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Bielorussia: gli invisibili di Chernobyl

di Dominella Trunfio, 15
luglio, 2016.


Una
serie di scatti che raccontano la tragica storia di Chernobyl,
un viaggio per mostrare dove le istituzioni governative della
Bielorussia hanno rinchiuso i disabili e le vittime del più grande
disastro nucleare della storia.


Jadwiga
Bronte è una fotografa e documentarista polacca trentenne, le sue
fotografie racchiuse in un book dal titolo ‘The invisible people of
Belarus’, danno voce a tutti gli invisibili degli
internats,
gli istituti governativi che ospitano appunto i reduci di Chernobyl e
i disabili.




La disabilità è ancora
vista come un tabù per cui difficilmente un genitore tiene con sé
il proprio figlio, preferisce nasconderlo, lontano dalla società per
paura di essere discriminato e giudicato.




Trent’anni fa esplodeva
il reattore ucraino, ma le radiazioni fuoriuscite dalla centrale
continuano a mietere vittime.



“Sono nata in
Polonia, proprio durante il disastro di Chernobyl nel 1986. Ho deciso
di andare in Bielorussia per documentare le storie di bambini
orribilmente trascurati e abbandonati, nati con deficienze mentali e
fisiche a causa di quel tragico incidente di 30 anni fa. Durante le
mie ricerche, ciò che mi ha sorpreso di più è stato il fatto che
non c’erano solo le vittime di Chernobyl in questi istituti”,
dice Bronte.


Infatti, gli internats
sono
molto di più: una via di mezzo tra un orfanotrofio, un asilo e un
ospizio per le persone con disabilità mentale, sindrome Down, le
persone con mutazioni fisiche, deformazioni, e le persone con Aids.
In poche parole un luogo in cui vengono rinchiusi tutti coloro che
non rispettano i canoni di una società ordinata, tutti coloro che è
più comodo dimenticare che accudire.



A dare un volto a queste
persone ci pensa l’arte fotografica che documenta l’esistenza dei
loro rapporti nati all’interno dell’istituto, la fragilità delle
emozioni, la sofferenza di chi è stato rifiutato dalla mentalità
sovietica. 




Il book fotografico sarà
presentato in autunno a Londra durante una mostra di beneficenza, i
proventi del libro andranno agli internats
e a
quelle associazioni che stanno cercando di cambiare il sistema
istituzionale, sostenendo le famiglie che scelgono di mantenere i
loro figli disabili e di accudirli in casa.




Gli
internats
sono
l’esempio lampante di una società costruita su stereotipi e
pregiudizi, di una città che apparentemente sembra un set
cinematografico. Cosa si nasconde dietro strade estremamente pulite,
architetture sfavillanti e il perfezionismo esasperante? Dietro le
finestre ci sono loro, bambini, ragazzi, adulti e anziani che hanno
imparato a costruirsi una famiglia da soli dentro a un posto che
sembra un inferno.




E’ qui che Lyosha,
Sveta e tanti altri vivono in condizioni al limite dell’umanità,
con scarsa assistenza medica, condizioni igienico-sanitarie precarie.
I ragazzi sono costretti a lavorare nei campi, a pulire e cucinare,
un quadro che li espone a violazione dei diritti umani e malasanità.
Non ricevono né denaro né istruzione, non vengono ascoltati, sono
invisibili. 



Queste fotografie sono la
storia di questi esseri umani, l’obiettivo della fotografa Bronte è
quello di denunciare queste ingiustizie perpetrate nella vita di ogni
giorno. 

Un ambiente ovattato, lontano dalla società civile dove i
rapporti sono esasperati e dove si perde il contatto con la realtà.
“Credo che per
migliorare la situazione degli ‘internats’ bielorussi, bisogna
innanzitutto cambiare la mentalità dei bielorussi. E’ nelle loro
mani la possibilità di cambiare il futuro di questo popolo di
rinchiusi. Ma qui non vi è neanche libertà di stampa, per questo ho
realizzato questo progetto per far capire al resto del mondo come si
vive qui e come Chernobyl abbia per sempre cambiato la vita di molte
persone, spiega.

Non possiamo dimenticare
le vittime delle radiazioni, non possiamo dimenticare chi vive
silenziosamente.


“Durante il progetto
alcuni ragazzi mi hanno detto: Non parliamo mai, non ci lamentiamo,
non urliamo. Siamo pazienti, come sempre. Abbiamo paura di parlare.
Il mondo è stato diviso in due: ci siamo noi, ‘quelli di Chernobyl’
e e poi ci sei tu, gli altri. Hai notato? Nessuno qui dice che siamo
russi, bielorussi o ucraini. Siamo quelli che vengono da Chernobyl.
Come se fossimo un popolo separato. Una nuova nazione”.

 

FONTE: Greenme