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Referendum: comunque vada, abbiamo perso tutti

28 Novembre 2016

Sparizione della realtà, dell’essenziale, dal mirino da certi verbosi pupazzi che credono di fare politica

Osservando, sgomento, le manifestazioni di sé che la politica italiana offre da anni, esplose in tutta la loro drammatica banalità in questa orrenda campagna referendaria, rimetto in gioco un paio di pensieri, che pure mi tengono compagnia da quando mi sono imbattuto in essi. Appartengono a due figure illustri, le incontreremo tra qualche riga.
Il modo in cui è stata condotta la campagna per il referendum confermativo, quale che sia il pensiero di ciascuno di noi sui contenuti della riforma e quale che sia l’esito della consultazione, rappresenta una sconfitta per il nostro Paese. Non solo ci dice che il Presidente del Consiglio non perde occasione per creare fratture, ma ci presenta un quadro avvilente dell’opposizione, i cui due personaggi più vivaci, Beppe Grillo e Matteo Salvini, nessuno prenderebbe sul serio fuori da questo manicomio. Il livello di aggressività verbale è salito alle stelle e il Paese ne rimane contagiato, si incattivisce ogni giorno di più e fatica a individuare una figura in grado di riportare i contendenti alla ragionevolezza. Matteo Salvini fa rimpiangere Umberto Bossi, mentre il comico non fa rimpiangere nulla, se non il tempo in cui ognuno faceva il suo mestiere e lui era strapagato per farci ridere.
Il primo dei pensieri cui facevo cenno è di Jean-Martin Charcot, insigne neurologo francese vissuto nell’Ottocento. «Le teorie sono una bella cosa ma non impediscono alla realtà di esistere», amava ripetere, soprattutto alle nascenti schiere di specialisti della psiche, le stesse che regalano, si fa per dire, all’umanità l’ultima versione del Dsm, la quinta, costringendo un luminare come Allen Frances, che pure era stato curatore della versione precedente, a scrivere una sorta di libro-mea culpa, ‘Primo, non curare chi è normale. Contro l’invenzione delle malattie’. Purtroppo, quando le nostre fissazioni ci prendono la mano, finiscono per apparirci normali persino le aberrazioni, così è stato per la medicalizzazione del mondo. Anche la politica italiana è diventata una vera e propria aberrazione, un B-movie di infima qualità, popolato di personaggi a cui nessuno affiderebbe qualcosa di importante, a meno che non si tratti del Paese, tanto quello è di tutti, dunque non appartiene a nessuno.
L’altro pensiero, che non dimentico di ripetermi, è ancora di un francese, il filosofo Jean Guitton, la cui figura quasi in continuità con quella del connazionale neurologo, essendo nato nel 1901, pochi anni dopo la morte dell’altro. «Si tace sempre sull’essenziale perché non abbiamo il coraggio di sopportarlo», afferma in uno splendido volume, centrato sul tema della scienza e della fede. I suoi interlocutori, nella circostanza, erano i gemelli Bogdanov, Grichka, laureato in fisica teorica, e Ivan astrofisico. Un’espressione che misura l’inquietante lontananza dei politici dalle cose che davvero contano per tanti dei cittadini.
Proprio la campagna referendaria celebra la sparizione della realtà, cioè dell’essenziale, dal mirino da certi verbosi pupazzi da salotto televisivo che credono di fare politica. Una sparizione che risulta evidente quando si ascolta, e ci vuole dell’eroismo, qualcuno degli esponenti di questo universo sempre più malato, sempre più popolato di mediocri, ambiziosi senza coraggio, in cerca strade facili per dare senso alla loro povera vita. La politica è quella più accessibile in assoluto, una dimensione parallela dove anche la persona più ridicola può trovare gloria. Dare un’occhiata in Parlamento per credere, ma anche negli Enti Locali. Tempo fa girava sul web il discorso di insediamento di un Consigliere regionale siciliano, sgrammaticato, immaginifico, ridicolo, pagato lautamente con il danaro dei contribuenti. Uno dei questi mi riferiva di essere in procinto di versare circa 15 mila euro di anticipo Irpef ma di averne sul conto solo 11 mila. Dopo avere visionato la performance del Consigliere regionale isolano (loro si fanno chiamare ‘Onorevoli’, essendo stati equiparati ai senatori nazionali, prima di tutto per lo stipendio), il suo commento è stato lapidario: «Non mi dispiace dovere pagare l’anticipo Irpef, fa parte dei miei doveri, ma se penso che devo mantenere queste sinistre macchiette, mi passa la voglia di lavorare».
Le visualizzazioni di quella performance sono state una miriade, tutti credo abbiano riso, difficile resistere, ma si tratta di un atteggiamento incongruo, perché c’è poco da ridere, considerato lo stato economico e civile di quella Regione che strapaga dilettanti, sostiene costi enormi per la politica ma si ritrova con ben quattro città negli ultimi sette posti della classifica relativa alla qualità della vita, stilata da ‘Italia Oggi‘ insieme all’Università la sapienza di Roma.
Nei giorni scorsi, per ragioni editoriali, mi sono fermato un paio di giorni proprio a Palermo. Tra i diversi impegni erano previste due tappe in altrettanti licei cittadini, dove avrei incontrato alcune centinaia di ragazzi. Un tuffo nel mio passato, in Sicilia ci sono nato e conservo ancora tanti affetti. Stare (voce del verbo stare) con loro, guardandosi negli occhi, aiuta a comprendere meglio di ogni simposio perché il nostro Paese, con la felice eccezione di Milano, sta negando il proprio futuro maltrattando questi ragazzi, metà dei quali incontrati in un corridoio perché nella loro scuola manca qualunque spazio di socializzazione.
Eppure, sono stati pazienti, non si sono persi una parola, perché loro credono negli adulti, malgrado noi. Per conoscere il nostro Paese bisogna girarlo, rimanere, ascoltare, parlare. Il mio lavoro, da decenni, mi offre questo privilegio, che diventa tormento quando mi si concede la possibilità di incontrare i ragazzi del Sud, spesso sensibilissimi, preparati ma condannati ad emigrare oppure ad arrangiarsi, quando non a mendicare il favore di un qualche politico senza qualità, votato dai loro stessi genitori perché diseducati da questa politica.
Qualunque sia l’esito del referendum, niente potrà salvarci se continueremo a fare a pugni con gli abitatori della realtà, a cominciare dai più giovani. Nella politica è inclusa una grave responsabilità pedagogica, ma solo pochi tra i politici sono in grado di esercitarla, eppure tutti dovremmo sapere che senza codici, senza matrici, senza modelli, nessuno è in condizione di fabbricare un futuro vivibile.