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Niger, rischi e opportunità di una missione che va oltre il controllo dei flussi migratori

Antonella Napoli 28.12.2017
Dopo la Francia anche l’Italia cerca di ritagliarsi un ruolo di primo piano nel Sahel

O quanto meno questo implica la decisione del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che domenica scorsa ha annunciato la volontà di spostare il contingente militare dispiegato in Iraq in Niger, su cui da tempo si concentra l’interesse del nostro Paese, per contribuire alla lotta contro il terrorismo e controllare i flussi migratori provenienti dall’Africa sahariana.

Nell’attesa che il Cdm vari il decreto che contiene un impianto di intervento su cui si lavorava da mesi, vale la pena di capire in quale contesto le nostre forze armate andranno a impegnarsi al fianco degli Usa. Una missione chiave per frenare l’ascesa jihadista che potenzialmente assicura all’Italia un ruolo strategico su uno scacchiere importante.
L’ex colonia francese, con un’estensione quattro volte quella italiana ma con soli 20 milioni di abitanti, confina con altri sette stati africani e pur non avendo sbocchi sul mare si trova nel bel mezzo della rotta che ogni anno conduce decine di migliaia di migranti in Libia.
Il Niger è da tempo un “sorvegliato speciale” degli americani e degli altri attori impegnati nella regione, soprattutto per l’imperversare dei terroristi di Boko Haram che facendo la spola dalla vicina Nigeria, dove hanno insediato il loro dominio, sono particolarmente attivi nel Paese.
E proprio il mix di minacce provenienti dal traffico di esseri umani e dal terrorismo che è andato consolidandosi in questi anni nel Sahel, ha spinto il premier italiano verso la richiesta al Parlamento di autorizzare la missione in Niger.
Ma non è da sottovalutare la riconoscenza, per il supporto su quest’ostico terreno, degli storici alleati d’oltreoceano che poco meno di due mesi fa lì hanno perso quattro soldati delle forze speciali. Gli Stati Uniti hanno circa 800 militari nel Paese, un numero che è in costante aumento da quando sono stati schierati per la prima volta nel 2012.
Seppure questa operazione appaia in secondo piano rispetto a quelle in Iraq e in Siria, in termini di dimensioni, importanza strategica e attenzione dei media, l’esercito americano in Niger sta attuando una missione antiterrorismo più ampia e più aggressiva di quanto in molti, nello stesso Congresso, siano consapevoli.
Era però evidente a tutti gli analisti che i militari in questa area e nei paesi limitrofi avessero bisogno di aiuto nella lotta alle reti terroristiche. Allo stesso tempo non è escluso che il potenziamento delle attività militari in Niger possa innescare una spirale di violenza simile ai pantani che le forze armate statunitensi hanno contribuito a creare in Medio Oriente.
Le zone del Paese in cui operano le truppe americane sono caratterizzate da continue schermaglie mortali per mano dei militanti islamici che dopo aver conquistato ampie aree nel vicino Mali, hanno esteso la loro azione lungo il confine con il Niger, in particolare sul versante del deserto del Sahara che copre le parti settentrionali di entrambi i paesi.
Da lì partono gli attacchi ai campi militari, i raid di commando che attaccano i civili, rapiscono stranieri e organizzano attacchi sofisticati contro gli hotel del Burkina Faso e della Costa d’Avorio.
Secondo stime delle Nazioni Unite, questi gruppi armati nel 2017 hanno effettuato solo in Niger almeno 46 attacchi. In entrambi i paesi è in atto un’alleanza fra qaedisti e sostenitori allo Stato islamico, per lo più esponenti di Boko Haram, che punta a ottenere il favore e aiuto materiale dalle realtà locali. Ed è per questo che l’inasprimento dell’azione militare potrebbe rivelarsi un boomerang. La militanza jihadista in queste aree ha molteplici forme.
Dal 2011, quando è iniziato il conflitto civile nel nord della Libia, mai come ora armi e ideologia islamica stanno invadendo il Mali e il Niger, paesi tra i più poveri del mondo. Il secondo in particolare affronta una pletora di problemi.
Nel vuoto di sicurezza creato dai gruppi armati nelle sue estremità nord-occidentale e sud-orientale, le rotte migratorie sono proliferate e centinaia di migliaia di persone hanno attraversato lo stato africano per dirigersi verso l’Europa. Un business che in parte sostiene economicamente gli stessi gruppi terroristici che lo gestiscono.
Ed è su questo fronte, e non solo per completare una serie di iniziative di supporto allo sviluppo e alla formazione delle forze armate e delle forze di sicurezza locali, che i militari italiani sono chiamati a dare man forte.
Lo scopo principale per l’Italia, oltre a realizzare un’attività di training che non si limiti a contenere i flussi migratori ma a governare i confini dei paesi di transito, è dunque quello di lavorare insieme a Francia e Stati Uniti al contrasto al terrorismo e intensificare la lotta contro il traffico di esseri umani.
Un’azione coraggiosa, con non pochi rischi, da paese che vuole attuare una strategia che implichi un ruolo da protagonista non solo sulle questioni dell’immigrazione.