General

Hezbollah: si avvicina il conflitto con Israele?

17 Ottobre 2017

Intervista a Lorenzo Forlani, corrispondente dal Libano per l’Agi e analista specializzato in Medio Oriente

La guerra in Siria ha ulteriormente trasformato Hezbollah in una vera e propria potenza regionale, lo sostiene ‘Middle East Eye’ in un articolo pubblicato lo scorso 12 ottobre. Il gruppo, riconosciuto come terrorista da Washington, durante il conflitto civile siriano ha acquisito un’estesa competenza ed esperienza sul fronte di guerra che ha inevitabilmente acceso un campanello d’allarme per Israele.

Sostiene, infatti, ‘Middle East Eye’ che, ad oggi, l’esperienza accumulata avrebbe reso Hezbollah ancor più preparato per sostenere un conflitto – se necessario – contro Tel Aviv. L’organizzazione, grazie al supporto iraniano, si insediò nella regione sotto le vesti di gruppo di resistenza contro Israele. Di fatto, Hezbollah opera e operava presso il confine a sud del Paese. Si preannuncia, invece, oggi una nuova era per l partito di Allah grazie alle vittorie conquistate nel conflitto siriano. La sua presenza non si riduce, infatti, a un’area geografica ristretta, ma – secondo quanto dichiarato dal leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah – i suoi militanti sarebbero pronti a combattere dovunque ci sia bisogno di loro.

Questa trasformazione del ruolo e della presenza di Hezbollah nella regione lo ha ricondotto, forse, ai ferri corti con Israele. Non è, infatti, un caso che – secondo quanto riportato lo scorso 1 ottobre da ‘Middle East Eye’ – Hezbollah avrebbe accusato il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, di esercitare delle pressioni volte a portare la regione a una vera e propria guerra. Nasrallah, secondo ‘Middle East Eye’, avrebbe dichiarato che nessuna parte del Paese nemico sarebbe più sicura qualora copiasse un conflitto tra i due. D’altra parte, Tel Aviv avrebbe dichiarato di usare – in occasione di un’eventuale guerra contro Hezbollah – qualsiasi forza a sua disposizione. Tra le mutue accuse e difese non si deve dimenticare che dietro il gruppo ‘terrorista’ si nasconde un forte sostegno di Teheran, ovvero lo storico nemico israeliano.

Sembra, però, che le preoccupazioni di Netanyahu siano più che fondate. Non solo Hezbollah avrebbe acquisito molta più esperienza e fiducia in Siria – confermate entrambe dalle numerose vittorie conseguite-, ma rappresenterebbe una vera e propria potenza regionale. Lo dimostra il ruolo che ricopre nel vicino Libano. Ad esempio, lo scorso 29 settembre, in un articolo pubblicato dallo stesso ‘Middle East Eye’, l’agenzia avrebbe riportato la frustrazione dei musulmani sunniti libanesi dovuta al ruolo sempre più importante di Hezbollah nel Paese. Scrive, infatti, l’agenzia araba che, una volta ridotto il ruolo saudita a semplice ‘observer’ del Paese, il gruppo sciita sarebbe l’attore egemone libanese sugli affari locali in assenza di una contro-forza politica capace di prendere le redini.

Tel Aviv sembra percepire pienamente l’ascesa di Hezbollah nella regione e l’area dove i due attori si scontrano in maniera diretta sono proprio le alture del Golan. Il Partito di Allah conta, infatti, più di 10 000 uomini che combattono contro Israele nel sud della Siria. Secondo quanto riportano fonti ufficiali di ‘Middle East Eye’, la de-escalation del conflitto e la parziale uscita di scena di Mosca e Washington avrebbero lasciato maggiore libertà di manovra al gruppo sciita, comportando quindi, quasi un ‘via libera’ a un confronto diretto tra Israele e Hezbollah. Secondo il ‘The Arab Weekly’, i corridoi territoriali che l’Iran starebbe costruendo tramite Paesi e gruppi alleati costituirebbero un ponte diretto tra Teheran e Tel Aviv.

La manovra strategica geopolitica riportata dall’agenzia araba, sostenuta anche dal Think Tank israeliano Besa Center, starebbe preoccupando altamente Israele, e rischierebbe di aumentare le possibilità di un prospetto di guerra. Secondo quanto sostenuto da Randa Slim, direttore del Track II Dialogues Initiative, se l’Iran e Hezbollah espandessero ulteriormente la loro presenza militare nei territori del Golan sotto controllo israeliano, Tel Aviv potrebbe giungere alla conclusione di non avere alternativa alla guerra. Le stesse Nazioni Unite hanno percepito un clima sempre più teso tra i due attori. Secondo quanto ha scritto il ‘The Arab Weekly’ lo scorso 1 ottobre, Hezbollah avrebbe mobilitato alcuni suoi sostenitori per applicare delle pressioni sull’UNIFIL. Con le tensioni che crescono tra i due, lo scorso 30 agosto il Consiglio di Sicurezza dell’ONU avrebbe, di fatto, approvato una risoluzione per il rinnovo di suddetta missione – il cui inizio risale addirittura nel 1978  e dove, per altro, sono impegnati ben 1125 soldati italiani.

Le alture del Golan diventano, quindi, un’area di forte interesse per gli equilibri geopolitici regionali. Una guerra tra Israele e Hezbollah rischia, forse, di complicare i già precari equilibri politici regionali, indebolendoli ulteriormente.

Abbiamo intervistato Lorenzo Forlani, corrispondente dal Libano per l’Agi e analista specializzato in Medio Oriente, per approfondire l’attuale situazione sulle alture del Golan e capire se Israele e Hezbollah, oggi, si trovano davvero ai ferri corti.


Che ruolo ha avuto nel conflitto siriano l’organizzazione Hezbollah? Come si è andato trasformando il gruppo nel corso del conflitto civile siriano?

Hezbollah ha preso parte alle operazioni militari in Siria a partire dalla fine del 2012 e nell’ambito della sua collocazione in un sistema di alleanze con Bashar al Assad e con l’Iran. Anche per via della porosità del confine a est del Libano (che configura una situazione socio-demografica che storicamente vede molte famiglie musulmane sciite divise tra le cittadine libanesi vicine alla Siria e le cittadine siriane vicine al Libano), l’ingresso ufficiale nel conflitto siriano del movimento sciita è in realtà fatto coincidere con la battaglia di Qusayr (a pochi km dal confine libanese) nel maggio 2013, a cui è seguita quella del Qalamoun a novembre dello stesso anno. Il Partito di Dio ha poi inviato consiglieri militari a Damasco in via informale, e col passare degli anni – e il contestuale indebolimento dell’Esercito siriano – ha preso parte ad un numero sempre maggiore di battaglie, anche vicino alla capitale e soprattutto ad Aleppo, dove è risultata essere la forza terrestre più rilevante sul terreno nella ripresa della città da parte dei lealisti alla fine dello scorso anno. Hezbollah, anche dopo l’intervento russo nel 2015, ha costituito sostanzialmente (e con il successivo apporto delle milizie sciite provenienti dall’Iraq) la fanteria del fronte di Assad. In diversi momenti ha rappresentato una forza anche più rilevante dello stesso esercito lealista. A mio parere, è interessante notare che, secondo diverse fonti, il conflitto siriano ha avuto per il Partito di Dio una funzione “allenante” in vista di conflitti futuri (con Israele). Proprio in questa occasione, la sua capacità militare si è accresciuta moltissimo e oggi i miliziani di Hezbollah sono infinitamente più preparati rispetto a 7 anni fa.

In che modo adesso si struttura nel Paese? Quali sono le reazioni degli attori regionali relative a questo cambiamento di Hezbollah? Qual è la sua presenza e la sua forza?


Hezbollah in Libano è l’alleato principale del Movimento Patriottico Libero, il più importante partito cristiano-maronita del Paese, fondato dall’attuale Presidente, Michel Aoun. Il partito di Dio conta ben 11 parlamentari in Parlamento e controlla due Ministeri (energia e politiche giovanili). Per molti versi, l’accordo raggiunto a ottobre 2016 per la formazione di un Governo libanese di larghe intese (con Aoun Presidente e Saad Hariri Primo Ministro) ha rappresentato una vittoria politica per Hezbollah, le cui milizie lo scorso maggio sono state definite dallo stesso Aoun come ‘complementari all’Esercito libanese e fondamentali nella difesa del Paese’. La roccaforte di Hezbollah si trova nella valle della Beqaa (il partito è nato ufficialmente nel 1985 a Baalbek), ma la sua presenza e la sua base di consenso è forte anche nel sud (a Tiro e dintorni) e ovviamente nel quartiere meridionale di Dahye, a sud di Beirut, che è la sua roccaforte cittadina. Hezbollah ha, come detto, una rappresentanza parlamentare e – attraverso alcune sue fondazioni –  fornisce servizi sociali in tutto il Paese, rafforzandone indirettamente il welfare, soprattutto con l’istituzione e la gestione di ospedali e scuole. Fondamentale è stato il contributo di Hezbollah – accanto all’esercito libanese – nella ripresa della cittadina di Arsal (est Beqaa) poco più di un mese fa, che era caduta nelle mani dei miliziani dell’Isis.

Quali sono le altre forze politiche in Libano?

Va ricordato che, se da una parte Hezbollah raccoglie consensi anche tra i cristiani – sopratutto nella Beqaa (Ras Baalbek) – ,  in Libano una parte della popolazione musulmana di rito sciita sostiene l’altro movimento sciita principale, cioè Amal, alla cui guida c’è lo speaker del Parlamento, Nabih Berri.

Come definirebbe la partecipazione del partito di Allah nella guerra in Siria?

La sua partecipazione ha avuto, secondo me, un effetto ambivalente. E’ davvero complicato capire se l’attivismo militare sciita abbia fatto aumentare o diminuire il consenso (e specularmente l’ostilità) dei libanesi nei confronti del Partito di Dio. I filoni di pensiero sembrano essere due, e non necessariamente si escludono: da una parte, soprattutto nella comunità sunnita, è certamente aumentata l’ostilità verso Hezbollah, in quanto percepita come una forza d’ingerenza negli affari siriani e soprattutto come un ostacolo effettivo alla riuscita della rivolta contro Assad. Anche all’interno delle altre confessioni non è raro sentir accusare Hezbollah di essere stata una sorta di ‘calamita’ del jihadismo con la sua entrata in Siria, che avrebbe appunto provocato rappresaglie da parte dei jihadisti e sconfinamenti in territorio libanese, come ad esempio nella stessa Arsal; dall’altra, è aumentata specularmente la convinzione (non solo tra i sostenitori di Hezbollah) che, anche per la debolezza dell’Esercito libanese, la presenza e l’attivismo di Hezbollah siano stati fondamentali per impedire alla guerra siriana di fagocitare anche il Libano.

In che modo sta reagendo, in particolare, Israele? 

Israele formalmente rimane neutrale nel conflitto siriano, ma nell’ultimo anno ha compiuto in realtà decine di raid in Siria diretti contro dei convogli di armi (presumibilmente destinate a Hezbollah in Libano). Alcuni quotidiani israeliani lo scorso anno avevano anche riportato la notizia secondo cui decine di miliziani di Jabhat al Nusra e dell’Fsa che operavano nei dintorni del Golan erano stati curati in alcuni ospedali israeliani di confine. Israele è nemica di Assad e di Hezbollah, chiaramente, ma d’altra parte non si può certo sostenere che sia solidale con la rivoluzione, né tantomeno con le sue frange islamiste, che spesso e volentieri sono affini ad Hamas (che infatti si è schierata da subito a favore della rivoluzione e contro Assad), o hanno una base di consenso in qualche modo simile. In ogni caso, è certo che Israele abbia interesse da una parte verso la frammentazione dell’area e l’indebolimento degli Stati ostili (di qui il sostegno aperto al progetto curdo), e dall’altra verso un livello costante di caos e conflittualità, che ritiene possa tenerla al sicuro dalla formazione di eventuali ‘coalizioni’ ostili.Qual è l’attuale situazione sulle alture del Golan?

Annuncio: 0:10
Le alture del Golan appartengono de iure alla Siria, ma sono state occupate militarmente dagli israeliani, che nel 1980 hanno proceduto alla sua annessione unilaterale e non riconosciuta dalle Nazioni Unite,  anzi l’hanno condannata ufficialmente con la risoluzione 497. Sia secondo analisti israeliani che secondo una parte degli apparati di sicurezza di Hezbollah, la prossima guerra tra Israele ed il Partito di Dio ha buone chances di consumarsi proprio nel Golan.

Israele ha sempre avuto come acerrimi nemici sia Hezbollah che Teheran naturalmente. Perché ultimamente si sta surriscaldando il clima nel Golan? E perché si stanno riaccendendo le tensioni tra Israele ed Hezbollah? Che ruolo gioca, a tal proposito, Teheran?

Lo status giuridico del Golan è disallineato rispetto alla realtà. Il clima si è surriscaldato anche perché durante il conflitto siriano la parte siriana del Golan è stata a lungo sotto il controllo di movimenti jihadisti. La tensione tra Israele ed Hezbollah è invece ai massimi storici sin dal 2006: su entrambi i fronti si discute apertamente del ‘quando e dove’ inizierà una guerra, non più del ‘se’. Israele ha fatto sapere che – viste le dichiarazioni sopracitate del Presidente libanese Aoun a proposito delle milizie di Hezbollah – se scoppiasse un nuovo conflitto le IDF riterrebbero responsabile, e quindi obiettivo militare, tutto il Libano (e il suo Governo). Avigdor Liebermann ha affermato di essere disposto a ‘riportare il Libano all’età della pietra’. Israele è conscia del fatto che Hezbollah ha aumentato esponenzialmente la propria capacità militare partecipando al conflitto siriano, ed anche per questo nel 2017 ha condotto due esercitazioni militari imponenti: la prima sui monti Tadros – che ricordano morfologicamente il sud del Libano – a Cipro (per la prima volta una esercitazione israeliana ha visto la partecipazione di militari stranieri non americani) lo scorso giugno; la seconda meno di un mese fa in territorio israeliano, durata dieci giorni e considerata la più imponente negli ultimi 20 anni. Hezbollah, da parte sua, è convinta dell’attualità del progetto israeliano di espandersi a nord (la ‘Grande Israele’), e ha percepito in questo senso i raid di Tel Aviv in Siria. Secondo fonti locali riservate, all’interno del Partito di Dio – che negli ultimi anni è divenuto più indipendente ed autosufficiente rispetto a Teheran, con cui ovviamente condivide visioni e strategie – prevalgono due filoni di pensiero: gli analisti e i think tank vicini al Partito sono convinti che Israele attaccherà il Libano nel Golan e nel sud del Libano; molti dei quadri militari, invece, ritengono verosimile un attacco direttamente su Beirut. La pensa in quest’ultimo modo anche il giornalista libanese Ramy G. Khouri, che lo ha scritto sul Daily Star.

In relazione al binomio Tel Aviv- Hezbollah, quali potrebbero essere  le reazioni degli attori internazionali e regionali, qualora si riaccendessero ulteriormente le tensioni? Quale sarebbe, in particolare, il ruolo di Teheran e Riyad? Quale invece quello di Mosca e Washington?

E’ difficile dirlo, dipende soprattutto dalla tempistica. Riyad recentemente si è avvicinata molto a Tel Aviv, con cui d’altronde condivide il ruolo di principale alleato regionale di Washington. Allo stesso tempo, i due Paesi sono ,forse mai come ora – anzi, paradossalmente oggi è più Riad che ‘traina il carro’ -, ai ferri corti con Teheran. Se scoppiasse un conflitto, tuttavia, è largamente inverosimile sia un coinvolgimento diretto dell’Arabia Saudita che quello di Teheran. Più possibile quello americano, se ce ne fosse bisogno. Ma oltre che dalla tempistica, molto dipenderà anche dal tipo di conflitto che esploderà, e in che aree avrà luogo. Quello di Mosca è un ruolo interessante e ambiguo, perché Putin sembra voler tenere i piedi in tutte le staffe, mantenendo comunque le carte abbastanza coperte. Il Cremlino è, infatti, alleato di Teheran, le truppe russe hanno indirettamente collaborato con Hezbollah in Siria, ma solo la settimana scorsa Re Salman è andato in Russia dove ha firmato accordi militari per un valore di oltre 3 miliardi di dollari, e nei mesi scorsi ha incontrato più volte sia il Presidente egiziano, Al Sisi,  sia il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu. Per la prima volta, sembra che Mosca possa avere una importante voce in capitolo in un eventuale scenario degenerativo, forse la più importante tra quelle esterne. Resta, comunque, da vedere in quale veste si proporrà la Russia,  se come ‘mediatore’, o come ‘fomentatore’, ma al momento non ci sono elementi concreti per capirlo.

Quale sarebbe, secondo lei, un prospetto futuro a breve e a lungo termine nell’area? Hezbollah continuerà ad essere presente in Siria e nel Golan? L’Iran si sta veramente costruendo un corridoio di ‘Paesi sciiti amici’ che, partendo da Teheran, arrivi fino in Israele?

Difficile dirlo, soprattutto nel lungo termine, vista l’imprevedibilità delle dinamiche in quest’area. Se dovessimo menzionare un fronte che potrebbe aprirsi a breve, il Libano sarebbe il primo indiziato. La questione dello Shia crescente a guida iraniana andrebbe chiarita una volta per tutte, chiamando in causa anche una questione di mutua percezione. Per Israele, l’Iran ricerca appunto una continuità territoriale e ‘logistica’ che da Teheran arrivi a Beirut, attraverso le alleanze con Baghdad, Damasco e ovviamente Hezbollah, e che mira alla distruzione della stessa Israele; l’Arabia Saudita teme tanto il soft quanto l’hard power di Teheran, che rimane il suo principale competitor regionale; Washington, alleato dei primi due, vorrebbe preservare gli attuali equilibri, che vedono l’Iran ancora su un piano di rilevanza geopolitica secondaria rispetto a Riyad e Tel Aviv, ‘reggenti’ degli interessi regionali americani nell’area, ai quali Teheran spesso si oppone, nel timore di un accerchiamento. E’ utile ricordare che l’opzione del ‘regime change’ – tramite intervento militare o indirettamente, come accaduto in passato anche in Iran, con il colpo di stato ai danni di Mossadegh nel 1953 – a Washington è apertamente valida sin dal 1979, a prescindere dalle amministrazioni. Gli iraniani ne sono consci e percepiscono ogni movimento attorno ai propri confini (ci sono più di 50 basi americane nei Paesi confinanti con l’Iran) come funzionali a eventuali progetti di ingerenza o di attacco alla propria sovranità e interessi regionali. Teheran – non solo perché le sue truppe e i suoi comandanti sono stati fondamentali nella guerra al terrorismo qaedista e dell’Isis – vuole assicurarsi anzitutto il riconoscimento del suo ruolo di potenza regionale primaria (anche in virtù della sua rilevanza demografica, economica, culturale e militare), e non elemento di contorno o “ancella” di potenze mondiali; poi, memore soprattutto dell’aggressione irachena del 1980 (di fronte alla quale le Nazioni Unite si dimostrarono tremendamente inefficaci o ignave, e in cui l’Occidente si schierò a fianco di Saddam, negando all’Iran la vendita ufficiale di qualunque strumento di difesa, che poi convinse l’establishment iraniano ad avviare in autonomia un programma missilistico), Teheran – che non attacca un Paese dal 1700, ai tempi di Nader Shah – vuole garantirsi un vicinato amico, e perlomeno non ostile: è utile ricordare che tutti i movimenti del terrorismo globalista, da Al Qaeda all’Isis, hanno sempre avuto in Teheran – dal punto di vista politico – e negli sciiti – dal punto di vista religioso, con il ‘takfirismo’ – il proprio obiettivo principale ed esplicito. La persecuzione degli sciiti – sponsorizzata lo scorso anno addirittura dal Gran Muftì saudita – è elemento fondante dell’impalcatura dottrinale qaedista e di Daesh, in virtù del fatto che gli sciiti vengono percepiti come dei ‘falsi musulmani’, intenzionati a ‘traviare’ nel tempo l’intera comunità islamica mondiale. Gli interventi di Teheran nell’area, in Siria soprattutto, per quanto certamente abbiano configurato una ingerenza e un elemento per molti versi problematico (che ha fatto parlare alcuni di ‘imperialismo iraniano’) sono di natura ‘solidaristica’ (verso quello che era l’unico alleato regionale di Teheran al tempo) e di ‘securitizzazione preventiva’, volti ad impedire l’attecchimento vicino ai propri confini di entità politiche apertamente ostili alla Repubblica islamica.