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Rom, se la scuola diventa un diritto negato

26 Settembre 2016

Su 12.437 alunni rom soltanto 248 frequentano le superiori. Tra progetti inutili, emergenza abitativa e cavilli burocratici, la scolarizzazione è ancora difficile.


Zona Est di Milano, ore nove. Felix come ogni mattina arriva davanti al piccolo supermercato, compra una lattina di Fanta e un pacchetto di biscotti per la colazione e si sistema all’ingresso.
Conosce e saluta tutti nel quartiere.
«Ciao Signora Elena», «ciao Signora Carla». Qualche donna un po’ in là con l’età mossa da quel tipo di carità cristiana tutta meneghina gli allunga cinque euro per essere aiutata a portare le borse della spesa in auto, lasciata in doppia fila dall’altra parte della strada.
LA STORIA DEL 16ENNE FELIX. Quando è possibile dà anche una mano ai commessi nelle operazioni di carico e scarico. Tutto pur di portare a casa un euro in più o scroccare una sigaretta. Ma soprattutto per non starsene con le mani in mano otto ore al giorno.
Felix ha compiuto 16 anni, ha gli occhi neri e profondi ed è rom. Con la sua famiglia è arrivato in Italia un paio di anni fa. Mamma, 40 anni, papà, tre fratelli più piccoli, due dei quali frequentano le elementari.
In Romania vivevano in una casa «normale», racconta. «Cucina, tre camere, un bagno..». Ma non riuscivano a mettere insieme il pranzo con la cena. «Io e mio padre lavoravamo nei campi, a 15 chilometri dalla città. Dieci ore al giorno per 10 euro, ho le mani rovinate».
LA VITA NEL CAMPO. Da qui la decisione di partire per l’Italia, direzione Milano.
«All’inizio ci siamo sistemati in un campo in zona Certosa», ricorda Felix. «Era freddo, umido. C’erano grossi topi e io li uccidevo», dice ridendo mimando martellate nell’aria. «Poi hanno sgomberato e ci siamo trasferiti a casa di nostri cugini perché mamma era incinta».
Non va a scuola. Non ci è mai andato, almeno non in Italia. «Mia mamma fa l’elemosina davanti alla chiesa là in fondo, mio papà davanti alla pizzeria. Devo portare i soldi a casa», si giustifica. 
«Non siamo ladri», continua a ripetere. «Non disturbiamo nessuno, eppure il prete non vuole che mia madre stia davanti alla sua chiesa. È un razzista», si scalda. «E quando ci sono lavori da fare li dà ad altri stranieri».
LA SPARTIZIONE DEL MARCIAPIEDE. Anche fare l’elemosina in questo spicchio di marciapiede non è semplice.
«Divido lo spazio con un ragazzo nero che vende braccialetti. Lui sta il sabato pomeriggio, io la mattina», spiega. «Lui è gentile. Però tante volte mi arrabbio, mi viene voglia di picchiare la gente che mi offende», dice con fare da bullo, come ogni 16enne, gonfiando le costole. «Sono magro ma anche forte, eh», ripete senza però risultare credibile.
Peserà sì e no 45 chili e mentre parla stringe gli occhi che si fanno fessure.
«Non ci vedo: sono miope», spiega. «Una signora mi ha dato 20 euro per gli occhiali poi si è arrabbiata perché non li ho comprati. Non ha capito che io i soldi devo portarli a casa. Per gli occhiali sono andato all’Opera San Francesco, forse mi aiutano loro».
IN ITALIA SOLO 240 ISCRITTI ALLE SUPERIORI. Felix non immagina il futuro. Non sa ancora cosa vuole diventare. «Mi piace lavorare coi cellulari, sono bravo», abbozza.
Ma senza scuola, senza un diploma, sarà tutto più difficile.
E lui, purtroppo, non è l’eccezione, ma la regola.
Stando al rapporto Ismu-Miur, sui 12.437 iscritti rom nelle scuole italiane nell’anno scolastico 2014-2015 (780 rispetto all’anno precedente) solo 248 frequentano le superiori.
Si va dai 12 iscritti della Lombardia (su 1.737 alunni totali) ai 24 del Lazio (su 2.383) fino allo zero della Provincia di Trento.

La battaglia per il diritto all’istruzione

Un campo a Roma.

Dall’altra parte di Milano, davanti a Palazzo Marino, Djiana Pavlovic attrice e attivista, manifesta per il diritto all’istruzione dei bambini rom.
La città conta 597 iscritti. Ma non sempre frequentare le lezioni è semplice.
«Sono qui con quattro famiglie espulse dai centri di accoglienza per banali questioni burocratiche», spiega Pavlovic a Lettera43.it. «Così sono state costrette a tornare nelle baracche con i figli. In questo modo è quasi impossibile per loro andare a scuola».
Tra sfratti e riammissioni, i piccoli non riescono ad avere una continuità scolastica: «E ogni sforzo diventa inutile».
L’ODISSEA DEGLI SFRATTATI DAI CENTRI. «Sono bambini che frequentano dalla quinta elementare alla terza media», continua Pavlovic. «Adorati dalle maestre, hanno buoni voti e sono accettati dai compagni. Sono iscritti come tutti quelli che vivono nei centri e nei campi regolari: questo significa che i genitori si preoccupano e vogliono garantire loro una vita migliore».
Niente scuse per chi non manda i figli a scuola, certo. In questi casi, sottolinea l’attivista rom, esistono i servizi sociali. Ma non si può fare di tutta l’erba un fascio.
«Chiedo che l’assessore all’Istruzione di Milano si assuma la responsabilità della scolarizzazione dei rom», alza la voce Pavlovic. «Per garantire a tutti pari opportunità. Perché al momento la gestione dei centri, e quindi anche dei minori, è delegata all’assessore alla Sicurezza. E questo è indecente».
LO SPRECO MILIONARIO DI ROMA. A Roma, dove sulla cosiddetta Campi nomadi Spa Mafia Capitale ha fatto soldi a palate, la situazione è ancora peggiore.
Stando al rapporto Ultimo Banco dell’Associazione 21 luglio, dal 2002 all’estate 2015 il Comune di Roma ha speso circa 27 milioni di euro per la scolarizzazione dei minori presenti nei campi regolari, un numero tra le 500 e le 2 mila unità.
Progetti che si sono rivelati un vero e proprio fallimento.
Un bambino su cinque non si è mai presentato in classe, nove su 10 non hanno frequentato regolarmente e uno su due frequenta una classe inferiore alla sua età anagrafica.
IL NODO DELL’EMERGENZA ABITATIVA. Come è scritto nel rapporto, vivere in condizioni di emergenza abitativa non aiuta, anzi.
Abitare in una baracca significa non potersi lavare e quindi non essere presentabili e non riuscire a svolgere i compiti in un ambiente adeguato.
Non solo. Visto il carattere monoetnico degli insediamenti, i ragazzini difficilmente possono contare su qualcuno della comunità che li possa aiutare. «Non sempre, ma spesso, ai genitori mancano le capacità scolastiche per aiutare i propri figli nello svolgimento dei compiti», sottolinea lo studio, «ed è molto probabile che gli studenti rom non sappiano a chi rivolgersi per chiedere un supporto».
All’emarginazione si somma così altra emarginazione. E la possibilità di costruirsi una vita migliore, magari fuori dalle baracche, si allontana.
«GLI STRANIERI CI ACCOLTELLANO». Dopo la mattina passata a chiedere l’elemosina davanti al supermercato, Felix se ne va a casa.
«Quando va bene riesco a fare 15-20 euro», dice. «Ma molte volte nemmeno un centesimo».
E poi? «Poi dormo, fino a sera. Anche perché la zona dove vivo è pericolosa, ci sono gli stranieri che si accoltellano».
Domani però, giura, prima di mettersi ‘al lavoro’ andrà finalmente a ritirare gli occhiali.