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Viaggio nell’enclave curda della Siria

4 Marzo 2017

Una giornalista e una fotografa hanno visitato la regione controllata dai curdi nel nord del paese, raccontando delle città che sembrano rinascere e di quelle dove ancora si combatte

Per motivi complicati che hanno a che vedere con la guerra e la politica l’unico modo di entrare e uscire dall’enclave controllata dai curdi in Siria è salire su una barca di ferro arrugginito che trasporta i passeggeri attraverso il fiume Tigri dall’Iraq. Alla fine dell’anno scorso la fotografa Alice Martins e io ci siamo imbarcati su una di quelle barche per andare verso le zone in lotta contro lo Stato Islamico. Il viaggio ci ha portato ad attraversare per più di 460 chilometri una nuova regione curda nel nordest della Siria, un porzione remota di territorio prevalentemente desertico che occupa un terzo del paese. Qui i curdi hanno sfruttato il caos della guerra siriana per creare uno stato all’interno di uno stato che è crollato in molte altre parti del paese. Mentre portano avanti la loro battaglia contro lo Stato Islamico, aiutati dalle forze armate degli Stati Uniti, i curdi stanno espandendo i confini della regione a ovest e a sud, all’interno di territori tradizionalmente arabi. Inizialmente i curdi avevano chiamato la loro enclave “Rojava”, il nome curdo della regione, per poi ribattezzarla Federazione del nord della Siria, per allinearsi alla nuova demografia.

La nostra destinazione erano questi nuovi confini: la periferia di Raqqa, l’autoproclamata capitale dello Stato Islamico, e la città di Manbij, appena a ovest del fiume Eufrate, entrambi a più di un’ora di distanza in auto. Per le prime ore abbiamo attraversato alcune delle zone più pacifiche della Siria. Nel 2012 i curdi conquistarono una grande porzione di territorio senza combattere, dopo che il governo siriano si era ritirato abbandonando i suoi appostamenti. Risparmiati dalle devastazioni della guerra, le città e i paesi nell’estremo nordest del paese stanno riprendendo la loro vita. I negozi e i mercati sono aperti, le strade affollate. La bandiera gialla e rossa delle Unità di protezione popolare – o YPG, la milizia che controlla la regione – sventola ovunque, insieme alle fotografie dei combattenti morti. Su ogni paese, città o edificio governativo si stagliano anche i ritratti del leader turco di origine curda Abdullah Ocalan, capo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, o PKK, fonte d’ispirazione per i curdi siriani.
Spostandoci più a ovest aumentavano le tracce lasciate dalla guerra che si è accanita contro le province periferiche dell’enclave. La desolata autostrada nel deserto è costellata da paesi distrutti e abbandonati. I cartelloni con i ritratti dei morti si riempono di facce e nomi. Per ottenere il controllo di queste zone i curdi hanno combattuto intensamente, prima contro il Free Syrian Army e poi contro lo Stato Islamico; durante gli scontri sono morti molti combattenti.