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Russia: tutti in Siberia (e non solo)

1 Settembre 2017

L’Oriente emigra a Occidente. Tra problemi demografici russi, piani politici di Putin e ‘matrimoni d’interesse’ con la Cina

Il migrante, per definizione, è guidato principalmente da ragioni economiche o politiche (rifugiati o richiedenti asilo), in futuro probabilmente anche da problematiche ambientali. Oggi è possibile osservare migrazioni da Paesi sovraffollati a luoghi meno occupati e con un basso tasso di natalità.

Si possono citare tre Paesi al mondo: gli Stati Uniti e il Canada sono obiettivo di un flusso importante dal Messico, Sud America e diversi paesi asiatici; l’Europa dall’Africa settentrionale e quella subsahariana; mentre la Siberia dalla Cina.

L’emigrazione cinese in Siberia fa parte di un disegno eurasiatico concordato tra Cina, Russia e probabilmente Corea del Sud.  L’area siberiana russa orientale sarà uno dei fulcri dello sviluppo eurasiatico, nella sua declinazione della via della seta ma per far funzionare questo progetto è necessario un ‘ripopolamento’ che solo i cinesi pare possano garantire, secondo alcuni analisti. Per questo motivo Putin ha deciso di concedere gratuitamente a ogni cittadino che ne faccia richiesta fino a un ettaro di terra nelle  regioni scarsamente popolate dell’estremo Oriente russo. A patto che lo faccia fruttare, e con il divieto di venderlo o affittarlo per i primi cinque anni.

Chi non è cittadino russo e vorrà usufruire dei territori russi dovrà prenderli in affitto. Il piano interessa la Jacuzia, la penisola della Kamchatka, la Chukotka, il Primorskij Kraj, l’oblast di Khabarovsk, la regione dell’Amur e quella di Magadan, l’isola di Sakhalin e la Regione autonoma ebraica.

Queste regioni, oltre al ferro, sono ricche anche di carbone, oro e legname, ma soprattutto vi passa il petrolio russo diretto in Cina.

Roberto Poli, professore di filosofia della scienza dell’università di Trento, ci parla di un probabile cambiamento climatico in Siberia: “Nel giro di una trentina d’anni si evolverà il clima e una parte importate della Siberia del Sud diventerà coltivabile. Quindi, con l’aumento della temperatura, da una parte il terreno della regione sarà lavorabile e dall’altra le enormi riserve in termini di minerali e di giacimenti petroliferi saranno sfruttabili a prezzi molto inferiori. Ora intervenire non conviene, in quanto il territorio è caratterizzato da un consistente strato ghiacciato”.

Poli sottolinea il fatto che gli effetti di questo progetto si vedranno nei prossimi 25 anni. Egli sostiene che se ne parli poco anche per il fatto che i risultati sono sempre meno evidenti dei problemi.

Per capire meglio la situazione, abbiamo intervistato Marco Di Liddo, analista di Africa, Balcani ed Ex URSS del Ce. Si (Centro Studi Internazionali).

“Fino al 2014, quindi allo scoppio della crisi ucraina, la politica estera russa era sostanzialmente incentrata nell’estero vicino per quanto riguarda lo spazio ex sovietico, quindi l’Ucraina, il Caucaso meridionale e l’Europa in generale”, esordisce Di Liddo. Inoltre, la politica verso l’estremo Oriente è una politica che non si stava imponendo nell’agenda di Mosca. “Questo perché dopo la crisi ucraina, la Russia ha dovuto necessariamente intensificare i rapporti con i suoi partner non occidentali per modificare i propri canali di finanziamento, per cercare di rafforzare alleanze con potenze emergenti e per dare un tocco di variabilità ad una politica estera che, tradizionalmente, era orientata più verso Ovest che verso Est”. Questo cambio ha rappresentato l’accelerazione di un processo globale “che vede concentrare l’interesse di tutte le maggiori potenze mondiali verso l’area asiatica, che da un punto di vista economico offre più prospettive per il futuro”.

“Ovviamente, per spostare il baricentro politico verso Est, è necessario che la politica esterna sia sostenuta da quella interna. Quest’ultima decide di ravvivare, politicamente, la parte più orientale del Paese; ossia tutta l’area che va dalla Siberia orientale fino al porto di Vladivostok”.

Importante ricordare che la Russia è un Paese molto particolare, perché nonostante si espanda tra Europa e Asia, ha la maggior parte dei suoi centri politici, economici, militari e urbani concentrati nella parte occidentale del Paese. “Tutto ciò che si trova a Est degli Urali è un enorme area dalla quale attingere materie prime”, prosegue Di Liddo. Per rilanciare questo processo Putin ha fatto due cose: “un enorme piano di investimenti sull’area del porto di Vladivostok; un ripopolamento che garantisca ai giovani e alle famiglie russe che si fossero trasferite da Ovest a Est, degli enormi appezzamenti di terra”.

Questa è una politica, ci spiega Di Liddo, “che ricorda da una parte, quella statunitense di fine ‘800  -che incentivava i cittadini a trasferirsi da Est a Ovest, per popolare la frontiera-, dall’altra, una politica zarista, che spingeva i coloni della Russia occidentale a portare lo sviluppo nelle terre remote della Siberia”.

“Ovviamente, oltre ad una ragione economica, c’è una ragione politica: quelle terre, essendo vergini e non popolate, sono a rischio di invasione demografica da parte della Cina. Paese che ha una popolazione che è 8 volte superiore a quella della Russia, quindi ha bisogno di espandere i propri interessi economici fuori dai propri confini. Se però la migrazione cinese dovesse assumere un determinato connotato numerico, si configurerebbe agli occhi dei russi come una minaccia perché ci sarebbe il rischio che centinaia di milioni di cinesi vadano in Siberia e ne facciano un loro territorio. Questo accade quando una minoranza enorme decide di stabilirsi in una terra con la madre patria vicina. Tutto ciò può portare alla creazione di dinamiche tali da arrivare a rivendicazioni o perdita del controllo politico. La scelta politica di Putin è molto difficile e rischiosa in quanto le terre sono inospitali; i russi, rispetto alla grandezza del territorio, non dispongono delle risorse demografiche per fare una cosa del genere e infine dal 2014 Mosca non vive una situazione economica favorevole quindi per il momento Putin si deve ‘barcamenare’ tra queste velleità, ossia voler ripopolare l’estremo oriente russo e la necessità di mantenere un rapporto privilegiato con la Cina. Anche perché la Cina è il suo principale alleato in questo momento”.

Quindi possiamo dire che Putin è d’accordo sulla migrazione cinese?

In un certo senso deve accettarla, perché la Cina è uno dei maggiori clienti energetici della Russia. Inoltre, i cinesi acquistano petrolio russo, non solo per la qualità ma perché è l’unico che può arrivare via terra e quindi supererebbe il problema rispetto alle forniture di petrolio dal Golfo o da altri paesi, in quanto le petroliere non passerebbero per lo Stretto di Malacca e in quei mari che oggi sono particolarmente turbolenti per via delle rivendicazioni tra Giappone, Indonesia, Corea, Vietnam ecc.

Per questo motivo il Cremlino può e deve accettare quest’ondata di cinesi. Naturalmente, è un gioco pericoloso.

La Russia ha delle risorse di cui la Cina ha bisogno e necessita di capitali di cui la Cina ha in eccesso. È corretto?

Assolutamente sì. La congiuntura politica è favorevole. Mai, però, dimenticare la storia e la geografia. La Cina e la Russia sono due grandi ‘competitors’ a livello regionale asiatico e a livello globale. Quando c’era il comunismo in Unione Sovietica, esse sono state separate e avversarie. Da sempre è un rapporto di convenienza, un ‘matrimonio’ fondato sull’interesse.

A questo punto la Cina starà molto attenta nel muoversi…

La Cina sta cercando di ottenere ciò che più le conviene. Lei è quella più forte, la Russia è un paese che ha una grande esperienza, un’eccezionale immagine a livello di relazioni internazionali, egregissime Forze Armate, un ampio arsenale nucleare e immense risorse naturali. Dall’altra parte abbiamo un Paese che altrettanto ha delle Forze Armate molto forti, ma soprattutto è una potenza economica, ciò che la Russia non è. Essa, in questo momento, è solo un ‘distributore di benzina’.

La Cina è la potenza in miglior stato di salute. La Russia, furbescamente, cerca di ottenere dei benefici da questo matrimonio d’interesse.

Sono due potenze che vedono politicamente il mondo allo stesso modo, che hanno due sistemi politici che si somigliano, quindi con un forte ruolo esecutivo e sono complementari su tanti aspetti ma su altri competitivi.

Ciò che ne emerge è che la Cina è un paese che riesce a muoversi con una grande capacità di progettazione di lungo corso. Conferma?

Certamente. Magari è un Paese meno appariscente rispetto agli Stati Uniti o la Russia, per quanto riguarda propaganda o immagine, ma possiede molte risorse, progettazione di lungo corso e sa muoversi, coerentemente, rispetto ai principi che muovono le politica estera.