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Venezuela: ecco i venezuelani che se vanno

21 Luglio 2017

Le stime parlano di minimo 700.000, massimo due milioni, di venezuelani che sono emigrati dal 1999


Il Venezuela sull’orlo del default e della guerra civile è un Paese d’emigrazione. Oggi il flusso migratorio in uscita dal Venezuela è maggiore di quello in ingresso, quando fino a qualche anno fa era l’inverso. Il Venezuela non pubblica le statistiche sull’emigrazione, ma le stime parlano di minimo 700.000 massimo due milioni di venezuelani che sono emigrati dal 1999  e vivono stabilmente all’estero, ciò su una popolazione di circa 30 milioni, e la stragrande maggioranza sarebbe emigrata dopo il 2004, durante il primo Governo di Hugo Chávez. Un nuovo flusso in uscita si è registrato dal 2016.

La situazione è diventata così disperata che, nel 2016, i venezuelani sono divenuti i migliori richiedenti asilo degli Stati Uniti , superando i Guatemaltechi Salvadoregni e Messicani. Le richieste di asilo venezuelano sono aumentate del 150% dal 2015 al 2016.

Nel 2015, 197.000 Venezuelani hanno vissuto negli Stati Uniti, secondo un recente studio delle Nazioni Unite. Altri principali Paesi ospitanti erano Spagna (151.594 residenti venezuelani), Italia (48.970), Colombia (46.614) e Portogallo (23.404).

Come detto, sull’emigrazione dal Venezuela non ci sono dati ufficiali ma 2 indagini recenti: una dell’Università Cattolica Andrés Bello (Ucab) ed una dell’Università Centrale del Veneuela (Ucv). Secondo quest’ultimo studio, oltre il 90% di 1.500.000 emigrati venezuelani a partire dall’insediamento del Governo di Chávez sono laureati ed, in particolare, le professioni più colpite dall’emigrazione sarebbero: medici, piccoli imprenditori, professori, giornalisti ed ingegneri petrolchimici.

Secondo il giornalista venezuelano Francisco Olivares, sentito prima che la situazione precipitasse,  vi sarebbe stata in atto una vera e propria ‘diaspora bolivariana’, causata principalmente, tra fine 2015 e inizi 2016, dall’aumento della criminalità, dall’inflazione galoppante, dal regime di cambi fissi dollaro-moneta locale e la mancanza di opportunità di lavoro. Secondo il quotidiano online di opposizione ‘Maduradas.com’, «il modus operandi più quotato tra gli emigrati degli ultimi 10 anni è vendere casa, macchina, proprietà, l’azienda e partire verso Paesi più ricchi con un visto da studente». Inoltre sostiene che «se prima i venezuelani che abbandonavano il proprio Paese appartenevano principalmente alle classi più abbienti, a partire dal 2014, l’emigrazione ha cominciato a essere scelta anche dalle fasce più sfavorite della popolazione». «Tra i Paesi che ricevono più venezuelani vi sono Stati Uniti, Spagna, Italia, Portogallo e più di recente Colombia, Messico, Argentina e Panama» afferma dal canto suo una tra le più antiche testate venezuelane ‘El Nacional’.

Quello su cui tutti concordano è che si è registrato un aumento dell’emigrazione venezuelana negli ultimi 10 anni e che si è trattato di una fuga di cervelli, o quanto meno delle classe medie. Secondo alcuni studi vi sono circa 250 mila venezuelani residenti negli Stati Uniti, mentre secondo CONAPO (Consejo Nacional de Población – Consiglio nazionale della popolazione), il flusso netto annuale di emigranti messicani verso gli Stati Uniti ascendeva fino al 2010 a 390 mila. Ad emigrare dal Venezuela sono stati principalmente proprio coloro che usualmente non emigrano: coloro che hanno un lavoro, una macchina e un appartamento.

Potrebbe sembrare contraddittorio ma non lo è giacché si tratta di un flusso migratorio di diversa natura: dopo il primo Governo Chávez il Venezuela è stato anche la meta di migranti latinoamericani, dopo essere stato storicamente un Paese scelto come destinazione da numerosissimi emigranti europei. Secondo uno studio della Cepal (Comisión Económica para América Latina y el Caribe), un organo dipendente dall’Onu, fino al 2010 il Venezuela era il secondo Paese in America latina con il maggior numero di residenti stranieri dopo l’Argentina.

“Oltre ad essere un Paese recettore di immigrati durante il XX secolo, in particolare provenienti da Spagna, Portogallo, Italia, Siria, Libano, Argentina, Cile, Ecuador, Colombia, Cina ed Haiti, negli ultimi 10 anni si è osservato un altro fenomeno, anche se marginale a livello quantitativo: la migrazione di cervelli verso il Venezuela”, afferma Arnaud Rubi, sociologo francese, 35 anni, di cui 10 vissuti in Venezuela, ed oggi residente a Parigi, anche lui sentito prima della svolta peggiorativa del 2017.

“Una popolazione di giovani professionisti europei, statunitensi e latinoamericani è emigrata in Venezuela per partecipare all’avventura politica lanciata da Chávez e vivere la prima rivoluzione pacifica del XXI secolo” sostiene. Arrivato a Caracas dalla Francia nel 2005 con una valigia ed un master in Sociologia delle migrazioni in tasca, “in Venezuela ho trovato un lavoro in cui potevo usare le competenze acquisite negli studi e un alloggio, mentre a Parigi ero inoccupato e non avevo le possibilità di pagarmi un affitto”.

Monica Vistali, 33 anni, giornalista italiana residente a Caracas da otto anni, concordava con Rubi: “Dall’università sono uscita con un 110 e lode di cui, come succede a tanti, ho sentito ben presto l’inutilità pratica. Ho vinto la borsa di studio Mae-Crui e non ci ho pensato due volte, ho fatto le valigie e sono partita. Il Venezuela ti avvolge e ti ammalia fin dall’inizio, mi sono bastati pochi giorni per decidere che volevo restare”.
“Il mondo del lavoro in Venezuela è molto giovane”, affermava la corrispondente della televisione pubblica latinoamericana ‘TeleSur’, “all’interno dei media ci sono possibilità di evoluzione, mentre in Italia i giovani sono solo degli stagisti sfruttati. I media venezuelani fanno leva sui giovani professionisti che sono cresciuti con la nuova stagione politica chavista che ha cambiato il volto del Paese”.

Se il Venezuela ha attratto negli ultimi dieci anni migranti economici da diverse latitudini del Sudamerica ed intellettuali e professionisti affini alle politiche socialiste portate avanti da Chávez, è innegabile che già tra il 2015 e il 2016, non solo le classi benestanti venezuelane e ideologicamente contrarie al Governo, ma anche coloro che hanno studiato e sono cresciuti nel seno dei nuovi piani emblematici d’istruzione, salute, cultura lanciati a partire dal 2000 già cominciavano ad abbandonare il Paese a causa della crisi economica.

“Ho deciso di partire per l’Argentina perché la capacità d’acquisto si è ridotta tantissimo negli ultimi due anni in Venezuela”, racconta Daniela Álvarez, 32 anni, fisioterapista venezuelana che vive in una zona popolare di Caracas, “vorrei poter mettere da parte dei soldi e aiutare mia madre che è in pensione ma a malapena arrivo con quello che guadagno a fine mese”. “Al mio arrivo in Argentina mi accontenterò di qualsiasi tipo di lavoro manuale per sbarcare il lunario e vorrei ricominciare a studiare nel mio ambito per potermi specializzare”, affermava, a fine 2016, colei che ha sempre votato Chávez e poi l’attuale Presidente Maduro che rappresentava la continuità della politica del precedente.“L’aumento esponenziale dei prezzi di beni e servizi ha fatto sì che negli ultimi anni la nostra spesa familiare ha superato i nostri introiti, inoltre sono diminuiti i progetti di lavoro e quindi le possibilità di crescere professionalmente”, spiegava Luis Soria, designer venezuelano emigrato da due mesi a Barcellona che ha lavorato per dieci anni su progetti finanziati da istituzioni governative. “Abbiamo scelto la Spagna anche per la lingua, la stessa nostra, e così poter continuare a studiare, e onestamente per avere più tranquillità nella quotidianità”.

Secondo Rubi, il flusso migratorio di uscita dal Venezuela svincolato dal credo politico nei mesi scorsi soprattutto, era conseguenza della crisi economica frutto della caduta del prezzo del petrolio. “L’economia venezuelana si trova in una situazione altamente vulnerabile, visto che il paese non ha il controllo delle fluttuazioni del prezzo delle materie prime. Il budget del paese nel 2016 si è ridotto del 70% rispetto all’anno precedente visto che sono diminuite le entrate in una moneta stabile, come il dollaro, ciò implicando l’abbassamento del tenore di vita della maggioranza dei venezuelani. Inoltre bisogna aggiungere alle difficoltà attuali, gli impatti della guerra portata avanti dai grossi imprenditori. Vi sono molti elementi della Venezuela attuale che ricordano la situazione del Cile di Salvador Allende prima del golpe militare di Pinochet”.

Secondo Vistali, “molti chavisti sono emigrati anche perché disincantati dagli errori del Governo che è dovuto scendere a compromessi ed è stato sconfitto su vari fronti” non riuscendo a tutelare i diritti dei lavoratori dipendenti né a diversificare l’economia.

Criminalità e violenza regnano nelle strade del Venezuela, molti giovani studenti presso l’Università Cattolica Andrés Bello, a Caracas, non accettano questa situazione e prendono una decisione difficile: lasciare la loro patria per sfuggire una realtà assurda che sfida la  vita di tutti i giorni.

Secondo uno studio dell’Universidad Católica Andrés Bello condotto nei primi mesi del 2017, riportato dal quotidiano italiano di Caracas, ‘La Voce d’Italia‘, il 70% degli studenti è deciso a lasciare il Paese, non una ancora una possibilità concreta, ma ambiscono a farlo. Le destinazioni principali di emigrazione sono, in primo luogo, la Spagna con il 26% di scelta, poi gli Stati Uniti con il 16%, seguita dal Cile con il 14%. Il resto è distribuito in Paesi come l’Argentina, Canada, Colombia, Uruguay e Inghilterra.

I dati ottenuti sono vicini alla ricerca del sociologo Páez, che nel suo libro ‘La voce della diaspora’, sostiene che gli Stati Uniti sono il primo Paese idi emigrazione dei venezuelani, il 50% dei quali concentrati in Florida. Secondi posto, la Spagna, con circa 270 mila venezuelani. Per quanto riguarda tutte le regioni europee,  ci sono circa 700 mila venezuelani concentrate in Italia, Spagna e Portogallo. Per il ricercatore non si tratta di qualcosa di casuale dovuta all’immigrazione ricevuto in Venezuela per molti anni. Le famiglie di spagnoli, italiani e portoghesi che sono venuti qui e si diffondono le reti stanno creando figli e nipoti che hanno accesso alla nazionalità europea. Circa il 40% di coloro che sono emigrati hanno la doppia cittadinanza. La globalizzazione, il fatto che la  ‘conoscenza non è statica e le persone sono dietro a quella conoscenza’ incide sull’emigrazione venezuela, certo, ma la gran parte fugge perché punta a un miglioramento delle condizioni di vita, e si stima che almeno un 27% non farà più ritorno.

Più della metà degli studenti intervistati, il 54% ha detto che fugge per l’insicurezza, questa è la prima motivazione per la quale lasciano il Paese. La seconda ragione risiede nelle situazione economica del Paese. In conclusione, gli studenti che abbandonare il Paese lo fanno principalmente causa le condizioni ambientali attuali del Venezuela, non per studiare. L’uscita del Paese per studiare, magari con una borsa di studio come è iniziato accadere dagli anni ‘80 continua esserci, ma sempre più coloro che vanno negli uffici universitari per informarsi circa queste possibilità sono anche intenzionati a capire quali possibilità avranno di restare fuori dal Venezuela al termine degli studi, non hanno alcuna intenzione di tornare. Nel 2017 il numero delle pratiche degli studenti che richiedono di andare all’estero che le università si sono trovati a smaltire è aumentato, la sola  Andrés Bello al ritorno dalle vacanze di Natale si è trovata oltre una 50 richieste al giorno.

Da sottolineare che secondo gli studiosi, il 90% dei venezuelani all’estero oggi se ne sono andati dal Paese nel corso degli ultimi 17 anni.

Secondo il Rettore, come coloro che vogliono emigrare tendono ad essere principalmente quelli che sono laureandi o che sono già laureati, il che non mette in pericolo la sostenibilità dell’università, piuttosto è l’emigrazione degli insegnanti ciò che minaccia realmente le Università, fuori dal Venezuela guadagnano di più. ‘Questo è un problema, perché l’università è sottocapitalizzata’, sostiene il rettore della Bello.

L’attuale contesto del Paese delinea una realtà di paura, una realtà cruda e violenta dalla quale molti hanno deciso di fuggire, studenti e insegnanti.