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Migranti, via alla ricollocazione. l’ira dell’Ungheria

6 Settembre 2017

La Corte di giustizia Ue ha respinto i ricorsi di Slovacchia e Ungheria contro le ‘relocation’ dei migranti richiedenti asilo da Italia e Grecia. Nella sentenza i giudici spiegano che «il meccanismo contribuisce effettivamente e in modo proporzionato a far sì che la Grecia e l’Italia possano far fronte alle conseguenze della crisi migratoria del 2015». In particolare nel 2015 i due Paesi avevano chiesto alla Corte di giustizia di annullarla sia per errori di ordine procedurale o legati alla scelta di una base giuridica inappropriata, sia perché non idonea a rispondere alla crisi migratoria, né necessaria a tal fine.

La decisione ha scatenato un putiferio di reazioni, soprattutto nell’Est Europa. A partire da chi si è opposto con più forza, ossia l’Ungheria. La decisione della Corte Ue è «oltraggiosa e irresponsabile e mette a rischio la sicurezza dell’Europa», ha tuonato il ministro degli Esteri Peter Szijjarto: «La sentenza è scandalosa e irresponsabile. Questa sentenza è politica, non giuridica, minaccia il futuro e la sicurezza dell’Europa, è contraria agli interessi delle nazioni e dell’Ungheria. Faremo tutto il possibile per difendere il nostro paese contro lo strapotere delle istituzioni dell’Ue. La battaglia vera comincia solo adesso».

Il presidente ceco Milos Zeman è altrettanto categorico: «Penso che non dobbiamo piegarci, non dobbiamo cedere alle minacce. Ora dico quello che a qualcuno non piacerà: nel caso peggiore è sempre meglio fare a meno dei finanziamenti europei che far entrare i migranti da noi».

«La solidarietà non è a senso unico. Ora bisogna andare avanti con i ricollocamenti e con le procedure d’infrazione avviate contro chi non rispetta la decisione della Commissione», ha detto il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani. Del tema migranti Tajani ha parlato questa mattina anche nel corso di una conferenza sulle priorità della politica europea rispetto alle elezioni che si svolgeranno nella primavera del 2019 per il rinnovo dell’Europarlamento. E ha ribadito la necessità di un ‘Piano Marshall’ per l’Africa per lanciare una strategia per lo sviluppo del continente che intervenga sui motivi che sono alla base dei flussi migratori verso l’Europa. «Bisogna investire molto in questa strategia, altrimenti non ci sarà soluzione al problema dei migranti illegali. L’Africa non può essere lasciata nelle mani dei cinesi», ha aggiunto Tajani.

Soddisfatto anche il commissario Ue Dimitris Avramopoulos: «La Corte di giustizia Ue ha confermato la validità dello schema dei ricollocamenti. E’ tempo di lavorare nell’unità e attuare in pieno la solidarietà». Intanto sulla questione migranti arrivano nuovi numeri, secondo cui ad agosto in Italia c’è stato un calo dell’81% degli arrivi di migranti rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. E c’è stato un calo del 66% rispetto a luglio, ha dichiarato Avramopoulos.

Passiamo alla questione Corea del Nord. Il governo giapponese ha alzato il livello di potenza del sesto test nucleare condotto dalla Corea del Nord fino a 160 chilotoni: «L’esplosione è stata largamente superiore a quella dei test precedenti, e non possiamo escludere che si tratti di una bomba all’idrogeno. Il regime di Pyongyang si sta evolvendo sia nello sviluppo balistico dei missili che nella tecnologia nucleare», ha detto il ministro della Difesa Itsunori Onodera. Intanto la Russia continua a frenare sulla possibilità di utilizzo della forza: «È impossibile risolvere il problema della Corea del Nord solo con le sanzioni: non dobbiamo mettere la Corea del Nord all’angolo, bisogna mantenere la lucidità», ha ripetuto il presidente Vladimir Putin in conferenza stampa con il suo omologo sudcoreano Moon Jae-in. Secondo la stampa di Seul, Putin ha in particolare respinto la richiesta del collega sudcoreano a favore del taglio dell’export di petrolio verso la Corea del Nord per spingerla a tornare ai negoziati.

In Siria invece è arrivato il rapporto della Commissione Onu sull’attacco con gas Sarin del 4 aprile scorso a Khan Sheikhun, nella provincia di Idlib, che causò la morte di 84 civili: «E’ stato compiuto da un aereo di fabbricazione russa utilizzato dalle forze militari del presidente siriano Bashar al Assad». La Commissione poi si dice ‘fortemente preoccupata’ dall’impatto dei raid della Coalizione a guida Usa sui civili. Nei pressi di Aleppo, lo scorso marzo, «le forze Usa hanno fallito nell’impegno di assumere tutte le precauzioni necessarie bombardando una moschea, in violazione del diritto umanitario internazionale». A Raqqa, prosegue il rapporto, «l’offensiva anti-Isis ha determinato 190.000 sfollati, e i raid della Coalizione hanno causato un numero significativo di civili uccisi o feriti». Su questi ultimi episodi le indagini sono ancora aperte. Intanto, violenti combattimenti sono in corso a Dayr az Zor, nell’est della Siria, dove i jihadisti dell’Isis hanno risposto con un contrattacco alle truppe lealiste.

Parlando di jihadisti, la polizia spagnola ha annunciato lo smantellamento in cooperazione con quella marocchina di una cellula con basi nell’enclave di Melilla e in Marocco. Sei persone sono state arrestate, fra cui il presunto capo del gruppo terrorista. Secondo il ministero, gli uomini fermati realizzavano addestramenti notturni e preparavano attentati.

La leader birmana premio Nobel Aung San Suu Kyi ha condannato le ‘fake news’ e la campagna di disinformazione perché a suo avviso stanno alimentando la crisi Rohingya nel Bangladesh. Secondo quanto recita un comunicato, Suu Kyi ha detto al presidente turco Recep Tayyip Erdogan in una telefonata che il suo governo sta difendendo tutti i cittadini nello stato occidentale del Rakhine.

Intanto è partito all’attacco il consigliere per la sicurezza nazionale della Birmania, Thaung Tun, che ha accusato i ribelli armati Rohingya di voler creare uno stato musulmano indipendente dalla Birmania. In particolare ha accusato i ribelli dell’Esercito Arakan per la salvezza dei Rohingya (Arsa) di essere gli autori degli attacchi di due settimane fa a polizia e forze dell’ordine (30 uccisi), all’origine della repressione.

In Brasile il procuratore generale Rodrigo Janot ha presentato denuncia alla Corte suprema contro gli ex presidenti della Repubblica, Luiz Inacio Lula da Silva e Dilma Rousseff, nell’ambito dell’inchiesta Lava Jato sui fondi neri Petrobras. L’accusa è di associazione per delinquere. Secondo Janot, esistono forti indizi che il Partito dei lavoratori fondato da Lula abbia formato una ‘organizzazione criminale’ per fuorviare denaro dal colosso statale del petrolio.

In Catalogna invece l’ufficio di presidenza del parlamento catalano ha accolto la richiesta dei partiti secessionisti di discutere e votare la legge di convocazione del referendum sull’indipendenza del primo ottobre. La probabile approvazione della normativa darà inizio alla crisi finale con il governo di Madrid, che ha dichiarato illegale il referendum.

Chiudiamo con il Kenya, dove ieri in tarda serata è arrivato il no alla data del 17 ottobre per ripetere le elezioni da parte del leader dell’opposizione Raila Odinga, sconfitto dal presidente uscente Uhuru Kenyata lo scorso 8 agosto. Odinga ha accusato la Commissione elettorale di non aver consultato il suo partito sulle modalità della prossima tornata elettorale. In più ha chiesto che alcuni funzionari dello stesso organismo vengano perseguiti penalmente, che si riformi la Commissione elettorale con garanzie legali e costituzionali e che la nuova votazione non sia limitata a due candidati.