striscia di Gaza “di diventare
una base dell’Iran”. Secondo Lieberman e il resto del governo israeliano,
sarebbe l’Iran a spingere Hamas e le altre forze palestinesi a manifestare a
ridosso delle linee di demarcazione per tenere sotto pressione Israele.