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Eritrea: là dove l’Italia non ha coraggio

20 Luglio 2017

Fulvio Grimaldi ci racconta l’Eritrea che non trapela in Occidente, Paese che per ‘aiutarli a casa loro’, meglio se li “lasciamo fare!”, visti i danni fatti

‘Aiutiamoli a casa loro‘, la formula magica sventolata dalle forze politiche di turno con cui si cerca di buttare acqua sul fuoco quando si parla, ormai, quotidianamente, del problema immigrazione. E se scoprissimo che non solo stiamo facendo poco per favorire il progresso economico in Africa, ma che al contrario stiamo operando nella direzione opposta?

Questo sembra emergere quando si ascolta la testimonianza di Fulvio Grimaldi, giornalista e inviato di guerra per ‘RAI‘ e ‘BBC‘ poi documentarista indipendente che, dopo una recente visita in Eritrea, ha realizzato, insieme a Sandra Paganini, ‘Eritrea una stella nella notte dell’Africa‘, un docufilm che racconta una verità diversa su quello che oggi è il paese più demonizzato dell’Africa.


Abbiamo quindi parlato con lui dei rapporti tra il nostro Paese e la prima delle sue ex colonie, le cui autorità auspicano un intensificarsi dei rapporti con l’Italia risultando però inascoltate.
Cerchiamo, dunque, di andare oltre la superficie e di capire cosa c’è realmente dietro ad una situazione diversa da come la possiamo immaginare, e da come ci è stata raccontata.


In cosa consiste la specificità dell’Eritrea nel contesto africano, in particolare nei rapporti con l’Occidente?

Innanzitutto la questione Eritrea andrebbe sempre affrontata inquadrandola nel quadro complessivo di un continente africano che in questo momento è sicuramente sotto un attacco massiccio di molte potenze che si sono rese conto che lì c’è un futuro fatto di grande potenziale economico, e quindi ricchezza inestimabile. E che ci sono le condizioni, anche dal punto di vista politico e sociale per intervenire e approfittarne, data la presenza di anche di una serie di governi corrotti che hanno aperto le porte ad nuovo colonialismo che praticamente viene portato avanti dalle stesse potenze coloniali di un tempo, ma con rinnovato vigore.
In questo contesto l’Eritrea si colloca un po’ a parte, ricoprendo una posizione molto specifica è diversa dalla maggioranza dei Paesi africani, in quanto non è succube dei diktat da parte degli organismi finanziari e politici internazionali. Questo ha comportato naturalmente l’inimicizia da parte dei partner occidentali, frutto anche di una notevole propaganda mediatica ostile,  perché esce dal quadro di quello che si vorrebbe che fossero i governi subalterni del sud del mondo, per esempio non accettando (unico Paese africano insieme allo Zimbabwe) alcuna presenza militare statunitense sul proprio territorio. Tale clima che si è creato attorno all’Eritrea è si è sostanziato, tra i vari modi, nelle sanzioni comminate dall’Onu nel 2009.


Quanto è critica attualmente la situazione politica ed economica dell’Eritrea?

Le sanzioni del 2009 hanno sicuramente peggiorato una situazione venutasi a creare anche in seguito all’uscita dell’Eritrea da una guerra di liberazione trentennale, poiché le rendono difficile svolgere un ruolo di partner economico nei confronti di altri paesi senza che questi vengano a loro volta sanzionati. Ma la realtà è comunque diversa da quella che la propaganda mediatica vuole far passare per vera, cioè quella di un Paese sotto ostaggio di una dittatura che è causa di povertà estrema, dalla quale la popolazione cerca di fuggire.


Cosa determina quindi la grande affluenza di migranti eritrei verso l’Europa?

In questo senso le problematiche economiche sono determinanti, e non quelle politiche. Le sanzioni internazionali hanno frenato notevolmente uno sviluppo che negli ultimi vent’anni è stato tra i maggiori nel continente africano; tuttavia io ho girato ripetutamente l’Eritrea e non ho riscontrato assolutamente le condizioni di miseria estrema e di fame che si trovano in tanti altri Paesi del continente. E questo per merito di un Governo che ha posto come sua assoluta priorità la ridistribuzione della ricchezza in termini di equità sociale. Ciò si può notare da una parte all’altra dell’Eritrea dove non si trova una povertà estrema, nonostante le difficili condizioni che questa ha dovuto affrontare, tra  guerre di aggressione, l’isolamento economico e sociale, e la mancanza di scambi commerciali se non con alcuni paesi arabi e che se ne infischiano delle sanzioni internazionali. Questo isolamento ha sabotato la capacità del mercato del lavoro di assorbire la domanda delle nuove generazioni, generando un flusso migratorio cospicuo ma gonfiato nelle statistiche. Infatti ai rifugiati eritrei è concesso automaticamente il diritto d’asilo in Europa, e per questo motivo molti profughi provenienti da Paesi vicini come l’Etiopia, con grandi similitudini linguistiche e culturali, dichiarano strumentalmente la cittadinanza eritrea per godere dei diritti che a loro non sarebbero concessi.
A questo si aggiunga la tendenza naturale al ricongiungimento famigliare con la prima generazione di immigrati eritrei, giunti nel nostro Paese in particolare negli anni ’70.


Il Ministro degli Esteri eritreo ha recentemente manifestato un grande interesse nell’intensificarsi dei rapporti politici, economici ed imprenditoriali con l’ex potenza coloniale italiana, non trovando però nel nostro paese un ascoltatore attento. Se è veramente così che occasione stiamo perdendo?

È certamente così. Questa è una grande vergogna storica dell’Italia che ha nei confronti dell’Eritrea un debito gigantesco. Siamo stati in una colonia rapinatrice e predatrice, abbastanza spietata e con caratteri simil-apartheid sudafricano. Abbiamo anche contribuito ad un certo sviluppo del Paese in ambito urbanistico, agricolo ed industriale ma sempre e soprattutto a beneficio di quelle classi borghesi italiane e colonizzatrici. A contrario alla popolazione indigena non era permesso di accedere all’istruzione superiore , rimanendo confinata ai propri ghetti avendo accesso solo ai lavori più umili. Tutti i governi del dopoguerra sono responsabili del non crearsi di questo rapporto di amicizia e collaborazione che sarebbe di grandissimo vantaggio per l’Italia, data la posizione strategica dal punto di vista geopolitico dell’Eritrea, cruciale sul Mar Rosso e sullo stretto di Bab-el-Mandeb, che aprendo all’Oriente costituisce una specie di ponte tra Medio Oriente e Africa. Oltre ad essere inoltre un Paese ricco di risorse naturali. Non abbiamo avuto la forza e il coraggio di approfittare di questa condizione di potenziale partnership privilegiata con un Paese chiave nell’area del corno d’Africa, e questo per sottostare agli interessi delle multinazionali e dei centri di potere economico occidentali. Si tratta delle stesse dinamiche che hanno portato alla caduta di Gheddafi in Libia, altro Paese con cui godevamo di rapporti privilegiati sul piano economico ed energetico in particolare, e con il quale non siamo riusciti a tutelare i nostri interessi, che sono stati sostituiti da altri.


Un aumento nei rapporti tra Italia ed Eritrea potrebbe rientrare nel famoso paradigma dell’Aiutiamoli a casa loro’? E quanto questo potrebbe incidere sul contenimento dei flussi migratori?

Anche solo il ritiro delle sanzioni economiche ridurrebbe ad un fenomeno marginale l’emigrazione di giovani dall’Eritrea. Per cui dovremmo smetterla di cercare di imporre i nostri modelli di assetto politico ed istituzionale ad altri Paesi. La storia dimostra che con questo pretesto, insieme a quello della difesa dei diritti umani, l’Occidente ha più volte causato disastri piuttosto che risolvere problemi. In sostanza, per aiutarli a casa loro, lasciamoli fare!