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Catalogna, così gli indipendentisti minacciano l’economia spagnola

5 Ottobre 2017

Il debito catalano verso il declassamento. Mentre il Cup propone di tagliare i rapporti con le banche che si trasferiscono. E usare debito e Pil regionali come un’arma. Per trascinare Madrid nel baratro. Il piano.

E’ tutto normale: si tratta di due banche spagnole, l’80% della loro attività è in Spagna. Si è diffusa una paranoia che ha portato a ripercussioni sulle azioni, ora per rassicurare investitori internazionali hanno giustamente reagito nel migliore modo possibile». José Carlos Diez, economista spagnolo di fama, ex consigliere del governo di José Luis Zapatero, abituale commentatore di El Pais, cerca di riportare le ultime notizie che arrivano dalla Catalogna alla realtà del mercato.

CROLLO E RECUPERO IN BORSA. Il Banco Sabadell, secondo istituto di credito della regione, ha convocato una riunione straordinaria del consiglio di amministrazione per spostare la sua residenza ad Alicante e dare la certezza al mercato di essere in tutto e per tutto una banca iberica e quindi con depositi e liquidità garantiti dalla Banca centrale europea. Secondo il Financial Times anche la Caixa, cioè la storica cassa di risparmio di Barcellona legata alle istituzioni della Generalitat, sta valutando una opzione simile.

Le acquisizioni realizzate durante il periodo della crisi hanno reso la Caixa e il Sabadell più indipendenti dal territorio d’origine. Oggi, stando ai dati del quotidiano finanziario El economista, hanno un’esposizione verso la regione pari al 27 e al 22%. Appena dietro con il 21% si trova la Bbva, l’istituto originario dei Paesi baschi divenuto una tra le maggiori banche europee per capitalizzazione. E tuttavia dal giorno del referendum i loro titoli in Borsa sono crollati del 10% e dell’8% per poi risalire in rally non appena hanno fatto trapelare di essere pronte al cambiamento di sede legale.

EFFETTI POSITIVI IGNORATI. Per i risparmi dei catalani è la migliore notizia possibile. Ma quelli che per molti sono effetti positivi – il freno a una possibile fuga di depositi in stile Grecia – non lo è per gli indipendentisti. Eulàlia Reguant, deputata del Cup, il partito anticapitalista che detiene la golden share dell’attuale governo regionale, ha proposto di tagliare i rapporti: «Dobbiamo smettere di lavorare con la Caixa, Banco de Sabadell e Bbva. Sono sempre state dalla parte dello status quo, perché sono lo status quo».

L’integralismo indipendentista è cresciuto quando la Catalogna ha iniziato a perdere peso economico rispetto a Madrid. La Capitale ha sorpassato la regione di Barcellona per Pil procapite e offre anche la minore imposta sui redditi, nessuna tassa patrimoniale e di successione. Dal 2013 a oggi, dice uno studio della società Informa D&B, le migliori condizioni di business hanno favorito un costante trasferimento di aziende verso Madrid, mentre il saldo di Barcellona risulta negativo.

PIANO B COME IL RITORNO ALLA DRACMA. L’avvio del processo di indipendenza ha accelerato le tendenze. E ora i progetti del Cup rievocano il piano B del ritorno alla dracma dell’ex ministro delle finanze elleniche, Yanis Varoufakis, quello che – parole di Alexis Tsipras – in realtà non è mai esistito e che ha portato alla rottura tra i due. Però la Catalogna non è la Grecia, è un pezzo di Spagna e questo cambia tutto: lo sanno a Madrid, lo sanno a Barcellona.

ECONOMISTI A SUPPORTO DELL’INDIPENDENZA. Se le banche catalane possono salvare i capitali mettendo il piede nella regione vicina, una parte degli indipendentisti è convinta di poter sfruttare i legami economici con la Spagna a loro favore. Il percorso per l’indipendenza è stato preparato da tempo, seppure in maniera semplicisistica, ed è stato sostenuto sul fronte legale da personalità come l’ex vice presidente della Corte di giustizia spagnola, Carles Viver Pi Sunyer, e su quello economico da accademici come il professore della Columbia university Xavier Sala i Martin.

La sua idea annunciata alla televisione catalana nel 2016 è usare il debito e il Pil regionali come un’arma per ottenere di più dalla Capitale: i titoli di debito sono a nome del re di Spagna e se la Catalogna diventasse indipendente, ha spiegato, «all’improvviso avrebbero un Pil molto più piccolo (di circa il 20%, ndr) e un debito molto più grande (circa il 125%, ndr) […] La Spagna non sarebbe in grado di pagare il debito di cui le banche spagnole sono i maggiori detentori. E ciò li rovinerebbe, innescando un bagno di sangue finanziario».

STANDARD & POOR’S VERSO IL TAGLIO. Una strategia estrema, si dirà. E però è la stessa espressa da Oriol Junqueras leader di Esquierda Repubblicana e attuale vicepresidente della Generalitat in un incontro a Bruxelles del 2013. Oggi è Madrid che tiene in piedi il debito della Catalogna. Altrimenti, ha spiegato l’agenzia Moody’s ancora a primavera, il giudizio sui titoli sovrani della regione di Barcellona avrebbe già raggiunto il livello spazzatura. E proprio il 5 ottobre Standard & Poor’s ha annunciato di essere pronta a declassarlo.

«L’economia catalana va bene, l’occupazione è cresciuta del 3,9% quella spagnola anche», prova a rassicurare il professore Diez. «L’indipendenza non ci sarà, le probabilità sono zero. Non stiamo parlando della Brexit. Nessuno riconoscerà una Catalogna indipendente. Germania e Francia sono state molto chiare. Se il governo spagnolo chiude i rubinetti, la Generalitat non ha più fondi e senza fondi non fai l’indipendenza».

FAR VEDERE IL BARATRO A MADRID. Finora però il governo catalano ha mostrato tutta la sua spregiudicatezza: ha approvato le norme sul referendum con un voto a maggioranza semplice, invece che con quella necessaria dei due terzi, ha convocato un referendum senza quorum, ha dichiarato che una Catalogna indipendente sarebbe stata all’interno dell’Unione europea nonostante non sia vero. Ora, trascinato dalle sue frange più estremiste, potrebbe sfidare anche le più solide leggi dell’economia: mostrare di essere pronto a vedere il baratro, a patto di farlo vedere anche a Madrid.