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Ungheria, il campo dei profughi fantasma di Bicske

1 Ottobre 2016

L43 in un centro d’accoglienza tra l’Austria e Budapest. Al referendum contro i migranti mentre il Paese si svuota di stranieri. Fuggiti a Nord o cacciati a Sud.

L’ingresso del campo profughi di Bicske, in Ungheria.

Mischiati tra i pochi pendolari di un treno locale scendono anche due richiedenti asilo cubani.
Cubani sì, dicono che sull’isola dei Castro «ci sono alcuni problemi con il governo» e rientrano da un giro a Budapest.
Anche loro aspettano un sì o un no dalle autorità ungheresi, sospesi nel centro profughi nelle campagne di Bicske dove, nel 2015, scoppiò la rivolta.
In 500, tra le migliaia di migranti rimasti incartati nella stazione della capitale, un anno fa salirono sui vagoni di un treno regionale per raggiungere l’Austria.
DA MILLE A 70. La polizia magiara lo bloccò per due interminabili giorni proprio a Bicske, trascinando i migranti a forza in uno dei cosiddetti open camp, campi aperti d’accoglienza, dislocato nella zona.
In Austria, e poi in Germania, Danimarca, Svezia e in diversi altri Paesi d’Europa, da lì i richiedenti asilo ci sarebbero andati comunque: dai più di mille che erano, alla vigilia del referendum sui migranti del 2 ottobre 2016 dentro il centro di Bicske sono rimasti appena una settantina.



I disordini nel centro profughi più vicino a Budapest (youtube).

Anche qui sono esplosi dei tumulti e alcuni sono scappati via saltando il cancello, per sfuggire agli arresti.
Ma la maggioranza è uscita con un permesso temporaneo per non rientrare mai più.
Come incentivo a sparire, in certe strutture come quella di Balassagyarmat, al confine con la Slovacchia, le autorità ungheresi fanno multe tra i 35 e i 200 euro a chi rincasa dopo le 10 di notte.
LA PORTA PER L’AUSTRIA. A chiedere all’Ufficio immigrazione del governo di visitare i centri per migranti si ottiene nel 99% dei casi un rifiuto.
Specie i campi di detenzione, che la normativa ungherese prevede anche per i richiedenti asilo, sono offlimits ai non addetti ai lavori.
Ma per lasciare gli open camp d’Ungheria nessun problema: la porta è sempre aperta. E Bicske, 60 chilometri a Nord-Ovest da Budapest, è la porta per l’Austria e per il centro Europa.
Casette prefabbricate immerse nel nulla

La cittadina è in realtà uno dei tanti paesoni magiari composti da scialbe casette e strade solcate da trattori.
Quei centri agrari di provincia dove gli uomini del partito Fidesz del premier Viktor Orban sussurrano agli abitanti di far arrivare da loro «ancora più migranti, se non andranno a votare», ricordando ai maestri delle elementari che sono «dipendenti pubblici».
UN CASTELLO E I PROFUGHI. «La xenofobia di tanti ungheresi non è dettata dall’odio ma dalla paura degli stranieri, che ha ragioni anche storiche e sociali», ci raccontano nella Budapest dei tanti locali e teatri borghesi.
In realtà i circa 12 mila abitanti del contado di Bicske, noto ai magiari per il suo piccolo castello e ora anche a qualche straniero per i profughi, si curano poco o nulla dei richiedenti asilo sistemati in delle casette prefabbricate recintate di periferia.


Abdul Rajl e Azhar al campo d’accoglienza di Bicske.

Un villaggio nel nulla oltre il nulla.
Per arrivarci a colpo sicuro bisognerebbe salire su uno dei bus tappezzati di poster anti-profughi per il referendum, che fanno la spola verso un piccolo centro commerciale vicino, se sui mezzi e alla stazione ci fosse qualche indicazione o qualcuno che parla inglese o tedesco. Invece il magiaro è l’unico canale di comunicazione e, in linea di massima, la gente del posto si fa i fatti propri.
Parecchi contadini della zona non pensano neanche più che nel centro dimorino stranieri dell’ondata del 2015.
C’È IL WI-FI.  L’emergenza è passata e in giro si è comunque abituati a vedere delle (poche) facce forestiere dai tempi dei profughi arrivati nel centro dalle guerre nei Balcani, ormai una 20ina di anni fa.
Per riuscire a districarsi nella piccola località bisogna camminare da soli per un paio di chilometri fino all’ingresso dell’open camp, sbarrato da uno stop ma con un rassicurante wi-fi gratuito a disposizione di tutti.
Abdul Rajl e Azhar sono attivissimi su Internet e ci vengono incontro sorridenti all’uscita della cancellata.


Il treno bloccato a Bicske un anno fa (Getty).

Come loro, altri stranieri vanno e vengono a piedi verso il supermarket dello shopping center e verso il centro abitato, per non intorpidirsi troppo nelle camerate.
Hanno percorso migliaia di chilometri dall’Afghanistan e dal Pakistan, ma da qualche mese si sono fermati a Bicske.
Sono rimasti qui, spiegano a Lettera43.it, «perché in Ungheria le richieste d’asilo si esaminano più velocemente che in Germania e negli altri Paesi dell’Ue» e a loro, intanto, preme «avere i documenti».
SOLTANTO L’1% È ACCOLTO. Vero: due o tre mesi, anziché un anno, per restare sulla torre o cadere.
I due ragazzi hanno i contatti di alcuni legali e sperano in un sì, anche se viene ricevuto solo dall’1% delle domande di protezione umanitaria e d’asilo sporte in Ungheria.
Su 25.759 richieste da gennaio a luglio 2016 ne sono state accettate appena 290, secondo i dati della Commissione Helsinki Ungherese (Hhc), l’organizzazione per i diritti umani che con l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) ha accesso alle strutture per profughi e migranti nel Paese.  
L’esodo verso Nord e le esplusioni di massa a Sud

Abdul Rajl ha 32 anni ed è afghano.
Sta imparando l’inglese e attende la sua sorte in Ungheria anche se vorrebbe essere «con alcuni amici in Italia» .
OTTO LINGUE PARLATE. Azhar ha 24 anni ed è pachistano.
Parla otto lingue: «Urdu, pashtu, turco, inglese, un po’ di farsi, un po’ di albanese e di curdo, ora anche un po’ di magiaro», racconta.
È il percorso dei suoi studi e del suo lungo viaggio, da un anno a questa parte.


La stazione Keleti di Budapest, dove esplose la crisi.

Strade tortuose, rincorrendo il sogno di una nuova vita.
Loro due non si sono imbarcati sui gommoni verso Lesbo, ma hanno superato il confine tra Turchia e Bulgaria: il punto che qui in molti ci confessano essere il «passaggio peggiore», quello che la maggioranza dei profughi preferisce ormai evitare, anche rischiando la morte in mare.
CIBO E 20 EURO A SETTIMANA. I due ragazzi cubani sono invece volati dall’Avana in Russia e dalla Russia in Serbia.
Nel centro di Bicske si conoscono ormai tutti, hanno solidarizzato e dicono di stare abbastanza bene, ora che c’è spazio e che la nebbia mattutina e il vento freddo non hanno ancora lasciato il campo alla neve: per i pasti viene loro portato del cibo e ricevono circa 20 euro a settimana per le spese.


Un richiedente asilo dentro il campo di Bicske.

All’ingresso del centro, il personale ci intima con calma l’altolà.
Ma, attraverso la staccionata, si può parlare a lungo con i richiedenti asilo: la security è permissiva, ogni tanto vengono anche fotografi e cameramen a riprendere delle immagini e non si fanno proibizioni.
IN CERCA DI MODERNITÀ. Tra i richiedenti asilo di Bicske conosciamo anche due iraniani «fuggiti da un Paese ancora lontano dalla modernità», affermano. E poi eritrei, somali e altri africani. Afghani e diversi altri richiedenti asilo dal Medio oriente, anche se i siriani sono quasi tutti andati in Germania.


La stazione di Bicske.

Diversi di questi stazionanti hanno superato la frontiera con la Serbia, nel Sud-Est poverissimo dell’Ungheria dove la destra radicale dello Jobbik porta sacchi della spesa alle comunità rom per mandarle a votare.
Contrabbandieri e trafficanti hanno scortato i migranti nei punti di passaggio incustoditi, aggirando il filo spinato piazzato nel 2015. Anche corrompendo gli agenti alla frontiera, fino a giugno migliaia sono riusciti egualmente a entrare in Ungheria.
MIGLIAIA DI DESAPARECIDOS. Oggi, con le espulsioni autorizzate dal 5 luglio 2016 entro i primi 8 chilometri ungheresi dal confine, tra i 4 mila e i 5 mila migranti al mese spariscono in un buco nero.
Nei registri governativi, numeri di questa entità vengono indicati tra i bloccati nel Paese in prossimità delle frontiere. Ma, dagli stessi dati ricevuti dalla Hhc, non figurano ancora nel conteggio ungherese delle «riammissioni ufficiali in Serbia»: appena 136 da gennaio alla fine di luglio 2016.
Altri desaparecidos che svuotano ancora il campo di Bicske.