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Muri, Messico e non solo: perché e quali alternative

27 Gennaio 2017

A partire da quello messicano di Trump, perché i Governi ne costruiscono senza trovare alternative?

Il 25 gennaio il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha firmato l’ordine esecutivo per la costruzione del muro al confine con il Messico, una delle più famose promesse della campagna elettorale. Il decreto prevede la costruzione di un muro di 1000 miglia, oltre ad una recinzione fortificata di 700 miglia già esistente, al confine californiano fra San Diego e Tijuana, la cui costruzione è iniziata nel 1994, durante la presidenza di Bill Clinton. Il primo obiettivo del decreto è rinforzare la frontiera con il Messico per bloccare l’immigrazione illegale, percepita come un pericolo per la sicurezza nazionale. Durante la campagna elettorale, infatti, Donald Trump sosteneva che gli immigrati messicani rappresentassero una minaccia, in quanto erano tutti, senza distinzione, narcotrafficanti, criminali o stupratori.
Il muro al confine fra USA e Messico, però, non è l’unica barriera nel mondo. Quando fu abbattuto il muro di Berlino, nel 1989, esistevano 15 muri. Oggi se ne contano circa 70 in più di 65 Paesi. Lo Stato d’Israele, per esempio, ha costruito una barriera di separazione in Cisgiordania, per impedire l’intrusione di terroristi palestinesi. Le autorità inglesi hanno finanziato la costruzione di una barriera di cemento anti-immigrazione nel porto francese di Calais. Il Governo ungherese ha ordinato l’edificazione di barriere al confine con la Croazia e la Serbia, per respingere gli immigrati in arrivo, mentre, in Slovenia, le autorità hanno costruito di una recinzione metallica lungo il confine con la Croazia, per controllare al meglio il flusso di migranti.
In Irlanda del Nord, principalmente nelle città di Belfast e Derry, si trovano le ‘Peace Lines’, una serie di muri di separazione per dividere le zone dei cattolici da quelle dei protestanti. Nel 2003 nello Stato del Botswana è stata costruita una barriera elettrica metallica al confine con lo Zimbabwe per impedire l’accesso dei civili in fuga. In Arabia Saudita è stato costruito un muro al confine con lo Yemen per proteggere il Paese dagli immigrati yemeniti e dalla minaccia terroristica.
Alla fine della guerra di Corea, nel 1953, venne stabilita una zona cuscinetto che divise la penisola in Corea del Nord e Corea del Sud, una delle frontiere più armate al mondo. La ‘Linea di Controllo’ è una linea militare lunga 3300 km che dal 1949 divide l’India e il Pakistan, nel 2004 l’India ha terminato la costruzione di una barriera di separazione con il Pakistan.
In Messico, insomma, non c’è niente di nuovo. Ma perché vengono innalzate delle barriere lungo le frontiere? Cosa significano a livello internazionale? Un muro, una barriera, o una semplice recinzione, danno la sensazione di sicurezza o salvezza, proteggendo gli individui da una minaccia percepita. Inizialmente, le barriere venivano edificate per difendere il territorio da un’invasione militare di un Paese esterno, come nella penisola coreana. Oggi un’invasione militare sembra un’ipotesi alquanto remota, specialmente nel caso USA-Messico.
Secondo Elisabeth Vallet, professoressa e direttrice del Dipartimento di Geopolitica nell’Università del Quebec, l’aumento del numero di muri nel mondo, a partire dalla fine della guerra fredda, è dovuto alla trasformazione dello scenario internazionale e alla globalizzazione.  Da un lato, l’introduzione di attori transnazionali nello scenario globale ha indebolito il ruolo dello Stato nelle dinamiche internazionali. Dall’altro, la globalizzazione ha prodotto una rapida evoluzione del mondo, portando all’abolizione delle frontiere nazionali, grazie al libero scambio economico, comunicativo ed inter-culturale. Questa trasformazione è stata, poi, accelerata dall’evoluzione della tecnologia.
L’avvento di attori non-statali e il processo di globalizzazione, quindi, hanno prodotto una crisi delle identità nazionali. Gli individui hanno perso la percezione di appartenenza ad un’identità legata a un territorio definito, che si è vista indebolita, ancor di più, dai flussi migratori. La lotta globale al terrorismo rappresenta un’occasione per introdurre nuovi controlli. Ufficialmente, le nuove misure, relative al terrorismo, cercano di garantire più sicurezza, ma, in realtà, permettono agli Stati di rafforzarsi e di preservare le identità nazionali, qualcosa che, forse, avevano già in mente.
La costruzione di un muro, quindi, mira alla difesa nazionale, al mantenimento delle identità nazionali, etnico-linguistiche o religiose, rafforzando un’identità minacciata da qualcosa, o qualcuno, percepito come estraneo.  Introdurre barriere militari, armate, per prevenire il flusso di civili, implica una chiara imparzialità fra minaccia e misure di sicurezza adottate per contenerla, ma la domanda è un’altra.