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Un muro di guerra e fame divide il genere umano

Vijay Prashad 23 ottobre 2017
Le notizie arrivano come un uragano. Le forze irachene conquistano Kirkuk, mentre le Forze democratiche siriane si impossessano di Raqqa. Ai Weiwei realizza un film sui profughi, mentre i disperati continuano a fuggire attraverso il deserto del Sahara e il confine che separa il Bangladesh dalla Birmania. A Puerto Rico manca ancora la corrente elettrica. Un ciclone colpisce l’Irlanda. Dei soldati americani muoiono in Niger. Un ordigno devastante provoca centinaia di vittime a Mogadiscio. I taliban attaccano Paktia e Ghazni, in Afghanistan.
Cresce la paura per una possibile nuova guerra illegale degli americani, questa volta contro l’Iran o la Corea del Nord, o entrambi.
È difficile da mandare giù. Sembra esserci troppo dolore, troppa tristezza, troppa incapacità di trasformare queste storie da tragedia in speranza.
La guerra e l’illusione della pace

In teoria, la sconfitta del gruppo Stato islamico (Is) a Raqqa dovrebbe essere motivo di gioia. Ma anche in questo caso, chi ha seguito a fondo la vicenda esita prima di festeggiare. La “vittoria” si contrappone agli eventi di Kirkuk, una prova che il periodo successivo alla sconfitta dell’Is sarà complicato quanto la guerra contro il gruppo jihadista. I confini si stanno spostando, gli stati consolidano i loro territori.

L’esercito di Damasco ha intenzione di avanzare a nord verso Raqqa e scontrarsi con le Forze democratiche siriane? L’esercito turco ha intenzione di muoversi a sud per stroncare le ambizioni dei curdi, che sono in maggioranza nelle Forze democratiche siriane? La questione curda, a lungo soppressa, causerà la prossima esplosione nella fragile Asia occidentale?
Cosa possiamo pensare delle morti in Somalia e in Afghanistan, sconvolgenti nei numeri e sconvolgenti perché non hanno quasi scalfito le coscienze dell’occidente? È difficile per l’occidente riconoscere l’umanità dei morti somali e afgani. I loro nomi non sono stati comunicati, le loro vite sono difficili da capire. È come se ci fosse un muro a separare il genere umano, da una parte quelli che vivono in zone di guerra e tragedia e dall’altra quelli che vivono nell’illusione della pace, in paesi che producono le condizioni della guerra ma negano le proprie responsabilità. È facile per l’opinione pubblica occidentale ignorare le bombe in Afghanistan, un paese recentemente devastato da una guerra voluta dall’occidente.