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Poesia del giorno. Yòrgos Chronàs

In memoriam
Alla fine poteva anche non essere mai sceso dal treno

e stare là da prima di me ad aspettare qualcuno

nessuno o niente. Poteva anche essere un uccello imbalsamato
in via Pireòs o un cervo fossilizzato sopra gli scogli
– queste morti stanno dipinte dentro di noi senza ali,
senza musica, senza entrate e uscite, così restano morti
sottoterra, in tutti i tempi, sulla terra.
Alla fine potevo anche non essere io, ma un altro
arrivato da giorni alla stazione, sotto
l’orologio fermo, in attesa di un incontro
la domenica pomeriggio. Potevo anche essere la manifestazione
tradita, il disertore, l’entrata del vinto nel
ritratto della sua fama postuma, la droga.
Quel pomeriggio, trovammo il nostro volto. Non eravamo più
noi. Eravamo belli, allora. Cosa rara.

*
Come allora, suoneranno i grammofoni,

allora, quando Rita se ne andò e restammo sole

nei bordelli.
Non avevamo uomini – Nikos era appena uscito
di prigione, e Simone portava in giro i bambini in carrozzina
per i luna park di provincia
Eravamo uscite sulla porta e ci passavamo il pettine
fra i capelli
Volevamo microfoni, veli neri gettati sulle spalle,
profumi costosi per i nostri corpi.
Genni, che dovevamo fare? Il mercato si riempiva
di maschi cavalli stecchiti e noi, con le borse, chiedevamo
del pesce.

*
Oramai passeggiano nei porti

gli amori, i baci frettolosi dietro le lamiere

dentro le baracche, accanto ai bagni
Piccole stanze, grandi stanze, stanzini
e sedie
custodiscono gli amori sotto chiave
Oramai stupidi, e prolungati.

*