Chi scrive è un maschio. Questione “Weinstein”
Franco La Cecla 17/12/2017 |
Chi scrive è un maschio, bianco, occidentale, anzi peggio, europeo, non indigeno, non appartenente a fedi religiose orientali, di mezza età, single, con un’educazione occidentale, anzi classica, – che altro devo dire per anticipare con i distinguo le classificazioni bio-politiche senza le quali non ho diritto a parlare di questa faccenda? – ho varie tessere, arci, feltrinelli, amici della musica, palestra e piscina, sono abbonato ad alcuni quotidiani cartacei e online oltre che alla metro milanese.
Ecco la tiritera delle appartenenze che mi rendono inadeguato a parlare di cose che hanno a che fare con l’affettività e con il sesso. Ancora una volta Simone De Beauvoir, che sostiene che non esistono uomini capaci di parlare di se stessi come appartenenti a un sesso. Ho scritto sulla questione una risposta proprio alla De Beauvoir in forma di libro, Modi Bruschi, antropologia del maschio (Eleuthera) e un altro qualche anno dopo Il punto G dell’uomo, desiderio al maschile (Nottetempo).
Eppure nella contingenza post-weinstein, com’è stata battezzata, ho molto ritegno a parlare. Ho dietro le spalle una vita affettiva e sessuale di quattro decadi e quindi sono a rischio perché dal passato può emergere qualunque presenza che ho sicuramente in un modo o nell’altro fatto soffrire.
Ho lasciato male, sono stato lasciato male, ho corteggiato e sono stato corteggiato, ho sedotto e sono stato sedotto, ho desiderato e sono stato desiderato con successo e infelicità da entrambe le parti, ripeto ho vissuto e vivo sapendo che sentimenti e sessualità non sono un campo semplice e lineare, ma pieno di malintesi, fraintendimenti, singulti e ripicche. E non è un caso che una delle scrittrici femministe più interessanti di questi anni, Eva Illouz, abbia scritto un libro che si chiama Perché l’amore fa male (Il Mulino). Eh sì, l’amore, il sesso, soprattutto il desiderio fanno male. Solo una stupida letteratura online e i film di Hollywood possono permettersi di raccontare il contrario. E questi dolori non datano da ieri, ma da sempre, pare, se un’altra scrittrice come Martha Nussbaum ha scritto vari volumi sulla terapia dal desiderio nel mondo classico.
E poi lo sappiamo tutti, no?, quanto sia difficile essere corrisposti nei propri amori e desideri e quanto nell’incontro tra esseri desideranti, che siano uomini e donne, uomini e uomini o donne e donne, ci sia una sperequazione che produce frizioni, lacerazioni e dolori, insieme a qualche felicità però. Solo una concezione all’americana dei rapporti tra sessi, una concezione alla “Tinder” e alla “Ok Cupid”, può credere che si tratti di un innocuo “compagnonnage”, di un “agreement” tra amici. L’idea della coppia come una compagnia amicale è tutta della spaventosa trasformazione dell’amore in coppia produttiva negli anni ‘50 del Novecento, quella che viene creata per consumare elettrodomestici, alloggi e ascensori. Il desiderio c’entra poco con la democratica trattativa sul desiderio.
Lo dice anche Eva Illouz, che dopo avere parlato dell’importanza del sesso consensuale si chiede se questo “dire” e “pre-dire” cautelativamente tutto ciò che si vorrebbe fare e che l’altro vorrebbe aver fatto, si domanda se tutto ciò non spenga il desiderio. Proprio perché chi trasforma il desiderio in “detto” si rende subito conto che buona parte di esso non può essere espresso. Lo diceva anche Freud, un ributtante maschio europeo: “Il desiderio è un eccesso”, qualcosa di molto poco realistico che va molto al di là della possibile soddisfazione e dell’oggetto stesso del desiderio.
La questione “Weinstein” ha scatenato giustamente uno sdegno collettivo, incanalato nelle casse di risonanza apparentemente neutre di Facebook, dei Social e nelle casse più segrete degli avvocati. Lui o quelli come lui che vogliono sesso in cambio o nella promessa di favori. O che si servono del proprio potere per ottenerli. È stato l’inizio delle denunce di massa da parte delle donne, anche se subito dopo sono emerse quelle da parte di uomini nei confronti di altri uomini e di uomini nei confronti di donne (ad es.Mariah Carey che chiede sesso al suo bodyguard). Le denunce fanno sospettare che non basti il maschilismo e il patriarcato, ma che ci sia una questione più generale di potere, forse anche nei sacrosanti LGBT ci sono questioni simili.
Sacrosanta crociata per donne e uomini (lo dico sapendo che non ho il diritto di dirlo, ma dovrei dirlo per dovere). Perché le donne che vengono umiliate sono oggetto di violenza e gli uomini vengono trascinati da questo malcostume nella veste di complici.
Il problema con Weinstein, con Berlusconi, con Trump e chiunque altro somigli loro, è che se la sessualità viene misurata con il loro livello criminale, se essa viene cioè confrontata con questi comportamenti, è l’insieme della sessualità che viene messo in gioco. Una certa linea femminista radicale lo dice chiaramente: “Dietro ogni donna c’è un possibile stupratore”, o meglio “Ogni donna è oppressa da un uomo che potrebbe trasformarsi in stupratore”. E recentemente un articolo su “The Guardian” di Laura Penny, ripreso da “Internazionale”, metteva in guardia proprio le donne rispetto al proprio consenso, invitandole a dubitare della loro sessualità, del loro stesso desiderio. Una certa linea simile a questa vuole che sulla sessualità in generale si stenda un velo di dubbio. Essa è “sbagliata” sia quella maschile che quella femminile. Con modi che somigliano alle battaglie degli Ugonotti o alle prediche puritane del 1600. La Chiesa, le chiese, hanno sempre invitato i propri fedeli ad avere in sospetto le proprie istintive emozioni e soprattutto il campo del desiderio. Se il desiderio maschile è qui alla sbarra, vergognoso, impudico, porco, incapace di contenersi, quello femminile è altrettanto in crisi perché si fida o si abbandona troppo. Ce n’è per rovinare la sessualità alle prossime due generazioni. Tutta la sessualità è abbassata al livello di Weinstein. Di questo pericolo si rendono conto moltissime donne che stanno intervenendo in queste settimane nel dibattito, che è molto più articolato di quello che i media presentano. Anche se le donne che non “ci stanno” alla radicalità femminista di ultimo grido vengono additate come traditrici, e quindi non veramente donne.
Nella civilissima Francia qualcuno vuole introdurre il “reato di sguardo per strada”. Un certo “eye contact” sarebbe automaticamente considerato al pari di una molestia. Qualcosa che arriva direttamente dagli Stati Uniti e dal puritanesimo sempre riemergente, anche se travestito da femminismo o da correttezza politica. Ce lo ha raccontato vent’anni fa Human Stain (La macchia umana), il romanzo di Philip Roth (un maschio, ahinoi e quindi non qualificato a parlare) che racconta la storia di un professore universitario che viene espulso dall’accademia per avere usato un aggettivo per nominare studenti che non si erano mai presentati, aggettivo che significa fantasma, ma anche “nero”. E ha la sfortuna che gli assenti sono degli studenti neri. Ritiratosi viene perseguitato perché ha una storia d’amore con una ragazza nera più giovane di lui e che viene da un modesto ambiente – è chiaramente un uso che lui fa di lei agli occhi di tutti.
È Le efferatezze nei confronti della vita di molte persone si contano a migliaia e oggi continuano a perpetuarsi con la scusa che “la rivoluzione è in corso” e ovviamente ci sono vittime innocenti, ma la causa deve prevalere, un ragionamento tipicamente stalinista o se volete cattolico-missionario.
Una delle cose che però comincia a emergere dal dibattito negli Stati Uniti e da noi è che c’è qualcosa di losco nell’uso che di questa crociata viene fatto: che sia Facebook, la fogna che ha portato Trump al potere, a essere il canale della crociata, che siano le Iene (mai nome fu più autogol) e che sia il mondo dei lawyers, il mondo del business giuridico, a essere quello che per primo si giova della crociata. La rivoluzione sembra essere affidata alle vie legali e in questo, come ogni campagna, somiglia al maccartismo o a qualunque tipo di santa inquisizione. In fin dei conti i processi agli eretici erano pur sempre processi, e alla loro base stava l’abitudine alla delazione, la lotta per il potere travestita da religione, denunciare chi è più potente, più attraente, chi ha fatto successo o soldi, chi è emerso dalla massa sconosciuta. Non è un caso che l’accanimento delle denunce di molestie è sempre fatto nei confronti di chi ce l’ha fatta, ha avuto successo – salvo poter infierire proprio quando ha un rovescio economico e da lui non si può ottenere più nulla.
Nel meccanismo della delazione si nasconde qualcosa di ancora più sottile. La violenza di chi vuole sesso in cambio di posti di lavoro, di parti in film o nell’arte, corrisponde al ricatto di chi minaccia di denunciare di molestie chi questi favori non li concede. E nei mondi del potere accademico una buona denuncia per molestie leva di mezzo un concorrente scomodo: una famosa antropologa indiana che insegna in un’università scandinava ha usato questo metodo per fare ostracizzare qualcuno che non voleva nel proprio dipartimento.
Giustamente una parte del dibattito femminile ha cominciato a fare i distinguo. Un conto è un’accusa di stupro (che è un’accusa, non una condanna provata da un processo, anche se l’accusa da sola è infamante, come lo era essere accusato di comunismo negli anni ’50), un conto è un’accusa di molestie, la cui definizione è molto vaga, ampia e varia da cultura a cultura. Ripeto, per fortuna c’è un grande distinguo che si sta profilando. Però è l’effetto generale che ha ben poco a che fare con i singoli casi. Ed è la criminalizzazione del sesso, non solo di quello maschile, ma anche quello femminile, ma anche gay o transgender.
La criminalizzazione del sesso è qualcosa che, anticipato da Foucault, oggi si profila all’orizzonte. La sua dissezione da parte dei media e degli avvocati, la voglia ossessiva con cui me-too ha scatenato una specie di voyerismo al contrario, come se in faccende simili non fosse importantissimo in mano a chi tu metti il racconto della tua intimità. Viene il sospetto che questa non sia già più una battaglia femminista o femminile, ma una resa dei conti di altro tipo, una rivoluzione per la presa del potere biopolitico. Il sesso è diventato tutto intriso di violenza reale o potenziale e quindi tutto strumento per il potere. Il sesso è diventato l’arma del ricatto e non solo il sesso, ma anche il campo delle molestie e il campo del desiderio – che può essere denunciato come molestia; il solo fatto di essere oggetto del desiderio di qualcuno diventa una molestia.
È questa “volontà di sapere” che sembra si sia scatenata come un’isteria collettiva, questa volontà di dissezionare la vita sessuale propria e di tutti. Nel fatto stesso di avere una vita sessuale c’è qualcosa di sospetto, perché il desiderio non è mai innocente, soprattutto se è maschile, ma è complice se è femminile, perché si fa irretire da qualcosa che non gli appartiene. Ne viene fuori un’immagine di santità femminile, di esclusione delle donne dalla sfera dell’interazione con gli uomini. Come se il mondo fosse tutto fatto e deciso dagli uomini e le donne fossero solo “oggetto”, una delle più grandi mistificazioni del desiderio, come se il desiderio femminile per un uomo non avesse gli stessi caratteri oggettivanti. Qui è messa in discussione tutta la costellazione delle attrazioni e le donne trasformate in vergini anziane che ragionano come nonne senza più desideri. A meno che i desideri non siano solo tra donne e come se questo tipo di desiderio non fosse altrettanto oggettivante. C’è una mescolanza di puritanesimo, cattolicesimo pietistico e impero avvocatizio, tutto il contrario di una rivoluzione progressista.
Lo fa notare in un articolo Slavoj Žižek, un altro maschio che non avrebbe diritto a parlare (i maschi possono parlare solo se si allineano alla crociata). C’è nella costruzione del vittimismo – di una metà del mondo, quella rappresentata dalle donne, la dimissione totale di soggettività, di essere agenti della storia, il trasformare le donne in oggetto passivo della storia, il non capire che le società si fanno con una negoziazione continua tra uomini e donne. Il vittimismo è la tentazione di trasformarsi in “minoranza” quando si è invece maggioranza.
“La caratteristica fondamentale della soggettività di oggi è proprio la bizzarra combinazione del soggetto libero che si ritiene responsabile ultimo del suo destino e del soggetto che fonda l’autorità del suo discorso sul proprio status di vittima di circostanze fuori del suo controllo. Ogni contatto con ogni essere umano viene vissuto come una potenziale minaccia: se l’altro fuma, se l’altro mi lancia uno sguardo carico di desiderio mi sta già facendo male” (Žižek).
Nell’idea dell’universale dominazione maschile c’è una forma di essenzialismo che proprio il mondo dei women’s studies americano aveva rifiutato (Susan Carol Rogers: se pensiamo che la dominazione maschile sia un universale finiamo in una specie di legge naturale) ci sono società in cui la dominazione maschile non c’è – molte società polinesiane ad es. – e ce ne sono altre in cui c’è una fluttuazione tra i poteri dei domini maschili e di quelli femminili. Il matriarcato ad esempio è una forma di potere femminile potentissimo delle generazioni anziane di donne nei confronti di quelle più giovani e delle donne più giovani in particolare: l’escissione in molti paesi islamici e africani è praticata dalle mamme sulle figlie.
Žižek lo dice con chiarezza: è il campo del potere che qui è in gioco e nulla come la sessualità ha a che fare con esso, dall’appuntamento a cui la desiderata non si presenta dando buca (era un esempio di Foucault), al bonding al sado-masochismo.
“Alcune femministe hanno osservato parecchio tempo fa che se cerchiamo di immaginare un corteggiamento in tutto e per tutto politicamente corretto arriviamo curiosamente vicini a un normale contratto commerciale” (Žižek).
Quello che in questa crociata viene spazzato via dalla vita delle persone – quelle che non fanno parte del campo del potere mediatico – è proprio l’ambito magnificamente fluttuante del desiderio, del corteggiamento, della seduzione. Infatti questi campi non hanno proprio spazio di fronte alle urla e alle annotazioni dell’avvocato o del cronista.
Viene il dubbio che quello che sta avvenendo sia il trionfo di un politically correct proprio come ideologia di un nuovo regime, di un’ideologia delle nuove classi dominanti. Già i Social sono diventati questo: uno se ne rende conto sempre di più nell’impossibile coda da impeachment di Trump. I Social sono la trasformazione della chat in pensiero dominante. Lo racconta magistralmente Jonathan Friedman in un testo che sarà nelle nostre librerie tra qualche giorno, Politicamente Corretto, il conformismo morale come regime (Meltemi ed.).
Qui quello che è in ballo è una trasformazione dei rapporti umani in cui entra ben poco la voglia sacrosanta di giustizia delle violentate. È strumentalizzandola che si fa avanti un nuovo regime morale.
Osservo con molta preoccupazione la deriva sempre meno critica di persone rispettabilissime come Rebecca Solnit – qualche giorno fa su “The Guardian”, una giornalista recensiva il suo Gli uomini mi spiegano le cose (Ponte alle Grazie) come un libro interessante, ma molto superficiale proprio perché spinto dall’urgenza della “lotta”. La Solnit da qualche tempo è diventata una bandiera per il nuovo femminismo radicale. Ha lanciato una campagna contro la letteratura che secondo lei incita alla violenza di genere e ha proposto di proscrivere Lolita di Nabokov. E il suo Gli uomini mi spiegano le cose, parte dall’assunto che tutti gli uomini si comportano con le donne come chi debba spiegar loro le cose. Certamente ha ragione per la sua esperienza, ma nel suo ragionamento c’è una forma di essenzialismo, cioè di idea che le identità siano fisse, la stessa per cui i tedeschi sono tutti potenzialmente nazisti, cioè una forma di razzismo, se questo significa attribuire a una parte dell’umanità un’attitudine fissa e costante.
Quello che sul fondo si muove è il pericolo di essere sprofondati in una sabbia mobile che ci risucchierà tutti, che mescolerà colpevoli e vittime e che cancellerà la magnifica costellazione del desiderio di cui è fatta l’umanità. Pensavo qualche giorno fa a un collega che insegna, e che è un uomo molto bello, giovane e simpatico. Le sue studentesse nel proporgli delle tesine di ricerca gli portano (è una istituzione dedita all’arte e alla comunicazione) dei portfolio con delle foto di sé piuttosto spinte e soprattutto gli chiedono degli appuntamenti per approfondire gli spunti di ricerca. Il mio collega è per fortuna felicemente fidanzato, sicuro di sé e prende queste avances con molta ironia. Cosa dovrebbe fare? La sua ironia dimostra che il campo dell’attrazione tra uomini e donne è un campo scivoloso, ma che se lo si trasforma in un’aula di tribunale la vita prende tutto un altro colore, diventa un radicalismo islamico della sessualità.
Abbiamo bisogno di essere liberati da uno sguardo che criminalizza ed espropria la sessualità come ambito prezioso e fluttuante (chi decide cosa è una perversione? A leggere alcune di queste accuse di perversione viene da pensare che la battaglia di quel maschio bruto che era Freud per liberare le perversioni e farle comprendere come parte di un’ampia sessualità sia stata tempo perso). Stiamo regredendo di un secolo e più e qualcuno parla di rivoluzione.
I moralismi, il puritanesimo, le inquisizioni non hanno mai fatto progredire l’umanità. Hanno solo sostituito al desiderio la paura. È questo che vogliono le donne oggi, essere temute al punto da non essere più desiderate o essere desiderate in quanto temute, un tipico escamotage di chi ha il potere (cioè i maschi)? È questo che vogliono gli uomini di oggi che non hanno smesso di pensare che il proprio compimento fisico sta nell’incontro con la fisicità e la profondità del mondo femminile?
Ecco, ho detto cose chiaramente fuori dal corretto, mi sono esposto a tutti i possibili attacchi, alla furia di questi giorni. Lo faccio perché c’è bisogno di rimpolpare il dibattito, di arricchirlo di voci e di contradditori. Mi sono permesso di farlo da maschio, occidentale, single se volete la mia definizione biopolitica. Se questa vi sta stretta allora diciamo che mi sono permesso di farlo in quanto testimone di un’epoca, come soggetto desiderante e come studioso della magnifica fenomenologia sessuale umana.