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Uganda, è guerra segreta contro il terrorismo islamico

15 Settembre 2017

Dalla notte del terrore del 2010, Museveni ha mantenuto la sua promessa: nessun altro attentato terroristico è stato realizzato

La sera della finale dei campionati mondiali di calcio, luglio 2010, centinaia di migliaia di ugandesi erano incollati ai teleschermi per vedere la madre di tutte le partite. Seguendo la tradizione goliardica e sociale della cultura ugandese, la maggioranza dei tifosi si era radunata nei pub, ristoranti e bar per condividere l’emozione della partita e bere fiumi di ottima birra ghiacciata e pur Waraki (Gin locale). Due violentissime esplosioni trasformarono una felice serata in un lutto nazionale. La più spaventosa fu fatta esplodere presso il Ethiopian Village a Kabalagala, noto quartiere della vita mondana notturna presso la capitale Kampala. Oltre 100 le vittime, circa 400 i feriti.

Nella capitale fu dichiarato lo stato di emergenza e invasa dall’esercito in assetto di guerra. Il massacro è rimasto indelebile nella memoria degli ugandesi e il Presidente Yoweri Kaguta Museveni promise che il Paese non sarebbe stato vittima di altri attacchi del terrorismo islamico. Dopo mesi di serrate indagini e caccia all’uomo, in collaborazione con le autorità keniote, furono arrestati vari somali collegati al gruppo terroristico Al-Shabaab che dal 2007 l’esercito ugandese combatte senza pietà in Somalia, dirigendo le operazioni militari del contingente africano AMISOM.

Dalla notte del terrore del 2010, Museveni ha mantenuto la sua promessa: nessun altro attentato terroristico è stato realizzato, a differenza del Kenya, vittima di periodici attentati sempre rivendicati da Al-Shabaab. La sicurezza del Paese è dovuta da un costante lavoro di intelligence che non ha minato il rispetto, la libertà e i diritti umani della comunità mussulmana in Uganda e degli immigrati e rifugiati somali liberi di entrare nel Paese ed integrarsi nel tessuto socio economico ospitante.

La polizia e le forze speciali anti terrorismo, addestrate dal MOSSAD, si concentrano sul controllo di una setta estremistica islamica denominata Tabliq, presente in Uganda. I Tabliq Eddawa sono un movimento di islamici ‘itineranti’. Nascono negli anni ’20 in Pakistan dall’idea di Muhammad Ilyas Kandhalawi. Da allora si sono diffusi in tutto il mondo, Uganda compresa. Ogni membro deve seguire sei principi fondamentali: la preghiera, il ricordo continuo di Dio, lo studio, la generosità, la predicazione e la missione. Ognuno deve sforzarsi in un percorso di auto-riforma verso il ‘vero’, unico islam. Eddawa significa ‘parlare di Dio’, Tabliq invece ‘andare a portare il messaggio’: per questo, il loro obiettivo ultimo è la predicazione.

La setta è sospettata di aver organizzato una serie di esecuzioni contro personalità musulmane moderate e di essere in contatto con Al-Shabaab e la guerriglia musulmana ugandese Alleance Democratic Forces ADF che opera nel est del Congo. Dal 2012 nove imam moderati sono stati uccisi. La scia di sangue delle cellule terroristiche islamiche ha colpito anche il Procuratore Joan Kagezi che aveva indagato sull’attentato di Kampala del 2010, ucciso nel marzo 2015 e un ufficiale delle ADF che aveva disertato mettendosi a disposizione delle autorità ugandesi per collaborare e fornire importanti informazioni. Tutte questi omicidi sono stati eseguiti da killer su motociclette. Le testimonianze convergono che gli autori avevano fisionomia somala.

Lo scorso febbraio Sheikh Yunus Kamoga, leader della setta Tabliq fu arrestato assieme ad altri 13 membri per aver minacciato di morte alcuni leader della comunità mussulmana che si oppone alla radicalizzazione islamica in Uganda. Mercoledì 23 agosto Sheikh Yunus Kamoga è stato  condannato all’ergastolo dalla Alta Corte di Kampala mentre altre due membri della setta a 30 anni di prigione. La condanna non riguarda le minacce rivolte agli imam moderati, di cui gli imputati sono stati riconosciuti innocenti ma il loro comprovato legame con i gruppi terroristici Al-Shabaab e ADF.

L’avvocato difensore ha tentato di montare una campagna contro il governo durata quasi dieci giorni e solo recentemente esauritasi senza aver raggiunto l’obiettivo di aggregare l’opinione pubblica su sospetti di una persecuzione religiosa promossa dal governo. Secondo l’avvocato difensore Ladislaus Rwakafuzi, la sentenza contro il leader della setta Tabliq è assurda e contraddittoria. Assieme agli altri due membri della setta viene riconosciuto innocente rispetto alle minacce di morte rivolte ad imam moderati ma viene riconosciuto colpevole di attività terroristiche ricevendo condanne esemplari. «Non esistono prove evidenti. Noto solo una volontà politica del governo di reprimere la comunità Tabliq in Uganda» afferma Rwajafuzi.

Siraje Nsambu, portavoce della setta Tabliq, ha affermato che la condanna del suo leader ha matrici politiche e denuncia un tentativo di repressione religiosa contro i mussulmani. L’accusa di Nsambu non è stata appoggiata dalla maggioranza della comunità mussulmana ugandese che considerata la setta Tabliq estremista e pericolosa.

Il portavoce del governo, Ofwono Opondo, ha liquidato come ridicole le accuse lanciate dal portavoce e dall’avvocato difensore della setta. «L’Uganda è uno dei rari Paesi in Africa che può vantare l’assenza di politiche governative tese e perseguitare gruppi religiosi, politici o razziali. Il governo ugandese non sta assolutamente perseguitando i musulmani», afferma Opondo.

Vari Imam musulmani confermano l’assenza di un politica contro l’Islam o tentativi di promuovere sentimenti islamofobici. Anche i media ugandesi si sono sempre distinti per aver evitato di associare il terrorismo salafita con la religione musulmana, contribuendo alla pacifica coesistenza religiosa nel Paese a maggioranza cristiano dove i musulmani rappresentano una esigua minoranza e quindi facile vittime di persecuzioni, accuratamente evitate dal governo.

Nonostante il leader Sheikh Yunus Kamoga si stato condannato all’ergastolo, la setta Tabliq non è stata messa fuorilegge anche se è stata decapitata della sua dirigenza. Secondo fonti interne al Parlamento il governo avrebbe deciso di evitare gli errori commessi in Nigeria alla fine degli anni Novanta dove l’esercito soppresse nel sangue la setta Boko Haram per distruggerla. Il bagno di sangue creò una serie di martiri e rafforzò l’estremismo islamico capace di trasformare Boko Haram da setta locale a temuto gruppo terroristico islamico regionale che tutt’ora sta  combattendo una guerra contro la Nigeria, Niger, Camerun e Ciad, con l’aiuto di mercenari stranieri forniti da Al Qaeda e dal DAESH.

La tattica del governo ugandese nei confronti della setta Tabliq è quella di controllarla assiduamente e di isolarla dalla maggioranza dei musulmani ugandesi che già condannano le sue idee estremistiche. In caso di necessità i servizi segreti ugandesi ricorrano a delle esecuzioni extragiudiziarie di comprovati terroristi o pericolosi ideologici della violenza salafista. Metodi poco ortodossi e pericolosi rispetto alla salvaguardia dei diritti umani ma ritenuti dallo Stato Maggiore dell’esercito, pratiche soluzioni che fino ad ora hanno impedito la stagione di stragi e violenza terroristica islamica in Uganda.