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Bahrain. Guerra agli account social degli oppositori

NenaNews, 27 mar 2018

Domenica
il ministro degli interni ha promesso di punire con “misure severe” tutti
coloro che “offendono i valori nazionali e tradizionali”. Il direttore del
Centro per i diritti umani del Paese, Sayed al-Wadaei, intanto, denuncia:
“Condannano e puniscono i miei familiari per attaccarmi”. Sciopero della fame
di due attiviste contro le misure restrittive subite in carcere.

 

Proteste
a Manama (Foto: Reuters. Hamad I Mohammad)
Roma – La
repressione in Bahrain passerà sempre di più anche sui social media: le
autorità locali hanno promesso di punire gli account di coloro che offendono i
“valori nazionali e tradizionali colpendo al cuore il tessuto sociale e la pace
civile”. Secondo quanto riporta la stampa locale, il ministro degli Interni,
shaykh Rashid bin Abdullah al-Khalifa, ha spiegato domenica che il governo
“adotterà misure severe per affrontare il caos senza precedenti causato dai
social media”. “E’ un peccato – ha aggiunto al-Khalifa – che i mezzi di
comunicazione siano diventati un luogo per diffondere sedizione e dicerie
piuttosto che rafforzare i legami comunitari”. Da qui l’avvertimento: “Siamo
prossimi a rintracciarli. Prenderemo provvedimenti legali contro di loro”. Il
ministro ha aperto anche alla possibilità, “se è necessario”, di approvare una
nuova legge per implementare queste misure .
La lotta
2.0 annunciata da Manama non è in realtà cosa nuova: Twitter, che nel piccolo
arcipelago del Golfo è la piattaforma più usata dai dissidenti per criticare la
monarchia sunnita di re Hamad, è da tempo attentamente sorvegliato dalle
autorità locali. In numerosi casi, i cinguettii sgraditi al sovrano hanno
causato l’arresto di molti oppositori. Una repressione brutale quella di
Manama: soprattutto a partire dalle rivolte del 2011 di Piazza della Perla
quando le carceri locali si sono riempite di oppositori politici dopo processi
definiti da ong locali e internazionali “ingiusti”. In non pochi casi, inoltre,
a molti dissidenti è stata tolta la cittadinanza.
L’ultimo
attivista in ordine cronologico a denunciare la repressione delle autorità
locali è stato sabato il direttore del Centro dei diritti umani in Bahrain
(BIRD), Sayed Ahmed al-Wadei. Al-Wadei, tra i principali critici di re Hamad,
ha detto che sua moglie Duaa (residente come lui in Inghilterra) è stata
condannata in contumacia a due anni di prigione per aver insultato le
istituzioni statali. Non solo: il direttore di BIRD ha riferito che sua suocera
Hajer Mansour Hassan, che sta scontando tre anni di prigione per aver messo
“una falsa bomba”, ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro le
restrizioni che sta subendo. Non sarebbe l’unica: un’altra attivista, Amina
Ali, rinchiusa nella stessa struttura detentiva, ha incominciato a non toccare
cibo in solidarietà con Hassan e come forma di protesta contro le
perquisizioni.
“L’escalation
contro i membri della mia famiglia non è casuale” ha spiegato al-Wadaei che ha
lasciato il suo Paese nel 2012. A suo giudizio l’obiettivo di Manama è chiaro:
farlo tacere. “Mia moglie è stata picchiata, maltrattata e minacciata.
Attaccano la mia famiglia per punirmi. Ora tutte le loro minacce sono state
eseguite” ha detto.
Sul caso
di sua moglie Duaa, è intervenuta anche la portavoce del Dipartimento Usa,
Heather Nauert. Nauert ha criticato la pena subita dalla donna e ha chiesto al
regno “di non condannare la libertà di parola”. “Esortiamo il governo a
rispettare gli obblighi internazionali sui diritti umani e sulle libertà
fondamentali” ha dichiarato.
Parole
che sono specchietto per le allodole: gli Usa hanno infatti in Bahrain la V
flotta, fondamentale in chiave anti-iraniana, e pertanto nulla faranno di
concreto contro re Hamad. Non meno complice con il governo bahrenita è il Regno
Unito che a breve dovrebbe inaugurare nel Paese una base militare.
Le
condizioni dei diritti umani violati nel piccolo arcipelago del Golfo
preoccupano da tempo le organizzazioni non governative. Alcuni attivisti
intervistati a inizio anno dalla Reuters avevano detto che la situazione nel
Paese è “significativamente” peggiorata lo scorso anno quando la pressione
internazionale sul regno di re Hamad è diminuita. “Il Bahrain sta nettamente
scivolando in una direzione nuova e molta pericolosa” aveva denunciato Brian
Dooley della ong statunitense Human Rights First. “Il già livello basso di moderazione
che c’era prima non c’è più” aveva poi detto chiedendo soprattutto agli Usa e a
Gran Bretagna di aumentare le loro critiche alla monarchia sunnita. 
I dati
sono allarmanti: nel gennaio del 2017 tre persone sono state giustiziate
in Bahrain; 19 persone sono al momento condannate con la pena capitale. Senza
dimenticare poi che la tortura è pratica ricorrente nelle carceri bahrenite e
che a processare i civili sono le corti militari. Il duro giro di vite
della monarchia sunnita di re Hamad (in un Paese a maggioranza sciita) non ha
risparmiato nessuno: né il partito di opposizione Wefaaq (sciolto dall’alta
corte di giustizia nel luglio 2016), né quotidiani (al-Wasat, principale organo
d’informazione, chiuso lo scorso giugno), né, ça va sans dire,
gli attivisti.