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Israele: immigrati africani accusati di minacciare l’identità ebraica

29 Settembre 2017

Il movimento Blacks out! e l’appoggio rinnovato di Netanyahu, che nasconde però motivazioni ‘insospettabili’

Nel 2012 Miri Regev, ex Brigadiere Generale dell’esercito israeliano, quadro del partito di destra Likud, ora Ministro della Cultura, organizzò un movimento razziale e xenofobo contro gli immigrati africani che culminò con una manifestazione a Tel Aviv. Il movimento di Regev ‘Blacks out!’ (Fuori i Negri) si scagliava contro gli immigrati africani provenienti da Eritrea e Sudan affermando che stessero minacciando l’identità ebraica e che rappresentassero un tumore sociale. La Regev è nota per le sue idee sugli immigrati e palestinesi che rasentano il nazismo. Come Ministro della Cultura promuove idee anti democratiche e razziali. Per compensare, la Regev supporto la causa LGBT in Israele. Un’abile mossa per aggraziarsi le simpatie della lobby gay internazionale che servono per oscurare le sue idee razziali estremistiche.

L’immigrazione africana in Israele è ancora più insignificante di quella in Italia in termini di rapporto immigrati e popolazione locale: 0,43%. Nel 2012 erano registrati circa 20.000 migranti e le cifre fornite dal Ministero degli Interni israeliano lo scorso 30 giugno parla di 38.043 immigrati africani: 27.494 eritrei e 7.869 sudanesi.  Un numero esiguo che non ripresenta nessun problema di inserimento in una società che ancora gode di una discreta salute economica come quella israeliana.

La totalità di questi migranti sono rifugiati politici provenienti da due Paesi inferno dell’Africa: l’Eritrea detta anche la Corea del Nord africana e il Sudan governato da un sanguinario dittatore Omar El Bashir su cui pende un mandato di arresto internazionale emesso dalla CPI per crimini contro l’umanità commessi durante la guerra civile nel Darfur, iniziata 14 anni fa e ancora in corso. Ed è proprio dal Darfur che provengono i 7.869 sudanesi rifugiati in Israele.

Questi migranti dovrebbero godere dello statuto di rifugiati politici che il governo israeliano nega sistematicamente poichè Eritrea e, soprattutto il Sudan, siano considerati da Tel Aviv come Paesi dittatoriali ed ostili ad Israele. Nei passati anni Israele ha compiuto diversi raid militari in Sudan contro il regime di Baschir e si sospetta sia coinvolto in vendite di armi a ribelli nel Darfur. Eritrei e sudanesi giungono in Israele attraverso il confine con l’Egitto della penisola del Sinai. Di solito si tratta di rifugiati che non hanno a disposizione sufficienti soldi per giungere illegalmente in Europa e quindi si dirigono verso il Paese del Primo Mondo più vicino: Israele.

Il movimento Fuori i Negri di Miri Regev nel 2012 ebbe scarso supporto popolare. Alla manifestazione di Tel Aviv vi parteciparono solo mille persone. Il principale motivo del mancato supporto popolare era la politica marcatamente xenofoba del movimento di protesta e le violenze compiute contro gli immigrati dai militanti più fanatici. Violenze istigate dalla stessa Regev che culminarono nel maggio 2012 in riot razziali e attacchi a negozi di africani. Violenze che ricordavano troppo le politiche razziali naziste contro gli ebrei nella Germania degli anni Trenta per essere sostenute dalla maggioranza della popolazione israeliana.

Nonostante il movimento Fuori i Negri avesse uno scarso supporto popolare e fosse in pratica condotto avanti da un pugno di fanatici estremisti, fu in grado di influenzare il Governo che dal 2013 varò una serie di misure di contenimento dell’immigrazione dall’Africa militarizzando il confine con l’Egitto. Tramite il movimento, Miri Regev riuscì a fare una rapida carriera politica all’interno del Likud culminata nella nomina di Ministro. Il segreto della potenza politica del movimento razziale è i suoi stretti legami con le sette ortodosse della religione ebraica, le stesse che supportano i ‘coloni’ che occupano illegalmente le terre della Palestina. Queste sette ortodosse ebraiche hanno un peso enorme e spropositato nella politica israeliana che non trova corrispondenti tra la società che spesso non condivide la politica estremista di questi fanatici religiosi.

Nel primo semestre del 2013 le misure anti immigrazione diminuirono drasticamente i flussi migratori dal Sinai. Solo 43 immigrati africani riuscirono ad entrare in Israele. Dal 2015 in poi i flussi ripresero ma il controllo militare della frontiera ha impedito migrazioni di massa. Il Governo Israeliano ha stretto accordi segreti con Rwanda e Uganda per deportare migliaia di eritrei e sudanesi. L’esistenza di questi accordi segreti sono sempre stati negati dai Presidenti Yoweri Kaguta Museveni e Paul Kagame per ovvie ragioni tese a proteggere la reputazione e l’immagine delle due potenze della Regione dei Grandi Laghi in quanto prevedono la deportazione forzata dei rifugiati da Israele in Rwanda e Uganda.

I due Paesi africani si sono impegnati ad accogliere i rifugiati che non possono ritornare in Eritrea e Sudan in quanto sarebbero immediatamente giustiziati dai rispettivi regimi dittatoriali: quello eritreo in quanto considera ogni immigrato come un disertore; quello sudanese in quanto considera ogni immigrato dal Darfur come un miliziano o un simpatizzante dei gruppi ribelli che combattono il dittatore Omar El Bashir.

In cambio dell’accoglienza dei rifugiati politici deportati da Israele, Rwanda  e Uganda ricevono annualmente dal 2015 una considerevole somma di denaro versata sotto forma di aiuti alla cooperazione bilaterale. Ricevano anche forti sconti nell’acquisto di armi israeliane. Il governo di Tel Aviv ha anche rafforzato la cooperazione economica, gli investimenti e il supporto politico militare a Kampala e Kigali. Attualmente un nutrito team di agenti segreti del MOSSAD sono presenti in Rwanda ed impegnati ad addestrare sia le forze ribelli burundesi che intendono liberare il Burundi dal dittatore Pierre Nkurunziza, sia l’esercito ruandese che sta impedendo l’invasione del Paese da parte delle Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda attestate nei vicini Congo  e Burundi. Le FDLR (create dalle forze armate e milizie che attuarono il genocidio nel 1994) conterebbero circa 12.000 uomini e starebbero ora arruolando centinaia di miliziani burundesi che operano all’interno della milizia genocidaria Imbonerakure.

La deportazione di eritrei e sudanesi è forzata ma il governo israeliano, attento all’opinione pubblica internazionale che deve essere sempre favorevole alla causa ebraica per continuare l’occupazione militare e i massacri di civili nei territori occupati palestinesi, offre 3.500 dollari ad ogni rifugiato deportato. In caso di rifiuto vengono immediatamente imprigionati. Molti rifugiati esprimono il desiderio di essere deportati in Uganda  per due semplici motivi. In Rwanda, eritrei e sudanesi si inserirebbero in una società aliena alle loro usanze, cultura e lingue. In Uganda al contrario le comunità eritrea e sudanese sono numerose. Rispetto al Rwanda, l’Uganda attua un controllo poliziesco meno invasivo e offre maggiori possibilità di lavoro e integrazione socio economica per questi deportati.

Miri Regev e il suo movimento xenofobo si è riattivato agli inizi di quest’anno con l’appoggio del Primo Ministro Bejamin Netanyahu. Lo scorso 8 settembre fa lo stesso Primo Ministro israeliano ha promosso il rigurgito xenofobo del Blacks Out visitando i quartieri sud di Tel Aviv dove, sotto i riflettori dei Media, ha raccolto il malcontento di onesti cittadini israeliani che accusano gli immigrati eritrei e sudanesi di essere l’unica causa di degrado sociale e di essere il problema numero uno per la sicurezza pubblica. Durante questa visita Netanyahu si è prestato ad un orribile show razzista forse accuratamente preparato dagli estremisti di Regev e dal fanatici ortodossi giudei. Alcuni cittadini hanno raccontato storie di criminalità diffusa tra gli immigrati, difficili da verificare per dare l’impressione di essere sotto assedio da parte di orde barbariche criminali e violente. Netanyahu si è fatto immortalare dalle telecamere delle TV israeliane mentre ascoltava una signora anziana israeliana che si dichiarava terrorizzata dai negri affermando che non usciva di casa dopo le 5 del pomeriggio.

Come successe nel 2012 il Likud ha rispolverato la teoria che gli immigrati africani stiano minacciando l’identità giudaica di Israele. Nethanyahu ha ricordato che solo gli ebrei (di qualunque razza) possono immigrare in Israele. L’associazione immigrazione e identità giudaica non gode del supporto e approvazione della maggioranza dell’opinione pubblica che la considera una associazione artificiale.

Durante l’assai discutibile visita nei quartieri sud di Tel Aviv, il Primo Ministro israeliano ha oltrepassato il Rubicone ponendo la politica immigratoria di Israele nei stretti e pericolosi confini razziali. Ha pubblicamente affermato di non riconoscere lo statuto di rifugiati alle migliaia di persone vittime delle sanguinarie dittature in Eritrea e Sudan. Per Netanyahu eritrei e sudanesi sono solo dei immigrati clandestini, definiti da lui stesso in modo assai disprezzante: ‘Infiltrati Illegali’. Ha inoltre promesso che il Governo riconsegnerà i quartieri sud di Tel Aviv ai cittadini israeliani.

Netanyahu nel suo discutibile show mediatico, per compiacere l’estrema destra e i fanatici religiosi dell’ebraismo ortodosso (preziosi alleati nella sua politica di occupazione della Palestina), nasconde le cause dell’alta concentrazione di ‘infiltrati illegali’ proprio nei quartieri sud di Tel Aviv. E’ lo stesso governo che la crea. I rifugiati dall’Eritrea e Sudan che tentano di oltrepassare la frontiera del Sinai entrando in Israele vengono arrestati e trasportati presso in centro di detenzione ubicato nel deserto del Negev, dove vengono reclusi per un periodo che varia dai 6 ai 12 mesi. Quando vengono rilasciati, il governo israeliano si trova nella impossibilità di rispedirli oltre frontiera sia per il loro statuto di rifugiati sia perché l’Egitto rifiuta di riprenderseli. Di conseguenza offre a loro un biglietto di autobus per Tel Aviv con destinazione la stazione di autobus dei quartieri sud della città. Concentrare i rifugiati nel sud di Tel Aviv rientra in una politica tesa a facilitare il loro controllo da parte delle forze dell’ordine e impedire che gli immigrati africani si spargano in altri quartieri o città. Molti immigrati si insediano nel quartieri di Neve Shaanan, centro di prostituzione e criminalità prima ancora del loro arrivo, divenendo facili prede e vittime.

L’etichetta di ‘parassiti’ affibbiata dal governo e dai movimenti xenofobi israeliani mal si addice alla realtà degli immigrati africani come fa notare Adi Droi-Avram della ASSAF (Organizzazione di Aiuto per Rifugiati e Richiedenti Asilo in Israele). «Prima di tutto i rifugiati africani originalmente attraversano il confine israeliano illegalmente ma dopo il periodo di detenzione ricevono un Visa di residenza rilasciato dal Ministro degli Interni rinnovabile ogni due mesi. Quindi non possono essere definiti infiltrati irregolari dopo aver ricevuto regolare permesso di soggiorno. Molti di questi rifugiati, pur vivendo in quartieri ghetto e in situazioni difficili, riescono a trovare un lavoro anche se mal pagato o aprire una piccola attività commerciale. Pagano regolarmente le tasse quindi non sono certo in posizione di illegalità né possono essere considerati parassiti», spiega Adi Drori-Avaraham.

L’appoggio offerto al Primo Ministro al movimento xenofobo di Miri Regev, causa della rinnovata crociata contro i ‘negri’, nasconde motivazioni politiche completamente scollegate dall’immigrazione. E’ uno stratagemma per rafforzare alleanze con l’estrema destra e le frange dell’ebraismo ortodosso per meglio affrontare la politica di occupazione della Palestina sempre più messa in discussione sia a livello internazionale che tra una crescente percentuale della società israeliana. L’appoggio è anche una contro offensiva rivolta contro la Corte Suprema che sta mettendo in seria discussione la politica migratoria del Likud.

Lo scorso agosto la Corte Suprema ha decretato che la reclusione di migranti clandestini nel deserto di Negev lede i diritti umani e quindi da considerarsi illegale. Si auspica che vengano creati centri di accoglienza dove il soggiorno non duri più di 60 giorni. La Corte Suprema avverte il governo che è un dovere inalienabile gestire umanamente i rifugiati e chiama a inserirli nel tessuto sociale e produttivo israeliano o di ricollocarli in Paesi terzi ma sicuri dietro compenso finanziario che permetta loro di rifarsi una vita altrove. Le prese di posizione della Corte Suprema rischiano di smantellare la politica migratoria voluta e sostenuta dal Primo Ministro Netanyahu. Una politica con evidenti connotati razziali che di certo non fa onore alla memoria di 6 milioni di ebrei caduti in Europa durante l’Olocausto, anche essi vittime di politiche razziali disumane.

Nonostante l’intervento della Corte Suprema e del biasimo di una parte  della società israeliana, le prese di posizione di Netanyahu, Regev e degli ebrei ortodossi stanno favorendo il nascere di nuovi e pericolosi movimenti razzisti molto simili alla ideologia nazional socialista delle Camicie Brune. I discorsi e la propaganda contro gli immigrati africani contiene molte similitudini con la propaganda contro i parassiti ebrei tedeschi. Il movimento più pericoloso è il South Tel Aviv Liberation Front – STALF (Fronte di Liberazione di Tel Aviv Sud). Godendo di molta influenza presso il governo e le fazioni ortodosse ebraiche  propone una terribile propaganda impregnata di odio razziale puro contro gli immigrati.

Lo STALF sostiene che gli immigrati africani portano in Israele la cultura del Terzo Mondo, misogina, sciovinista, omofobica e non rispettosa della cultura e delle leggi nazionali. «Gli immigrati negri non rispettano le autorità, non rispettano la legge, non rispettano i residenti», afferma il leader del STALF Sheffi Paz ex militante di sinistra che ora promuove la più pericolose forme di intolleranza razziale e xenofobia Lo STALF gode di un discreto sostegno tra la compagine di governo  e di una tolleranza di parte delle forze dell’ordine. Secondo alcuni analisti vi è la possibilità che dalla propaganda razziale, questo gruppo passi alla violenza diretta contro gli immigrati se le proposte di legge repressive anti migrazione presentate al Parlamento non venissero approvate. Questo è la Terra Promessa, Israele 72 anni dopo l’Olocausto.