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Coste italiane a rischio tra mafia, inquinamento e cementificazione

5 Agosto 2017

Infiltrazioni criminali negli stabilimenti, concessioni demaniali illiberali, abusivismo selvaggio. Così stiamo distruggendo il nostro patrimonio naturalistico. Ed entro il 2060 potremmo dire addio ai lidi vergini.



Era l’11 agosto del 2014 e, nel pieno della stagione balneare, l’allora ministro degli Interni, Angelino Alfano, per far sentire più sicuri i bagnanti lanciava la crociata contro il “racket” dei vu cumprà. Le spiagge italiane sono sì vittima di racket, ma da parte della criminalità organizzata, come denunciano, ormai da anni, i Verdi. Tant’è che alla fine qualcuno si è risentito e ha fatto rinvenire al loro presidente, Angelo Bonelli, un fegato animale sulla porta della sua casa di Ostia. Una intimidazione mafiosa in piena regola. Parlare di racket balneari additando gli abusivi è, insomma, come guardare il dito invece che la luna.

UN PATRIMONIO A RISCHIO. Ma quello della mafia non è il solo problema che riguarda i nostri litorali. Parliamo di un patrimonio naturalistico e paesaggistico unico al mondo, un vero tesoro ambientale che, se ben sfruttato, potrebbe valere diversi punti di Pil e che invece viene spartito da pochi noti, sparisce sotto colate di cemento o affoga tristemente nelle acque reflue di fogne e di poli industriali.

I tentacoli della Piovra dal Lazio alla Liguria
Che la mafia non si limiti al commercio di droga e alle estorsioni, ma vesta il doppiopetto dell’imprenditore e ricicli il proprio patrimonio di soldi sporchi in attività lecite, è un fenomeno noto da tempo. Non tutti però sanno che la criminalità organizzata ormai indossa anche bermuda e camicie hawaiane e investa soprattutto negli stabilimenti balneari: rendono molto a fronte di concessioni demaniali irrisorie – circa l’1% del fatturato, come testimoniano i dati della agenzia del demanio – costituendo quindi un business vantaggioso.

IN 5 ANNI, 110 STABILIMENTI SEQUESTRATI. Negli ultimi cinque anni, la magistratura ha sequestrato alle cosche 110 stabilimenti balneari. L’ultima operazione eclatante condotta dalla Guardia di finanza di Roma, nome in codice “Ultima spiaggia”, ha portato al sequestro del porto turistico, dello stabilimento Plinius, del bar-spiaggia Hakuna Matata, di 12 società di capitali, di 531 unità immobiliari e di 450 milioni di euro per gli intrecci, stando alle accuse degli inquirenti, tra il titolare e i clan Fasciani e Spada. Un vero e proprio impero gestito dalla malavita e costruito sulla sabbia delle coste di Ostia. Nello stesso periodo altre due operazioni, “Tramonto” e “Nuova alba”, hanno ulteriormente documentato l’interesse dei boss per il litorale laziale.

GLI “AFFARI” NELLO STIVALE. La criminalità organizzata, è noto, si è ormai da tempo radicata anche nel Nord Italia. In Liguria, per esempio, è la ‘ndrangheta a comandare: e lo fa col pugno di ferro dall’estremo Ponente a Levante. La recente inchiesta che ha portato allo scioglimento per mafia del Comune di Lavagna, nel Genovese, ha provato l’infiltrazione malavitosa nel settore balneare da parte delle famiglie Nucera e Roda-Casile alle quali il Comune, secondo l’accusa, avrebbe inoltre permesso di sversare illegalmente in mare i liquami dei chioschi. Situazione analoga in Veneto, mentre in Sicilia è stata da poco smantellata la rete di potere della famiglia Santapaola-Ercolano che gestiva, tra i tanti affari, anche numerosi stabilimenti balneari.

Concessioni demaniali: una legge illiberale

Alla base di tutto, denunciano i Verdi ma anche i magistrati, c’è una legge sulle concessioni demaniali desueta e illiberale che svenderebbe ai privati, per lunghi periodi, “pezzi” dello Stato senza bandi di gara e criteri che permettano di verificare la regolarità degli appalti. In un mercato privato del gioco della concorrenza sono così fiorite le lobby e gli affari dei boss. In realtà, negli ultimi anni qualcosa si è mosso: l’Unione europea, già nel lontano 2006, ha tentato di armonizzare la gestione delle realtà demaniali italiane con quella degli altri Paesi attraverso una serie di normative e di pronunce dell’Alta Corte.

BOLKENSTEIN DELLE POLEMICHE. Prima è arrivata la famigerata legge Bolkestein, che impone di procedere ciclicamente alla messa all’asta dei beni dello Stato dati in concessione (e ciò ha portato alle proteste a più riprese dei gestori degli stabilimenti balneari e degli ambulanti dei mercati rionali, per nulla intenzionati a cedere ciò che ormai considerano loro di diritto), poi, lo scorso anno, una sentenza della Corte di Giustizia ha bocciato la pratica tutta italiana della proroga delle concessioni per decreto governativo (l’ultima le ha blindate fino al 2020). A finire fuori legge 30 mila gestori. I giudici europei vogliono che l’Italia apra il settore a tutti: agli imprenditori italiani che a oggi ne sono rimasti fuori e agli investitori stranieri cui il nostro mare fa parecchia gola per le possibilità di guadagno.

CONCESSIONI QUASI EREDITARIE. Attenzione: non si tratta di vendere le spiagge agli sceicchi come propose nel 2011, tra il serio e il faceto, l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Tutt’altro. Grazie a bandi di gara aperti, trasparenti, corretti, si avrebbe una partecipazione europea con conseguente aumento delle offerte a beneficio dello Stato, che oggi invece svende i propri beni sempre ai soliti noti, con concessioni che di fatto diventano quasi ereditarie. Basti pensare che, come riporta Il Fatto Quotidiano, lo stabilimento extralusso Twiga di Forte dei Marmi, riconducibile a Flavio Briatore, versa allo Stato un canone di concessione di circa 14 mila euro l’anno per 4.485 metri quadri a fronte di ricavi di quasi 3 milioni di euro a stagione. Il “fratellino” che stava nascendo nel Salento è stato invece bloccato dalla magistratura lo scorso maggio per «l’esecuzione di lavori edili in difformità con le opere per le quali il Comune ha rilasciato le autorizzazioni» che rischiano di compromettere un’area sottoposta a vincolo paesaggistico. E questo, appunto, è l’altro annoso problema dei litorali italiani…

Entro il 2060 addio costa vergine

Nel 2060 avremo esaurito la costa vergine. Non esisterà insomma più baia, insenatura, golfo o cala non cementificata. La previsione, assai fosca, arriva dal Wwf. Qualcuno dirà che gli ambientalisti sono faziosi e in perenne stato di allarme. Benissimo. Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, già oggi il 75,4% della fascia entro 200 metri dalla costa è coperto.

8 KM ALL’ANNO CEMENTIFICATI. Legambiente ha condotto uno studio di mappatura dei litorali per verificarne lo stato di salute: su 3.902 chilometri di coste, circa 2.200 ospitano oggi villette, alberghi, casermoni, impianti turistici con affaccio diretto sul mare. Dal 1985, anno della legge Galasso a tutela dei beni paesaggistici sottoposti a vincolo ambientale, le colate di cemento hanno sommerso quasi 8 chilometri di costa l’anno, cancellando in alcuni casi una flora e una fauna unica al mondo e impattando negativamente sull’ecosistema marino con l’inquinamento.

ALLA CALABRIA LA MAGLIA NERA. Il record negativo spetta alla Calabria, dove le trasformazioni interessano più del 65% del litorale: su un totale di 798 chilometri, sono 523 quelli trasformati da interventi edilizi, il più delle volte illegali. Seguono Lazio, Abruzzo e Liguria con il 63% di coste consumate dalla comparsa di seconde case, impianti turistici e porticcioli.

Inquinamento: le bandiere rosse di Goletta verde

In una situazione simile, di forte disinteresse dello Stato, di significative infiltrazioni mafiose e di lobby alle quali è stato concesso di spadroneggiare, non deve stupire se ogni 54 chilometri di costa, la Goletta Verde di Legambiente ha rinvenuto tratti altamente inquinati. La colpa non è sempre dei gestori e non c’è sempre dietro lo zampino della mafia: molte volte l’inquinamento è dovuto, per esempio, all’assenza di depuratori comunali, con conseguente sversamento dei liquami in mare, dove i bagnanti si tuffano.

LE SPIAGGE A RISCHIO. Da Nord a Sud, per Goletta Verde, è un continuo fiorire di “bandiere rosse” che indicano la presenza di acque non a norma (con presenza di enterococchi intestinali > 400 Ufc/100ml e/o escherichia coli > 1000 Ufc/100ml). Spulciando i dati relativi al 2017 si scopre così che in Liguria sarebbe meglio non fare il bagno ad Arma di Taggia, Riva Ligure, Ceriale, Pietra Ligure, Bogliasco e, appunto, a Lavagna. In Toscana, bisognerebbe evitare di stare in ammollo di fronte alle coste di Carrara e di Livorno. Nelle Marche, Pesaro e l’intera zona di San Benedetto del Tronto risultano compromesse.