Migranti, lavoro, integrazione: una risorsa?
16 Gennaio 2017
Come gestire un’emergenza: il punto di vista di economisti, urbanisti ed amministratori locali
La questione dell’immigrazione è sempre più al centro del dibattito pubblico. In occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che si è celebrata ieri sul tema Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce anche Papa Francesco ha richiamato l’attenzione sul tema.
I numeri degli sbarchi appaiono sempre più come un’emergenza ed i recenti fatti di terrorismo avvenuti all’interno dell’Unione Europea non fanno che accrescere la nevrosi pubblica sull’argomento: in questo modo si corre il rischio di non essere in grado di osservare il fenomeno con occhio critico.
I dati sui numeri del fenomeno migratorio appaiono oggi come una giungla: considerando la vastità e la varietà dei fronti, nonché la complessità del fenomeno, risulta molto difficile tenere aggiornato il numero degli arrivi.
I dati più freschi vengono dall’Agenzia Frontex che parla di 364.000 arrivi in Europa nel 2016: rispetto al 2015, si tratta di una diminuzione di circa due terzi dovuta, in larga parte, alla chiusura della rotta balcanica. Gli sbarchi sono invece aumentati giungendo a 181.000 persone sbarcate sulla rotta mediterranea: si tratta del numero più alto mai registrato e l’Italia è il Paese che sopporta la pressione maggiore.
Sbarchi a parte, l’ISTAT ci fornisce il totale degli stranieri residenti in Italia: sono circa 5 milioni di persone e non si notano variazioni sensibili tra il 2015 ed il 2016. Si tratta in larga parte di persone giunte nel nostro Paese da anni e, oramai, integrate nel tessuto economico e sociale tanto che, l’anno scorso, 180.000 di queste hanno ottenuto la cittadinanza.
Nell’ultima relazione della Commissione Europea sull’occupazione e lo sviluppo sociale (ESDE: Employment and Social Developments in Europe – Annual Review 2016), si è posta molta attenzione alla questione.
Bisogna tener conto che la recente ondata di sbarchi legati alla crisi siriana ha avvalorato un’immagine fallace del fenomeno migratorio.
In primo luogo è necessario distinguere tra rifugiati e migranti economici: i primi fuggono da situazioni di guerra e da persecuzioni, gli altri fuggono dalla povertà e si spostano alla ricerca di prospettive migliori. Secondo una relazione alla Commissione Affari Costituzionali del Senato presentata dal professor Salvatore Strozza, nonostante il picco degli sbarchi, nel 2014 sono arrivati in Italia circa 170.000 rifugiati ma si sono avuti 248.000 immigrati iscritti ai registri dell’anagrafe: nel 2007, anno con il picco più alto di immigrazione, si sono avuti 515.000 iscrizioni mentre il numero degli sbarcati si è fermato a circa 50.000.
Questo ci fa capire come la gran parte degli arrivi nel nostro paese non sia costituito da rifugiati ma da migranti economici.
Si potrebbe definire la migrazione come un sistema a vasi comunicanti: esiste una naturale tendenza a spostarsi dove si percepisce una situazione economica migliore. Si tratta di fenomeni che non possono essere arginati né gestiti se non si ha una comprensione profonda delle cause.
Ne consegue la necessità di fare i conti anche con la cosiddetta emigrazione economica.
Se da un lato la crisi degli sbarchi rischia di mettere in crisi lo stesso modello europeo, dall’altro l’incapacità di gestire il grande flusso di immigrazione economica crea squilibri pericolosi sia per le dinamiche comunitarie che per quelle dei singoli Stati.
In aperto contrasto con gli accordi di Schengen, la chiusura delle frontiere da parte di alcuni Paesi membri dell’Unione Europea ha reso inagibile la rotta balcanica per i profughi che fuggono da Siria ed Iraq e che, restando bloccati nella penisola turca, non hanno altra strada se non quella di tentare la via del mare per raggiungere Grecia ed Italia.
A causa delle clausole del Trattato di Dublino che obbliga il paese di arrivo a prendersi carico del migrante, la grandissima parte dell’attuale ondata migratoria è infatti sulle spalle dell’Italia e della già provata Grecia.
In un’Europa che stenta ad uscire dalla crisi economica che la ha colpita, in cui la disoccupazione è ancora alta e si accresce il divario tra ricchi e poveri (sempre nel rapporto ESDE), questa ondata migratoria, sia essa dovuta a cause umanitarie o economiche, rischia di accendere una miccia che sembra sempre più corta.