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Il complesso di Edipo e di Elettra nella fiaba berbera

di Ada Boffa, 07 luglio 2016.

I generi narrativi prosaici presenti nel
panorama letterario berbero, secondo la prima catalogazione ad opera
dell’etnografo H. Basset, si dividono in racconti meravigliosi (le
fiabe); racconti umoristici; racconti d’animali (le favole) e leggende
(leggende storiche; leggende religiose; leggende agiografiche; leggende
esplicative) [1].


L’ambito fiabesco più di quello favolistico mette in risalto quelle che G. Calame-Griaule chiama noyaux résistants, ovvero tutte le questioni relative alla vita dell’esser umano.


«Il racconto veicola un messaggio che
si rivolge in profondità all’animo umano e che risponde a questioni che
si pongono, generalmente a livello inconscio, le società umane.
Verosimilmente è lì che bisogna cercare la giustificazione alla
permanenza dei temi del racconto attraverso le civiltà più diverse;
tutti si sentono accomunati dalle problematiche che pongono i racconti e
che costituiscono “les noyaux résistants” che si trovano nel mondo
intero. Dinamiche interne al gruppo familiare, problema dell’incesto,
conflitto generazionale, rapporti dell’individuo con il gruppo sociale,
relazioni uomo e donna, tutti questi problemi eterni ed universali che
le società si sforzano di risolvere attraverso le istituzioni e le
norme, trovano all’interno della dimensione favolistica una modalità
d’espressione di tipo simbolico»[ 2].


Le fiabe presentate di seguito sono quelle di: Ḥemmu u Namir o Edipo Berbero [3] e Il racconto di Ali e sua madre [4].
Entrambi i racconti rientrano nella sfera fantastico-meravigliosa e
traspongono a livello simbolico ed allegorico le dinamiche e il dramma
del legame familiare, proponendolo attraverso la messa in scena di
avventure pericolose, con personaggi eroici e soprannaturali.


Proprio attraverso la dimensione
simbolica e metaforica, i racconti emulano i tabù legati al tema
dell’incesto e alla rivalità tra genitore e figlio dello stesso sesso.
Entrambe le fiabe affrontano la questione edipica e non è un caso che
uno dei due sia definito come l’Edipo berbero. A dimostrazione del fatto
che questo tema sia comune all’area berberofona vi è attestata
l’esistenza di un’altra versione dell’Edipo, presente anche nella
regione del Sahel [5]. Il racconto di Ḥemmu u Namir è afferente alla regione berberofona marocchina, quello riguardante Ali et sa mère appartiene alla tradizione orale cabila (Algeria).


Il racconto di Ḥemmu u Namir
oltre alla versione maschile presenta anche quella edipica femminile,
ovvero quella freudianamente definita come complesso di Elettra, che,
nel caso della versione berbera, è chiamata: “complesso di Tanirt”. Le
versioni dell’Edipo berbero presentano Ḥemmu come un re o un allievo
della scuola coranica. Ogni giorno il protagonista si risveglia con le
mani sporche d‘henné e viene punito dal maestro della scuola (nella
versione dello studente della scuola coranica), o si risveglia dal sonno
umiliato per essere stato violato durante la notte (nel caso del re).
In entrambi i casi Ḥemmu riesce a sposare la sua amata, ponendole delle
condizioni: la sposa deve vivere segregata in casa e a nessuno è
concesso farle visita, soprattutto alla madre di Ḥemmu alla quale è
proibito anche vederla. La madre di Ḥemmu riesce tuttavia ad incontrare
la giovane sposa ma la picchia e la ingiuria, in modo da invalidare il
contratto matrimoniale. La giovane fanciulla lascia la dimora coniugale
per rifugiarsi al settimo cielo. 
Ḥemmu parte alla ricerca dell’amata e
riesce a raggiungere il settimo cielo grazie all’aiuto di un’aquila.
Ḥemmu trova l’amata e i figli nati dalla loro unione, i quali
riconoscono immediatamente la figura paterna anche se la madre è ora
sposata ad un altro uomo. Il racconto si conclude o con il ritorno della
famiglia sulla terra o con il dramma della morte di Ḥemmu, il quale si
getta dal settimo cielo.

La versione femminile di Ḥemmu u Namir
vede come protagonista femminile Tanirt. Una coppia attende la nascita
della primogenita: una figlia di inestimabile bellezza, e di gran lunga
più bella di sua madre. Gelosa, la madre chiede a suo marito di sgozzare
la figlia per poterne bere il sangue e diventare bella come lei. Il
padre della ragazza cerca in tutti i modi di impedire la sua morte
finché, per salvarla, non la abbandona in una foresta. La ragazza giunge
presso una coppia di orchi. La madre orchessa la allatta e le
garantisce protezione, l’orco invece, meno incline alla sua adozione, la
lascia fuggire di nuovo nel bosco. La giovane ragazza incontra il
principe.
Secondo l’analisi di A. Bounfour, la storia di Ḥemmu u Namir
si articola sul sapere e sulla curiosità umana. 
La scoperta dell’amore
da parte di Ḥemmu, la rottura del legame matrimoniale, a causa della
madre e la morte stessa del protagonista sono tutte interdizioni
trasgredite in nome della curiosità. Ḥemmu, dopo aver scoperto l’amore,
abbandona la propria famiglia e rompe qualsiasi legame con la propria
madre. La gelosia della madre fa sì che questa vada a malmenare la sposa
di suo figlio, così da allontanarla da lui. Ḥemmu sceglie d’inseguire
la propria amata piuttosto che restare accanto alla madre. 
Di qui in
poi, il dramma dell’incesto tra Ḥemmu e la propria madre si risolve al
momento del sacrificio del montone, cui corrisponde la morte dell’eroe
protagonista, il quale avendo visto la madre-fallica apprestarsi al
sacrificio del montone, azione esclusivamente riservata al capo
famiglia, si rende conto dell’aver abbandonato la propria madre, e per
raggiungerla più in fretta possibile si lancia dal settimo cielo,
sacrificando la propria vita, espiando l’errore commesso.


Per quanto riguarda il complesso di
Tanirt la storia affronta la tematica del rapporto madre/figlia, un
legame ostacolato dalla gelosia della madre per la bellezza della
propria figlia e il timore che quest’ultima possa essere una co-sposa
rivale nel rapporto con il marito/padre. É nel racconto di Tanirt che si
assiste ad un motivo caro alla letteratura pan berbera, ovvero quello
relativo alla figura dell’orco e dell’orchessa, cui si farà maggiore
riferimento per il racconto di Ali e sua madre. Questi due personaggi simboleggiano il cerchio familiare negativo o traspongono ad un altro livello lo status
familiare del protagonista, riflettendone in maniera speculare le
dinamiche e risolvendo ciò che nella realtà aveva seminato a livello
inconscio l’incesto senza realizzarlo. 
Nel caso di Tanirt, l’orco e
l’orchessa rappresentano all’inverso la famiglia originale della
protagonista. 
Nella figura dell’orchessa Tanirt ritrova la protezione
della figura materna, nella volontà dell’orco di mangiare la ragazza si
realizza l’incesto. Tale è lo schema della “famiglia ambivalente”.
La differenza tra la storia di Ḥemmu e
quella di Tanirt consiste nel ruolo e nelle caratteristiche dei due
protagonisti in relazione al genitore con cui s’instaura il conflitto.
Ḥemmu è ancora succube del legame materno, mentre Tanirt riesce ad
affrancarsi e a sfuggire al dramma familiare. Il tema universale che
soggiace in sottofondo ai due racconti è quello della condizione
femminile del padre e dello status fallico della madre. Vale la pena
citare la conclusione data da A. Bounfour riguardo l’analisi:
«Si può suggerire che il racconto evoca
la fragilità della posizione paterna in relazione a quella materna, un
tema universale. Ciò non esclude il ruolo della responsabilità paterna
nella debolezza dell’affermazione della legge» [6].


Altro racconto legato alla tematica dell’incesto è la fiaba cabila intitolata Ali e sua madre, la
quale si presta ad un’attenta riflessione sul personaggio
dell’orchessa, figura tipica del racconto nordafricano. Ali è l’ultimo
di sette fratelli, tutti figli di un sultano. Costui chiede a ciascuno
dei propri figli di uccidere la rispettiva madre come prova dell’amore
verso il padre. Ali è l’unico tra i suoi fratelli a ribellarsi al volere
paterno e, per salvare la propria madre, scappa con lei dalla dimora
familiare. 
I due trovano rifugio in un piccolo villaggio. Ali gioisce
del legame esclusivo con la propria madre, mentre quest’ultima avverte
la mancanza al proprio fianco di un marito. Ali ama la madre mentre ella
lo detesta. Un giorno, andando a caccia nel bosco, Ali si trova dinanzi
alla casa dell’orchessa. Costei gli offre ospitalità e amore,
nutrendolo con il latte del proprio seno. Ali, affranto per l’amore non
corrisposto, chiede all’orco e all’orchessa di mangiarlo e di portare i
suoi resti in riva al fiume. Così accade ma, dopo aver portato i resti
di Ali in riva al fiume, l’orchessa ne ri-assembla il corpo e fa
resuscitare Ali. Nella sua nuova vita, Ali abbandona la dimora
dell’orchessa, incontra l’amata (principessa) presso una sorgente
d’acqua, uccide l’orchessa e diviene sultano.


La versione femminile di Ali e sua madre è intitolata La piccola bambina abbandonata e l’orchessa [7].
La storia è simile al racconto di Tanirt, ovvero una madre che
abbandona i propri figli, un maschio e una femmina, per avere
l’esclusiva sul proprio marito. I due fanciulli si perdono in un bosco
dove trovano rifugio nella casa dell’orchessa. Costei divora il fratello
ed adotta la fanciulla. Un giorno la fanciulla incontra il principe e
si allontana per sempre dall’orchessa.


Se è vero che entrambi i racconti
riportano la tematica dell’incesto, è ancor più interessante concentrare
l’attenzione sul ruolo determinante giocato dall’orchessa in entrambi i
casi. In lingua berbera compare il termine tsériel o tériel o tagrod
per indicare il ruolo rivestito dall’orchessa. La figura dell’orco non
ha le stesse caratteristiche e ciò è dimostrato anche dal fatto che il
termine più comune utilizzato per indicare l’orco è arabo El Ghul,
ciò probabilmente fa pensare ad un’importanza maggiore rivestita in
ambito berbero dalla figura dell’orchessa. 
H. Basset descrive tale
personaggio secondo le sembianze di un’anziana donna dall’aspetto
repellente, con capelli lunghi, denti enormi e priva dell’uso della
vista. L’orchessa è solita abitare nella foresta, laddove avviene
l’incontro con l’eroe. Spesso ella vive in compagnia di suo marito.
Entrambi sono figure mostruose, maligne e antropofaghe, si nutrono di
bambini.
Si ha testimonianza di com’è nata
l’orchessa nel mondo berbero cabilo grazie ai miti della creazione e
della rappresentazione del mondo redatti da L. Frobenius [8].
Senza dilungarsi sulla sfera mitica è essenziale sapere che l’orchessa
incarna il mondo femminile selvaggio, in quanto ha rifiutato la luce e
dunque il mondo civilizzato, la dimensione domestica, per continuare a
vivere allo stadio animale nella natura, in grotte o foreste, cibandosi
di animali vivi o dando la caccia alle sue stesse sorelle. 
Tali
caratteristiche rappresentano una tipologia d’orchessa che N. Farés
definisce “fantastica”, ovvero un’immagine mostruosa tipica del mondo
irreale della fiaba del tutto opposta alla realtà, dove si proiettano le
paure e si materializzano le dinamiche impossibili della vita reale
(incontro con personaggi mostruosi, figure eroiche, bellezza femminile).
All’immagine fantastica dell’orchessa si contrappone quella “phantasmatique” [9].
É nella dimensione iper-meravigliosa, dell’iper-immaginario che
l’orchessa indossa le vesti della madre buona, la quale protegge e
allatta i propri figli (nel caso di Ali e della sua versione femminile),
annullando la sua natura antropofaga in nome dell’istinto materno e
risolvendo il teorema dell’incesto o della rivalità madre/figlia.


L’ambivalenza legata all’immagine
dell’orchessa, ma soprattutto il ruolo che essa svolge nell’iper
immaginario, porta al discernimento dei valori familiari e della
tematica universale genitore/figlio. Una volta superato il dramma
incestuoso, l’orchessa ritorna alla dimensione mostruosa e fantastica e
viene uccisa dall’eroe protagonista (Ali e sua madre). Per quanto
riguarda la rivalità madre/figlia il ruolo dell’orchessa presenta un
altro tema caro alla letteratura pan berbera che introduce il discorso
sul patto matrimoniale e l’allontanamento della giovane dalla dimora
familiare. 
In conclusione, le fiabe sull’Edipo Berbero si rivelano
interessanti poiché sviscerano in chiave popolare i valori ancestrali
della famiglia tradizionale e i tabù dell’essere umano, sottoponendo il
lettore ad una lettura introspettiva e catartica.


Dialoghi Mediterranei, n.20, luglio 2016


Note


[1] H. Basset, Essai sur la littérature des Berberes,  Ancienne Maison Bastide-Jourdan, Algeri, 1920.


[2]
G. Calame-Griaule, “Un itinéraire ethnolinguistique”, in Entrelacs et
traverses, approche plurielle en littérature orale, n. 50, Cahiers de
littérature orale, Parigi, 2001.


[3]
A. Bounfour, « Ḥemmu u Namir ou l’Œdipe berbère », in Études et
Documents Berbères, n° 14, La boȋte à documents, l’Harmatta, Parigi,
1996.


[4] Si riporta l’analisi del racconto di Mouliéras, tomo I, racconto V, riportata da Nabil Farés in L’ogresse dans la littérature orale berbère, Khartala, Parigi, 1994.


[5] Sul tema di Edipo nel Sahel si veda, G. Calame-Griaule, Contes tendres, contes cruels du Sahel nigérien, Gallimard, Parigi, 2002.


[6] A. Bounfour, op. cit.: 128- 129.


[7] Questo racconto è riportato nell’analisi di N. Farés, op. cit., p. 63, ma è stato raccolto e presentato da E. Laoust nel manuale sul dialetto berbero di Ntifa.


[8] C. Lacoste-Dujardin, « Les mythes de la création et la représentation du monde », in Littérature orale arabo-berbère, n° 26, CNRS, Parigi, 1998.


[9] N. Farés, op. cit.: 38-82.
FONTE: Istituto euroarabo