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Spianata delle Moschee: perché è così pericolosa?

21 Luglio 2017

Il luogo sacro a tre religioni è sempre al centro delle tensioni: si rischia una nuova Intifada?

Le notizie che arrivano da Gerusalemme hanno riportato in primo piano la centralità della famosa Spianata delle Moschee (o Monte del Tempio, secondo il nome ebraico). La particolarità del luogo, estremamente sacro per tutte e tre le principali religioni monoteiste, lo ha reso, nel corso dei secoli, una polveriera pronta ad esplodere al minimo urto.

Per gli ebrei, quello è il luogo in cui il Re Salomone costruì il Tempio: un simbolo del nascente monoteismo ebraico. Seguendo le sorti dell’antico popolo ebraico, il Tempio fu distrutto e ricostruito (o ampliato) più volte, fino alla definitiva caduta ad opera dei romani nel 70. Oggi, dell’antico tempio, resta solo una parete nota a tutto il mondo come il Muro del Pianto: si tratta in assoluto del luogo più sacro della religione ebraica.

Per i cristiani, in quel luogo sono avvenuti molti degli eventi principali della predicazione di Gesù (la cacciata dei mercanti dal Tempio, l’entrata in Gerusalemme…). Inoltre, quando al termine della Prima Crociata Gerusalemme venne assediata e conquistata dai cristiani, i Cavalieri Templari trasformarono alcune delle moschee, che nel frattempo erano sorte sul posto, nella loro sede (da qui il nome dell’ordine), prima che ne venissero scacciati da Salāh ad-Dīn (noto in Italia come Saladino) nel 1187.

Per i musulmani, infine, si tratta del terzo luogo più santo in assoluto (dopo la Mecca e Medina) poiché è sulla Spianata delle Moschee (in particolare sulla Cupola della Roccia) che il profeta Maometto venne assunto in cielo. Da qui l’interesse per il sito e il proliferare delle moschee che danno il nome al luogo.

Per tutto il medioevo, Gerusalemme è stata il centro dello scontro tra cristiani e musulmani: per i religiosi più intransigenti dell’epoca, infatti, era impensabile che fedeli di altri credi potessero pregare in un luogo tanto sacro. In epoche successive, lo Stato ottomano, forte della sua caratteristica sovra-nazionale, inter-etnica ed inter-religiosa, garantì una certa tolleranza religiosa.

Con la caduta dell’Impero Ottomano e, in seguito, la fine del protettorato britannico, nacque lo Stato di Israele: era il 1948 e la Spianata delle Moschee, situata nella zona est della città, rimase sotto il controllo degli arabi. Nel 1967, però, con la Guerra dei Sei Giorni, tutta la città venne conquistata dall’Esercito israeliano. Alla fine, si riuscì a raggiungere un accordo tra Israele e la Giordania per cui la Spianata delle Moschee fa parte dello Stato Ebraico ma è gestita da un’associazione islamica giordana.

Nonostante ciò, la zona è stata spesso teatro di tensione. La Seconda Intifada (termine arabo per ‘sollevazione’) del 2000, ad esempio, scoppiò proprio a causa della visita dell’allora Primo Ministro israeliano Ariel Sharon alla Spianata: ovviamente si trattò solo della scintilla che fece esplodere una polveriera già traboccante di tensioni.

In effetti, il grande valore simbolico del luogo per tutte le principali religioni monoteiste lo ha reso l’innesco ideale per chi, in momenti di tensione, cercasse un pretesto per far esplodere la situazione. La mossa di Sharon, in effetti, fu politicamente molto spregiudicata: con la sua provocazione, di fatto scatenò la violenta reazione dei palestinesi e si impose, di fronte all’opinione pubblica israeliana, come l’unico in grado di garantire quella sicurezza di cui la popolazione sentiva il bisogno. D’altro canto, la scia di tensione innescata dalla Seconda Intifada sembra essere andata al di là delle aspettative del Primo Ministro israeliano: tutt’oggi, la situazione resta estremamente tesa e, in diverse occasioni, si sono avuti scontri tra polizia (o militari) israeliani e popolazione palestinese.

Allo stato attuale, l’accesso alla Spianata delle Moschee è controllato dalle truppe israeliane. Nonostante ciò, lo scorso 14 luglio, tre uomini armati, uscendo dalla Spianata delle Moschee hanno aperto il fuoco contro dei militari israeliani, uccidendone due e ferendone uno, prima di essere a loro volta abbattuti.

Se gruppi da sempre fautori della lotta dura contro Israele, come Hamas e la Jihad, hanno esaltato il gesto dei tre palestinesi definendoli martiri, il Presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmūd ‘Abbās detto Abū Māzen, ha immediatamente telefonato al Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, per condannare l’attacco: l’Autorità Palestinese, infatti, rappresenta quella parte del movimento di liberazione che considera la diplomazia più utile della violenza e, da anni, è impegnata sul fronte diplomatico. L’attacco assume, dunque, anche una valenza interna alla politica palestinese che vede, da un lato, i movimenti della lotta dura e pura (in primo luogo Hamas) e, dall’altro, un’Autorità Palestinese che cerca di mantenere il riconoscimento internazionale faticosamente guadagnato: gli attacchi contro obiettivi israeliani, di fatto, mettono in difficoltà l’Autorità Palestinese; d’altro canto, le dure reazioni israeliane rischiano di portare sempre più palestinesi nelle fila della lotta armata.

In effetti, la reazione israeliana è stata immediata e ha comportato, per la prima volta da lungo tempo, la chiusura della zona anche alla preghiera del venerdì. Questa decisione ha, a sua volta, provocato la reazione della comunità palestinese musulmana che è scesa in piazza per protestare contro la decisione del Governo.

Ad una settimana di distanza, con l’avvicinarsi del venerdì di preghiera, si temevano nuovi disordini: per questo, il Governo israeliano ha schierato truppe a guardia degli ingressi alla Spianata. Inoltre, è stato vietato l’accesso a tutti i maschi con età inferiore ai cinquant’anni e sono stati installai metal detector. Queste misure non hanno fatto altro che inasprire ulteriormente gli animi.

Come al solito, con l’aumento della tensione, l’Autorità Palestinese si trova in difficoltà e rischia di essere schiacciata tra l’intransigenza di Hamas e la reazione di Israele: il Presidente Abū Māzen ha convocato una riunione di emergenza per parlare della crescente crisi e ha chiesto agli israeliani di rimuovere immediatamente i metal detector. La posizione dell’Autorità Palestinese, in realtà, sembra rispecchiare la sua crisi politica. Nata grazie agli Accordi di Oslo del 1974 e frutto principalmente dell’azione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), l’Autorità Palestinese ha perso sempre più la sua presa sulla popolazione a causa dell’incapacità di andare avanti nel processo di pacificazione e, nel perdere terreno, ha lasciato spazio a quelle organizzazioni che rifiutano ogni forma di compromesso con lo Stato Ebraico. La richiesta di rimuovere i metal detector è sintomo di queste difficoltà.

Le violenze temute, sono puntualmente arrivate. Oggi, dopo la fine della preghiera, si sono avuti scontri tra le forze di sicurezza israeliane e gruppi di fedeli islamici. Si parla di lacrimogeni e proiettili di gomma; ci sarebbero già numerosi feriti e, secondo fonti palestinesi, la polizia avrebbe impedito alle ambulanze di soccorrere i feriti.

Le ultime notizie parlano di tre morti: la prima vittima sarebbe un palestinese di diciassette anni colpito alla testa da un’arma da fuoco; a sparare non sarebbe stato un poliziotto ma un colono israeliano. La notizia è stata diffusa dal Ministero della Salute palestinese. Scontri si sono avuti anche in altre zone del Paese, a Betlemme e vicino Ramallah.

A questo punto, sembra esserci il rischio reale di un’estensione del conflitto a tutto il Paese e, anche se ancora non se ne parla apertamente, pare aleggi lo spettro di una nuova Intifada. Le prossime ore potrebbero essere decisive: bisognerà vedere se l’Autorità Palestinese sarà in grado di gestire la crisi o se, come in passato, non riuscirà ad impedire che a giovare della situazione siano i movimenti più estremisti come Hamas.

Sarà anche importante capire se e come la diplomazia internazionale vorrà e potrò intervenire per trovare un accordo: le ultime notizie a riguardo parlano di contatti tra Abū Māzen e il Presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, e di crescenti tensioni tra Netanyahu e la diplomazia dell’Unione Europea. Inoltre, con l’allentarsi degli interessi degli Stati Uniti nella zona, un nuovo attore si sta affacciando con sempre più peso sulla scena: si tratta della Cina che, recentemente, ha proposto un suo piano di pace in quattro punti. La proposta cinese prevede 1. la nascita di uno Stato Palestinese con i confini del 1967; 2. una nuova gestione delle questioni umanitarie, a cominciare da Gaza; 3. che si riparta dalla Risoluzione ONU n. 242 del ’67; 4. che alla comunità internazionale siano affidate maggiori responsabilità.

In questo momento, è improbabile che la proposta cinese possa apportare grandi novità alla situazione e, per molti, si tratta solo del tentativo di inserirsi da protagonista in un’area che fin’ora era stata di pertinenza statunitense. Per il momento, ciò che è certo che, per l’ennesima volta, la scintilla che ha dato il via alla crisi è partita dalla Spianata delle Moschee: il luogo più sacro del pianeta.