Sulla pelle dei migranti
Fulvio Vassallo Paleologo* 23.02.2018 |
Una campagna elettorale tossica, quella in corso in Italia, che si sta combattendo a colpi di fake news e di speculazioni, anche in senso apertamente razzista, sulla pelle degli immigrati in Italia.
Rimbalzano così da un canale di informazione all’altro, dati fatti percepire in modo enormemente amplificato all’opinione pubblica e quindi agli elettori, come la presenza in Italia di immigrati, o musulmani, oppure come il numero delle persone che avrebbero diritto ad uno status di protezione. Dati che potrebbero fare la differenza nella composizione del futuro parlamento e nella nomina del nuovo governo, spesso dati assolutamente falsificanti, ma utili per chi vuole sfruttare l’allarme sicurezza e la paura che si diffonde nel corpo sociale. Per quelli che non sono soltanto imprenditori della paura ma sempre più spesso imbroglioni allo stato puro. Questa campagna elettorale è tutta basata sul discorso di odio contro i migranti e sulla mistificazione dei fatti.
Dal confronto politico e dalla cronaca nazionale sembra invece scomparso il tema dei soccorsi in mare nelle acque del Mediterraneo centrale, un tema scomodo per tutti in campagna elettorale, Pochissimi i casi di soccorso riferiti dalla stampa nazionale. Per sapere cosa succede davvero in mare non rimane che la stampa internazionale o Twitter. Alcuni giornali italiani tacciono sistematicamente. La Marina e la Guardia costiera hanno ridotto al minimo i loro comunicati. 340 migranti sbarcati nei porti siciliani nella sola giornata del 19 febbraio non fanno più notizia e vengono ignorati. Sia pure su numeri più bassi che in passato gli sbarchi, meglio i soccorsi in alto mare non si fermano. Quando non arriva prima la Guardia costiera “libica”.
Le minacce della Guardia costiera “libica” non si contano più. Dopo una pausa di due settimane, si tace così che ancora oggi la Guardia costiera “libica” ha potuto bloccare in alto mare centinaia di migranti in fuga dagliorrori dei lager libici, per riconsegnarli a terra agli stessi carcerieri dai quali erano fuggiti. Come nel caso di tanti nigeriani bloccati in mare e riportati in centri nei quali possono essere venduti o costretti a fuggire per finire di nuovo nelle mani di altre milizie che li tortureranno per estorcere loro danaro. Si tratta di un ennesimo caso di intercettazione in alto mare, questo il termine esatto, verificatosi dopo che il Comando centrale della Guardia costiera italiana aveva invitato la nave Aquarius della ONG SOS Mediterraneè a ricercare tre gommoni dai quali era partita una richiesta di soccorso. La Marina italiana e la Guardia costiera italiana evidentemente non presidiano più una vasta zona di acque internazionali a nord della costa libica. Non risultano gli esiti di quella ricerca, alla quale corrisponde il roboante comunicato del comandante Qassem, fidato partner di Minniti, dopo gli accordi di collaborazione operativa stipulati con il Memorandum d’intesa del 2 febbraio 2017. Ma per Gentiloni, grazie a Minniti ed ai suoi accordi avremmo “acceso i riflettori sui diritti umani in Libia”.
I corpi seviziati dei migranti che riescono ancora a fuggire dalla Libia ci raccontano una storia diversa. Le foto dei migranti riportati in Libia, i volti di chi stava intravedendo una speranza di vita, e viene riportato all’inferno, a terra, in un centro di detenzione per “illegali”, parlano da sole e smentiscono inequivocabilmente chi dichiara che, grazie agli accordi stipulati tra il governo italiano e il governo di Tripoli, lo scorso anno, la situazione per i migranti intrappolati in Libia sia migliorata.
Dal primo febbraio di quest’anno, dopo la fine ingloriosa di Triton, scomparsa proprio nel mese di gennaio quando più frequenti sono stati i naufragi, dovrebbe essere partita l’operazione Themis di Frontex (adesso ridefinita Guardia Costiera e di frontiera europea), e sono presenti nelle acque del Mediterraneo centrale le navi dell’operazione europea EUNAVFOR MED, ma i loro assetti, salvo qualche lodevole eccezione di soccorso, risultano praticamente invisibili. Si muore anche per abbandono o ritardo nei soccorsi, e non si comprende davvero come perseguano quella lotta ai trafficanti che non si può certo combattere in alto mare a scapito, troppo spesso, della vita di uomini, donne e bambini. Anche perché di trafficanti a bordo dei gommoni non c’è ne è neppure l’ombra, al massimo la polizia riesce ad arrestare allo sbarco qualche scafista forzato o migranti che si sono prestati a condurre le imbarcazioni, non avendo i soldi necessari per pagare la traversata. I veri trafficanti rimangono a terra e magari sono anche collusi, con parte della cd. Guardia costiera libica e con le milizie armate che l’Unione Europea, e l’Italia, stanno foraggiando per impedire che i migranti riescano ad allontanarsi dalle coste libiche. Recenti indagini internazionali sembrano confermare questa triste realtà che segna il punto più basso, anche da un punto di vista morale, degli interventi europei nei paesi di transito. Ed adesso la frontiera da difendere per impedire il passaggio dei migranti si è spostata in Niger.
Sembra confermata la notizia di un coinvolgimento della Marina italiana nelle attività di controllo della cd. zona SAR libica, anche con una unità italiana presente a Tripoli. Lasciando ai libici la possibilità di raggiungere le acque internazionali, pure in assenza di una vera zona SAR libica riconosciuta a livello internazionale dall’IMO, si realizzano di fatto dei veri e propri respingimenti collettivi, senza l’impiego diretto di mezzi appartenenti a stati europei, dunque soggetti alla giurisdizione della Corte Europea dei diritti dell’Uomo che in passato ha sanzionato i respingimenti diretti effettuati in Libia nel 2009 dalla Guardia di finanza italiana. Si assiste così ad un vero e proprio aggiramento del divieto di trattamenti inumani e degradanti ( art. 3 CEDU) e del Divieto di espulsioni collettive ( art. 4 del Quarto Protocollo allegato alla CEDU). Una elusione che ben difficilmente un migrante ricacciato in Libia potrà fare valere davanti la Corte di Strasburgo. Nessuno osa ricordare le gravissime responsabilità dell’Unione Europea, accertate dalla condanna del Tribunale permanente dei Popoli, anche molte ONG sono state ridotte al silenzio o si sono dileguate.
Malgrado il calo degli arrivi, la riduzione al silenzio delle ONG e la diminuzione del loro numero, attualmente non ci sono più di tre navi umanitarie presenti a rotazione nelle acque del Mediterraneo Centrale, le organizzazioni della destra estrema come Generazione identitaria, spalleggiata dal Parlamentare europeo Borghezio, continuano a tentare di carpire il consenso di fette sempre più ampie dell’opinione pubblica, diffondendo dati falsi su collusioni tra operatori umanitari e trafficanti. Queste organizzazioni cercano di coprire in questo modo le loro radici fasciste e i loro finanziatori attuali, dietro programmi di stampo populista che diventano, come loro stesse teorizzano, pratica silenziosa e violenta non appena si presenta l’occasione. Dopo i primi bersagli, gli immigrati, i senza tetto, gli LGBT, i senzatetto, le donne. Malgrado i proclami di stampo sociale, un attacco generalizzato a tutte le forme di debolezza sociale.
Dopo che lo scorso anno una parte dei servizi segreti è stata utilizzata a fini politici per gettare discredito sulle ONG e fare partire indagini come quelle che hanno portato al sequestro della nave Juventa della ONG tedesca Jugend Rettet, adesso si cerca di utilizzare sempre gli stessi materiali, inquinati ed inquinanti, per attacchi personali che hanno il solo scopo di intimidire e delegittimare difensori dei diritti umani che hanno contribuito a salvare migliaia di vite o che non hanno avuto paura di denunciare le violazioni commesse dalle autorità italiane, fino ad ottenere pronunce di condanna da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo.
Questi attacchi provengono da una destra che non ha mai rinnegato i suoi rapporti con il fascismo e che oggi cerca di accreditarsi come paladina dell’identità italiana e del benessere della popolazione autoctona, dimenticando che il contributo apportato dagli stranieri anche in termini economici è complessivamente superiore al costo derivante dalla loro presenza in Italia, incluso il costo enorme di un sistema di accoglienza che ancora è tutto da bonificare, ma che non si può chiudere in qualche mese con una rapida espulsione delle persone che ospita.
Un tentativo di strumentalizzazione della paura e del livore sociale da respingere con tutta la forza possibile, come è da respingere il tentativo di utilizzare le grandi questioni dei rapporti con la Libia, o degli sbarchi in Italia, o ancora degli accordi per i rimpatri verso i paesi di origine, per attaccare chi denuncia la illegalità di formazioni che si ispirano apertamente al disciolto partita fascista e che non avrebbero avuto alcun titolo a partecipare alla competizione elettorale in Italia. Malgrado la pregressa appartenenza di diversi dirigenti di Forza Nuova ad organizzazioni come Terza Posizione che in passato si resero protagoniste della stagione delle stragi, oggi polizia e carabinieri, sotto le direttive di questori e ministri, danno copertura a manifestazioni di queste stesse persone, che si sono calate da tempo nella competizione elettorale, senza che nessuno lo impedisse, malgrado richiamino esplicitamente valori fascisti e violino costantemente la legge Mancino del 1993. Come se ci fosse stato in passato un “fascismo buono”, o potesse ripresentarsi oggi. Negazionismo abilmente orchestrato, sommato ad ignoranza dei più, che segnano una cancrena del nostro corpo sociale. Forza Nuova non ha esitato ad esprimere solidarietà al terrorista che, a Macerata, in preda a un delirante odio razziale, ha fatto fuoco su migranti inermi..
Piuttosto che teorizzare ancora una volta i soliti schemi degli “opposti estremismi” sarebbe tempo che la politica si confronti sulle possibili soluzioni che l’Italia, anche da sola, in un contesto europeo sempre più blindato, sarà comunque costretta ad affrontare, come la legalizzazione di quanti sono arrivati dalla Libia per effetto di violenze subite in quel paese o che hanno raggiunto in Italia un elevato livello di inclusione sociale. Non si può pensare certo ad espulsioni di massa per persone che ormai sono saldamente radicate nel nostro territorio e rivendicano gli stessi diritti degli italiani. Diritti che oggi vengono negati a parti sempre più ampie della popolazione autoctona. Occorre evitare che si scatenino altre guerre tra poveri, alimentate da chi ha tutto l’interesse che nessuno rivolga la propria attenzione verso i veri responsabili della crisi economica che sta ricacciando milioni di persone sotto la soglia di povertà.
Nel medio periodo occorre pensare ad una valorizzazione (e non all’abrogazione come proposto da Forza Italia) della protezione umanitaria, ed all’apertura di consistenti canali legali di ingresso per lavoro, giungendo a prevedere la convertibilità del permesso di soggiorno breve di tre mesi, in un permesso a tempo indeterminato qualora si riesca a trovare un contratto di lavoro.
Nessuno si illuda comunque che ci siano soluzioni miracolistiche, in qualsiasi direzione, per il cosiddetto problema immigrazione (che altri continuano a chiamare emergenza, per atterrire la popolazione), senza affrontare i grandi temi della giustizia sociale e di una redistribuzione più equa della ricchezza e dei carichi fiscali e contributivi, per tutti, italiani e stranieri. Su questo fronte sono gli stranieri, e non gli italiani, a dare più di quanto ricevano in termini di prestazioni sociali. Per il pagamento delle pensioni future agli italiani non esistono alternative ad una regolarizzazione del mercato del lavoro ed a una regolarizzazione degli immigrati attualmente privi del permesso di soggiorno, con l’emersione del lavoro in nero che deprime la vita di tante persone in Italia.
Va superato l’attuale Regolamento Dublino che inchioda i richiedenti asilo nel paese europeo di primo ingresso. A fronte di numeri sempre più bassi di richiedenti asilo, in Italia ed in Europa, occorre garantire possibilità di transito verso altri paesi europei, rilancio della cd. Relocation, promessa nel 2015 a Grecia ed Italia e oggi bloccata per imposizione dei paesi più orientali dell’Unione Europea.
Vanno infine bloccati tutti gli accordi di riammissione o di cooperazione pratica di polizia, così come i Memorandum d’intesa con i paesi di transito, sospendendo tutti gli aiuti a paesi che non rispettino effettivamente i diritti garantiti dalle Convenzioni internazionali a qualunque persona umana, indipendentemente dal colore della pelle, dalla sua religione o dalla sua provenienza nazionale. La normalizzazione in corso con paesi come l’Egitto, che non rispettano i diritti umani, e neppure riescono a rendere giustizia nel caso di una atroce uccisione di un nostro concittadino, Giulio Regeni, potrebbe preludere ad una grave involuzione in senso autoritario anche da parte del governo italiano ed a una delegittimazione dell’autonomia della magistratura. Quando i poteri economici dettano una agenda che cancella i diritti umani, le garanzie degli stati costituzionali e delle Convenzioni internazionali sono già diventate carta straccia.
Dietro la logica del nemico interno da allontanare a ogni costo, o da abbattere, si cela soltanto lo stato di polizia. Il malessere sociale, la crisi economica non si possono nascondere dietro la guerra ai poveri, agli ultimi arrivati, alle minoranze. Lanciamo proposte di convivenza nel rispetto della legalità. Al di fuori di questo orizzonte non rimane che un ulteriore inasprimento dello scontro sociale e un clima di guerra che, dalle frontiere esterne, e ne abbiamo già tante in divenire, potrebbe presto trasferirsi alle frontiere interne che stanno frammentando anche il nostro territorio. E a quel punto nessuno, proprio nessuno, potrà sentirsi davvero al sicuro.
Questo articolo è già stato pubblicato sul blog di Adif (con il titolo completo Soccorsi in calo, guardia costiera “libica” all’attacco, ma per le destre è ancora tempo di guerra alle ONG).
*Avvocato, componente del Collegio del Dottorato in “Diritti umani: evoluzione, tutela, limiti”, presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Palermo. È componente della Clinica legale per i diritti umani (CLEDU) dell’Università di Palermo