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👩 FESTA DELLE DONNE_ Contro l’8 marzo

Lea Melandri,
Internazionale

8 marzo:
le mimose lasciatele sugli alberi. In casa, dopo un po’, fanno cattivo odore. 
 
Chissà
perché la ricorrenza di un evento luttuoso – quale è stato storicamente l’8 marzo
– è diventata, prima la “giornata” e poi “la festa della donna”.
Per anni
ho costretto me stessa a darle un senso, più che altro per il rispetto dovuto a
tutte le associazioni, gruppi femminili e femministi che avrebbero preso
quell’occasione per incontri e dibattiti su temi di comune interesse.
Oggi, di
fronte ai rimasugli penosi che escono dalle radio, dalle televisioni e dai
giornali, di quella che pervicacemente, vergognosamente resta la “questione
femminile” – le donne considerate alla stregua di un gruppo sociale svantaggiato
o come un “genere” da uguagliare o tutelare sulla base dell’ordine creato dal
sesso vincente – ho un desiderio forte e deciso:
che non
se ne parli più;
che
nessuna data venga d’ora innanzi a fare da velo a uno dei rapporti di potere
che oggi, molto più che in passato, appare scopertamente come la base di tutte
le forme di dominio che la storia ha conosciuto, nella nostra come nelle altre
civiltà;
che si
dica con chiarezza che non di “cose di donne” stiamo parlando, ma dell’idea di
virilità che ha deciso dei destini di un sesso e dell’altro, della cultura – e
della storia che vi è stata costruita sopra, nel privato come nel pubblico;
che gli
uomini si prendano la responsabilità di interrogarsi sulla violenza di ogni
genere perpetrata nei secoli dai loro simili, e che lo facciano, come hanno
fatto le donne, partendo da se stessi, consapevoli che solo indagando a fondo
nella singolarità delle vite e delle esperienze personali possiamo scoprire le
radici di una visione del mondo che ci accomuna, al di à di spazi e tempi.
Non sono pregiudizialmente contraria alle ricorrenze ma vorrei che, senza
storpiarne o banalizzarne il significato, diventassero per tutti un momento di
riflessione: ossia di riconoscimento degli interrogativi che vi sono connessi e
delle aspettative di cambiamento che da lì si possono aprire.
Non è
stato così per l’8 marzo, che ha visto un tema di primaria importanza per la
crisi che stanno attraversando la politica, l’economia e la civiltà stessa – la
relazione tra i sessi, la divisione sessuale del lavoro, la dicotomia tra
privato e pubblico, natura e cultura eccetera – restringersi progressivamente a
pochi scampoli rivendicativi dettati dall’endemica “miseria femminile”.
A quante
mi obietteranno che così si toglie un’opportunità di portare allo scoperto, sia
pure per un giorno solo, il faticoso lavoro carsico del movimento delle donne,
rispondo che può essere, al contrario, la spinta per creare da noi stesse le
occasioni di incontro che ci servono, senza attendere che ce le offrano altri,
con un mazzetto di mimose.