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Migranti: dai ricollocamenti al ‘modello australiano’

5 Gennaio 2017

Come cambia la strategia europea per gestire l’immigrazione

In inverno si placa l’esodo dei migranti verso l’Europa. Alcuni di loro ancora provano a sfidare il Mediterraneo per raggiungere le coste italiane, ma si tratta di numeri ridotti, lontani dai picchi di 13mila arrivi in quattro giorni di quest’estate. Ciononostante, la questione di come fronteggiare la crisi dei migranti resta in cima all’agenda delle varie cancellerie europee. Questo anche perché nel 2017 si voterà in due Paesi chiave, Francia e Germania, e l’immigrazione promette di essere uno dei temi caldi delle rispettive campagne elettorali. Come lo è stato nel 2016, in occasione del referendum sulla Brexit e durante le elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
Con l’accordo con la Turchia, l’Unione europea è riuscita a ridurre in modo drastico il numero degli arrivi in Grecia. Ora, l’attenzione di Bruxelles è tutta rivolta verso il Mediterraneo. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sono 360.380 i migranti che nel 2016 hanno raggiunto le coste europee attraversando il Mediterraneo: 180.346 in Italia, 173.208 in Grecia e 6.826 in Spagna.
C’è, però, una differenza sostanziale tra chi sbarca in Italia e chi sbarca in Grecia: mentre la grande maggioranza dei migranti arrivati in Grecia fugge da zone di conflitto (il 47% viene dalla Siria, il 24% dall’Afghanistan, il 15% dall’Iraq, il 5% dal Pakistan, il 3% dall’Iran e il restante 5% da altri Paesi) e ottiene, quindi, lo status di rifugiato, la maggior parte degli africani che sbarcano in Italia  (il 21% viene dalla Nigeria, il 12% dall’Eritrea, il 7% dalla Guinea, il 7% dalla Costa d’Avorio, il 7% dal Gambia, il 6% dal Senegal, il 5% dal Mali, il 5% dal Sudan, il 4% dal Bangladesh, il 4% dalla Somalia e il restante 22% da altri Paesi) vedono respinte le loro richieste d’asilo.
Secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Interno, ad ottobre, solo il 7% dei richiedenti asilo ha ottenuto lo status di rifugiato. Il 13% ha ricevuto il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, che viene rilasciato a chi rischia di subire un danno grave in caso di rientro nel proprio Paese e il 24% ha conseguito la protezione per motivi umanitari (della durata di 24 mesi, prorogabili). Il 57% dei richiedenti asilo, invece, ha visto rifiutata la propria richiesta. Dati che confermano il trend dei primi otto mesi dell’anno, quando il 63% delle richieste è stato rifiutato.
Tuttavia, è fondamentale distinguere tra espulsioni e rimpatri effettivi. Con le espulsioni gli Stati membri intimano agli irregolari di lasciare il Paese, mentre con i rimpatri il migrante viene effettivamente riportato nel Paese d’origine. Ad esempio, nel 2015, dei 34mila espulsi formalmente dall’Italia, ben 18.128 non hanno lasciato il territorio: in altre parole, il questore ha ordinato loro di abbandonare lo Stato coi propri mezzi entro sette giorni e questi chiaramente non hanno obbedito.
La colpa principale è della mancanza di accordi di riammissione, cioè di quei trattati con i quali gli Stati di provenienza dei migranti si impegnano a riaccogliere i propri cittadini. Trattati in cui vengono anche definite le regole relative al rimpatrio delle persone trovate in situazione irregolare. Finora l’Unione europea ha concluso accordi di riammissione con 17 Paesi terzi. Negli altri casi, sono i singoli Stati membri a negoziare accordi bilaterali.
In Italia, ad esempio, abbiamo accordi che funzionano bene con Tunisia, Nigeria, Egitto e Marocco, mentre mancano accordi con Senegal, Gambia e Costa d’Avorio. E senza accordi non ci sono rimpatri.  E là dove ci sono gli accordi, i migranti irregolari possono aggirare il rimpatrio trasferendosi da uno Stato a un altro, dove non c’è ancora un accordo di riammissione. Con il risultato che nel 2015, secondo le stime della Commissione europea, meno del 40% degli irregolari a cui è stato ingiunto di lasciare l’Unione è affettivamente partito.
Proprio per questo l’Unione europea è attualmente impegnata a negoziare con la Tunisia un accordo di riammissione sul modello di quello concluso a inizio anno con la Turchia, che si inserisce in un più ampio sforzo diplomatico per convincere il Paesi nordafricani a riaccogliere celermente i richiedenti asilo espulsi dalle autorità dei vari Paesi europei. Un accordo che, nelle intenzioni della Commissione europea, dovrebbe scoraggiare chi è intenzionato a compiere la traversata del Mediterraneo e che, in cambio della cooperazione sui rimpatri degli irregolari, promette alla Tunisia la liberalizzazione dei visti per i suoi cittadini – proprio come è stato fatto con la Turchia.