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Banche centrali, perché rischiamo la grande bolla

23 Settembre 2016

L’Ocse avverte: la politica monetaria è da frenare. Ma Bce, Fed e Bank of Japan non arretrano. E l’eccessiva liquidità immessa fa il gioco degli speculatori.

L’ultimo avvertimento a smetterla con la guerra delle monete è arrivato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).
Organismo che in questi anni non ha mai disdegnato quel misto di keynesismo e politiche di sviluppo, tenute in piedi proprio grazie alla generosità delle banche centrali.

FATE LE RIFORME. Da Parigi, il 21 settembre 2016, la capo economista Catherine Mann ha presentato l’ultimo economic outlook, spiegando: «Gli Stati sollecitano eccessivamente la politica monetaria. Devono attuare le politiche di bilancio e strutturali per ridurre il ricorso eccessivo alle banche centrali e garantire le opportunità e la prosperità alle future generazioni».
Meglio fare le riforme, riducendo la spesa e aumentando la concorrenza dei mercati interni.

La Bank of Japan respinge gli inviti alla prudenza

Per tutta risposta sia i vertici della Bank of Japan sia quelli della Federal reserve (Fed) si sono affrettati a respingere gli inviti alla prudenza.
A Tokyo il governatore Haruhiko Kuroda ha confermato i tassi negativi (costo del denaro a -0,1%) e il Quantitative easing (Qe): 80 mila miliardi di yen annui, circa 700 miliardi di euro.
Tutto nella speranza che l’inflazione risalga sopra il 2% e che le banche tornino a prestare soldi ad aziende e consumi per accelerare produttivi e consumi, sempre nella speranza di uscire dalla spirale deflazionistica.
JANET LASCIA TUTTO COM’È. Quasi contemporaneamente, ma a Washington, Janet Yellen ha rimandato l’aumento del costo del denaro.
La Federal reserve ha lasciato invariati i tassi di interesse fermi tra lo 0,25 e lo 0,50%. Ma non ha escluso di farlo a dicembre 2016.
Senza una politica monetaria accomodante il Giappone sarebbe caduto in recessione.
Mentre in America, quando la Fed deciderà di ritoccare i tassi, avranno problemi sia gli esportatori di casa sia i detentori del debito sovrano a stelle strisce, che vedrebbero scendere le loro cedole con dollaro e inflazione Usa più forti.

Scintille tra Draghi e la Bundesbank

Ma nella guerra delle monete (con annessa corsa alla svalutazione) la bomba più potente l’ha sganciata Mario Draghi.
Che ha fatto i conti con il principale avversario della politica monetaria accomodante: la Bundesbank e il sistema creditizio tedesco.
«I bassi tassi di interesse», ha spiegato il presidente della Banca centrale europea (Bce), «tendono a comprimere i margini di interesse netti a causa della rigidità verso il basso dei tassi sui depositi. Ma anche l’overbanking è una causa dell’attuale basso livello di redditività delle banche».
Quindi se il settore non guadagna le colpe vanno ricercate altrove.
Cioè nella «sovraccapacità in alcuni settori bancari nazionali, e nella concorrenza che ne consegue, che aggrava la pressione sui margini. Tale eccesso di capacità produttiva significa anche che il settore non funziona al massimo dell’efficienza».
RAIDER SCATENATI. I mercati ringraziano. Il 22 settembre Milano ha chiuso in rialzo dell’1,76%, Francoforte del 2,28, Parigi del 2,27 e Londra dell’1,12.
Ma in prospettiva si intravedono non pochi rischi.
Sul mercato i raider rastrellano bond giapponesi e li rivendono alla BoJ di Kuroda. Le Borse americane viaggiano ai massimi. In Cina l’insolvenza è una pratica finanziaria. L’oro e il petrolio tornano a crescere a differenza dell’economia reale.
E con tutta la liquidità immessa dalle banche centrali lo scoppio di una bolla è un’ipotesi sempre meno peregrina.