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Islamofobia, a rimetterci sono le donne

29 luglio 2016.



Le donne musulmane sperimentano le stesse
disuguaglianze delle altre donne nel mondo del lavoro per quanto
riguarda violenza verbale e fisica, ma in più subiscono altri fattori di
discriminazione legati a religione e/o etnia. Tuttavia, molto poco
viene fatto per una raccolta esaustiva di dati e per affrontare questa
forma intersezionale di razzismo. 

Questa è la conclusione del nuovo
rapporto dell’European Network Against Racism dal titolo: “Forgotten
Women: l’impatto dell’islamofobia sulle donne musulmane”. Il rapporto
analizza le discriminazioni verso le donne di fede islamica in otto
paesi europei: Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Paesi
Bassi, Svezia e Regno Unito.


Le donne musulmane sono soggette a tre tipi di penalizzazioni in
materia di occupazione: di genere, etniche e religiose. La
discriminazione nel mercato del lavoro è spesso legata alla percezione
della “muslimness“, e in particolare all’abbigliamento delle
donne musulmane. Ad esempio, nel Regno Unito, durante i colloqui di
lavoro viene chiesto al 12,5% delle donne pakistane delle proprie
aspirazioni su matrimonio e famiglia. La stessa domanda viene chiesta
solo al 3,3% delle donne bianche, vale a dire quasi quattro volte di
meno. Il velo è un ulteriore ostacolo nel trovare e mantenere un lavoro.
In Germania, il 18% delle aziende ha invitato candidate con nomi dal
suono tedesco a un colloquio, mentre solo il 13% ha invitato le
candidate con nomi dal suono turco. E solo il 3%
delle candidate musulmane con il velo nella foto del cv è stato
invitato a un colloquio. In Belgio, il 44% dei datori di lavoro concorda
sul fatto che indossare un velo può influenzare negativamente la
selezione dei candidati.


Nella maggior parte dei paesi, le donne musulmane hanno maggiori
probabilità di essere vittime di hatespeech rispetto agli uomini della
stessa religione, soprattutto se indossano il velo. Le donne musulmane
sono prese di mira da minacce e incitamento all’odio, alla violenza e
all’aggressione online e offline. Ad esempio, nei Paesi Bassi oltre il
90% delle vittime di incidenti di islamofobia che si sono rivolte
all’organizzazione Meld Islamofobie nel 2015 erano donne. In Francia,
l’81,5% delle violenze islamofobiche registrate nel 2014 dal Collettivo
contro l’islamofobia  erano indirizzate a donne, la maggior parte delle
quali indossava un simbolo religioso visibile. Tell Mama riporta che nel
Regno Unito il 54% delle vittime di minacce e abusi verbali offline
erano donne. Insulti verbali e violenza fisica spesso si mischiano, così
come i gesti razzisti con quelli sessisti. Gli incidenti si verificano
soprattutto negli spazi pubblici.

Il rapporto mostra che i pregiudizi e le rappresentazioni
stereotipate delle donne musulmane sono diffuse dai media e dai
discorsi dei personaggi pubblici, tra cui alcuni politici. Questa
attenzione negativa verso le donne musulmane nei media e nei
dibattiti politici contribuisce anche a creare un terreno fertile per le
pratiche discriminatorie e la violenza.



“Le donne musulmane sono obiettivi di discriminazione e violenza
perché sono donne e musulmane, eppure non si fa nulla per affrontare la
discriminazione multipla che devono affrontare”, ha spiegato
la presidentessa dell’Enar Sarah Isal. “L’Unione europea non può
permettersi di escludere e dimenticare le donne musulmane, se vuole
battersi per l’uguaglianza di genere e la lotta contro il razzismo. Le
leggi comunitarie contro la discriminazione nel mercato del lavoro e i
crimini d’odio devono proteggere efficacemente”.


Leggi il rapporto sulle discriminazioni in: EuropaItalia

FONTE: Frontiere news