General

Minoranze linguistiche: un orizzonte aperto è possibile?

3 Gennaio 2016

Nuovo ‘via’ all’esame della proposta di legge costituzionale per le popolazioni ladine

«Il dialetto è una lingua senza l’esercito e la marina». Questo aforisma, diffuso da Max Weinrich, sociolinguista yiddisch del Secolo scorso, è antropologicamente attuale benché già prima dell’unità nazionale (prima, quindi, dell’«esercito» e della «marina») i rapporti tra lingua colta o ufficiale e dialetti fossero specchio di una realtà politica, vale a dire ‘di potere’. Quali sono le differenze tra una lingua di uso comune, trasmessa oralmente in continuità temporale entro un’area che ‘segue’ le persone, e una lingua ‘territoriale’ adottata e insegnata nella sua struttura, tecnicizzata e diffusa dalle istituzioni nei più diversi contesti della vita privata e pubblica?
La Proposta di Legge costituzionale n. 56, che dispone «modifiche allo Statuto speciale del Trentino Alto-Adige in materia di tutela della minoranza linguistica ladina della Provincia di Bolzano», sarà nuovamente discussa, nelle sue linee generali, alla Camera dei deputati il 9 di gennaio. Si tratta di nove articoli stilati, nel 2013, su iniziativa di Daniel Alfreider, giovane deputato del Südtiroler Volkspartei. Le modifiche prevedono un aumento della rappresentanza ladina in diverse sedi istituzionali: passaggio da 2 a 3 vice-presidenti della Giunta provinciale (uno dei quali ladino) nel caso di appartenenza di almeno un assessore al suddetto gruppo linguistico; pari garanzie, tra presidenti e vice-presidenti, relative alla composizione di enti pubblici provinciali ed enti locali intermedi; istituzione di una «Commissione paritetica» che decida sui capitoli controversi, votati da ciascuno dei tre gruppi linguistici, nella procedura di approvazione del bilancio; ripartizione proporzionale per le cariche di magistrato ricoperte all’interno della Provincia; eguali garanzie per la sede di lavoro nella Regione tra dipendenti pubblici (provinciali) ladini e cittadini di lingua tedesca. È richiesta, altresí, una rappresentanza ladina in due ambiti istituzionali: presso la Sezione autonoma del TAR di Bolzano e le sezioni del Consiglio di Stato chiamate a giudicare sui relativi ricorsi; presso la Commissione paritetica Stato-Regione chiamata ad esprimere pareri al Governo sugli schemi di decreto legislativo recanti disposizioni per l’attuazione del relativo Statuto. Quest’ultimo (D.P.R. 670/1972) afferma il principio di parità tra i cittadini indipendentemente dal gruppo linguistico di appartenenza, prevedendo poi un sistema elettorale proporzionale per l’elezione dei consiglieri provinciali. Contenuti di principio significativi se pensiamo che, in quegli anni, il fantasma della vecchia politica dell’ ‘opzione’ pesava ancora sulle coscienze degli altoatesini e il dialogo  sarebbe stato paralizzato, dopo un decennio di relativa calma, da nuovi episodi di violenza e terrorismo (l’ultimo nella chiesa domenicana di Appiano, nell’ottobre del 1988). Mentre l’espressione ‘italiani di lingua tedesca’ stride ancora per molti, quasi si trattasse di un ‘ossimoro storico’, la minoranza ladina, se considerata come enclave culturale (un tertium genus con storia e tradizioni proprie), rischia di essere chiamata fuori dalla vicenda dell’opzione. Invece fu proprio il fascismo a proibire la bandiera ladina e a impedire ogni forma di auto-organizzazione, nonostante l’esistenza, dal 1912, di un’Unione Ladina e di una dichiarazione linguistica approvata nel 1921 e soppressa dal regime due anni più tardi. Nel 1939, anche i ladini si trovarono a decidere se diventare cittadini del Reich (7027 a favore contro i 2000 passaggi effettivi, ostacolati dalla guerra in corso) o restare italiani, in entrambi i casi rinunciando alle proprie prerogative linguistiche e culturali.
L’attualità della questione minoritaria, nel clima di insicurezza che fa della diversità sociale una minaccia anziché un’occasione di confronto e comunanza, offre spunti per una riflessione più ampia che coinvolge i diritti di cittadinanza in ambito nazionale ed europeo. La ‘marginalità’ della questione appare tale in forza delle distorsioni insite nel’idea corrente di minoranza, definita a contrario dalle basi generiche di una realtà maggioritaria (e dominante): essa corrisponderebbe, in prima battuta, a ‘ciò che  non siamo’, mentre i contenuti delle espressioni culturali sono condizionati o, talvolta, direttamente attribuiti dall’esterno secondo suggestioni politiche o intellettuali capaci di tenere in vita stereotipi di varia natura. Si tratta di una sorte comune ai gruppi umani di diverse latitudini, su cui hanno prosperato gli stati moderni accumulando ricchezze nella vecchia Europa e nelle colonie d’oltreoceano. Oggi, il risorgere dei nazionalismi fondati sull’origine o, senza altre mediazioni, sulla ‘comunità di sangue’ minaccia nei suoi fondamenti un discorso di eguaglianza sostanziale e circolazione della cultura di tipo europeista, molto lontano da ambizioni di potere localizzate che confinerebbero le minoranze linguistiche esistenti dietro ai vetri di un museo.